È difficile arrivare al cuore del Sud Italia. Più scendi giù lungo lo
stivale e più diventa complicato spostarsi, anche solo da un paese
all'altro. Eppure la parola "infrastruttura" proietta automaticamente il
pensiero a progetti grandiosi, mastodontici, alla Tav piuttosto che al
ponte sullo stretto (e quanto è inflazionata questa parola!). La tv ha
fatto credere agli italiani che sono tutti un po' più vicini e che il
problema principale non sia arrivare da Roma a Reggio Calabria ma da
Torino a Lione. I problemi si tende a considerarli risolti con grande
facilità, un po' come quando per mesi, parlando con chi vive e respira
lontano da Taranto, scoprivi quanto fossero convinti che i decreti salva
Ilva avessero risolto il dramma della città. È la forza dei media,
perché se di un problema smette di parlarne la tv viene considerato
automaticamente risolto. O forse è solo l'estremo tentativo del cervello
umano di autodifendersi dalla frustrazione.
Chi viaggia, però,
gli occhi chiusi non può tenerli. Se vuoi da Taranto raggiungere la
Calabria, o "puntare" il nord, il viaggio è troppo lungo per far finta
di nulla. Non riesci più a bluffare con il tuo cervello. È quando tocchi
con mano i problemi che non puoi più prendere in giro te stesso. Inizi a
chiederti se nell'Italia delle frane, che scorre lungo il tuo
finestrino, il più utile degli investimenti non possa essere nelle
infrastrutture primarie, nelle strade, nelle ferrovie, negli aeroporti e
nella messa in sicurezza del territorio. Che forse, prima di pensare a
chi deve vincere le gare d'appalto per l'Expo di Milano, sia il caso di
trovare un impiegato che tenga aperta la stazione ferroviaria di
Crotone. È la più "tecnologica" del mondo, nel senso che esiste solo una
macchinetta self service che stampa i biglietti (e che spesso è
rotta...).
L'Italia che corre a due velocità lo fa anche sulle rotaie e la logica
manageriale, forse la più corretta da un punto di vista economico,
accentua ogni giorno di più le differenze. Al sud puoi trovare ancora
treni alimentati a gasolio; in Calabria può capitarti di pagare il
biglietto per un intercity e ritrovarti a tutti gli effetti su un
regionale (così però il servizio lo garantisce lo Stato, la Regione non
avrebbe le risorse). Se deve essere potenziata una tratta in funzione
del numero di passeggeri giornalieri, diventa inevitabile che chi
usufruisce già di un servizio efficiente possa ottenerne uno ancora
migliore; chi, invece, rinuncia al trasporto pubblico perché stanco di
viaggi estenuanti, è destinato a vedere tagliate le tratte e chiuse le
stazioni. Ma chi dovrebbe invertire questa tendenza? Chi dovrebbe
limitare l'incidenza dell'economia in scelte che prima di tutto sono
sociali e stregiche? Sicuramente la politica. Scegliere di far arrivare o
meno la gente al sud non può essere deciso guardando solo i numeri. Se
fosse così le istituzioni democratiche non servirebbero più, 4-5
economisti potrebbero da soli muovere i fili dell'intero Stato (sempre
che non lo facciano già). Ed è incredibile che a ricordarlo all'Italia,
seppure indirettamente, sia l'istituzione che per antonomasia viene
additata come schiava degli economisti e nemica della politica:
l'Europa.
C'è un passaggio nella "pagellina" consegnata da
Bruxelles al Governo italiano che è passato inosservato ai più (chissà
perché). Si è focalizzata l'attenzione esclusivamente sugli appunti
relativi al debito e ai dati economici, importanti ma non esaustivi di
tutto ciò che in realtà chiede l'Unione Europea. Nel documento, infatti,
si fa riferimento anche ai trasporti e alle disuguaglianze nord-sud
nonostante, nel complesso, gli investimenti a livello italiano risultino
ancora considerevoli. Così si legge (tratto da Il fattoquotidiano.it, 2
giugno 2014): "ll settore presenta ancora importanti debolezze. La
lunghezza della rete rapportata al numero di abitanti è tra le più basse
dell’Unione mentre il tasso di utilizzo è tra i più alti. A dispetto di
un tasso di investimento infrastrutturale sopra la media Ue, in alcune
regioni – in particolare al Sud – rimangono colli di bottiglia. E la
soddisfazione dei consumatori è tra le più basse dell’Unione”. Quando la
politica abdica al proprio ruolo è l'economia a prendere il sopravvento
ed il risultato è che si perde il controllo dello sviluppo, o del non
sviluppo, di un intero Paese. Sono gli affari a decidere dove deve
crescere un fiore e dove no, non più una strategia pianificata e
l'Unione Europea ci ricorda che dovrebbe essere il contrario.
Eppure
non è stato sempre così. Fu una scelta politica la realizzazione della
Salerno-Reggio Calabria. Un progetto controverso che ha palesato tutte
le contraddizioni di questa malandata Italia; un costo enorme e lavori,
di fatto, ancora non conclusi. Qull'autostrada, però, con tutti i suoi
limiti, è stata indispensabile per quella seppur minima crescita del
sud. Pensate cosa sarebbe stato del meridione senza quell'importante
opera; pensate alle conseguenze di un isolamento totale della Sicilia e
della Calabria dal resto d'Italia. Nonostante i costi, nonostante tutto,
nessuno di buon senso riterrebbe oggi che investire in una autostrada
al sud sia stata una scelta sciagurata. Il problema è come lo si è
fatto, non l'obiettivo finale. Eppure la SA-RC è stata frutto di una
scelta politica tutt'altro che scontata e che andava contro chi tentava
di imporre la legge dei numeri e della calcolatrice. Un territorio
agricolo non ha bisogno di strade, diceva più di qualcuno. Un po' come
chi oggi sostiene che un territorio con pochi passeggeri (ma con un
potenziale straordinario se il servizio fosse decente) non ha bisogno
dei treni.
Eppure pensate a quante maggiori risorse economiche
sarebbero giunte a Taranto se, in occasione del concerto dell' 1 maggio,
centinaia di persone che volevano raggiungere il capoluogo ionico non
si fossero sentite rispondere che usare i mezzi pubblici sarebbe stata
una impresa (tanto per fare un piccolo ma significativo esempio). La
battaglia politica dei parlamentari del sud per realizzare la SA-RC,
guidati dall'allora Ministro ai Lavori Pubblici Giacomo Mancini, ha
permesso di unire il Paese. Oggi nessuno batte i pugni sui tavoli per
salvare le tratte ferroviarie che di anno in anno vengono ridotte da e
per il meridione. Eppure anche questo ci chiederebbe l'Europa.
Gianluca Coviello
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