mercoledì 29 agosto 2012

Squillace non è Faenza


Squillace è un piccolo comune in provincia di Catanzaro, poco più grande di 30 Kmq e con appena 3500 abitanti. Ha un borgo antico che si sviluppa attorno ai ruderi di un castello veramente notevole e, ben poco altro. 
Il mare della Marina, invece, è bellissimo, limpido e calmo.

Arrivare a Squillace vuol dire viaggiare attraverso rigogliose colline coltivate ordinatamente ad ulivi e agrumi. Di tanto in tanto, ti trovi dinanzi ai ruderi di una vecchia masseria e fai un tutto nel passato, poi, intercetti una distesa di pale eoliche, oppure un mostro architettonico che stride fortemente con il bucolico contesto e ritorni alla realtà.

Castello di Squillace -
 in ricordo del processo
a Tommaso Campanella
Passeggiando per il borgo scopri che nel Castello di Squillace, nel 1599, fu processato per eresia e congiura alla presenza del vescovo Sirleto il filosofo Tommaso Campanella e che sulle stradine si aprono alcune piccole botteghe artigiane dove vengono realizzate delle ceramiche molto particolari con una lavorazione opaca, bianca su fondo color terracotta che ricorda alcuni vetri pompeiani.
La ceramica di Squillace
Un po’ ti stupisci del fatto che in un paesino così piccolo, arroccato su una collina, si possegga una tale maestria e perizia artigianale e, soprattutto ti chiedi perché hai tanto sentito parlare delle ceramiche di Faenza e di quelle di Montepulciano e mai di quelle di Squillace. 

Foglio n° 6431 del Catasto Onciario
Passando dinanzi ad una delle botteghe, leggi in una teca alcuni documenti storici e scopri che nel 1756 al foglio n° 6431 del Catasto Onciario* di Napoli, per il distretto di Squillace, erano iscritti ben 31 ceramisti, di cui 10 fajenzari e 21 maestri pignatari. I fajenzari si dedicavano  alla produzione delle “ faenze “ ovvero delle terrecotte più nobili, mentre i pignatari producevano vasellame di uso comune. Quanto, poi, diffusa e apprezzata fosse l’arte della ceramica squillacese lo dimostra la copia di un atto notarile datato 11.1.1753, nel quale il priore del convento dei Carmelitani Scalzi di S. Teresa in Cosenza commissiona a Maestro Paolo Sestito ed i suoi fratelli “10.000 rigiole non stagnate.....per un prezzo di ducati 200”.

Atto Notarile del 1753
Spulciando notizie sull’argomento, scopri che la tecnica utilizzata dai ceramisti di Squillace è di origine bizantina e che nel 1489, il Re di Napoli Alfonso d’Aragona visitò il Castello di Squillace e ordinò un’artistica anfora che riproduceva il ritratto di Alfonso, duca di Calabria e l’aquila reale degli aragonesi che sarebbe stata battuta a Firenze nell’asta Sotheby’s del 12 maggio 1982. Scopri ancora che le manifatture squillacesi antiche sono conservate presso alcune collezioni private e in alcuni famosi musei: Museo di  Capodimonte di Napoli,  Museo Duca di Martina alla Villa Floridiana di Napoli , Museo civico di Rovereto, Collezione Arcoleo di  Palermo, Victoria and Albert Museum di Londra, British Museum di Londra,  Rohsska Konstslojmuseet di Goteborg, Metropolitan Museum of art di  New York, Musee du Petit Palais di Parigi, Museo internazionale delle ceramiche di Faenza, Museo della ceramica di Sevres.

A questo punto ti chiedi: come mai le promesse di grandezza di questo paesino e del suo comprensorio sono state disattese? Perché non è divenuto un polo di eccellenza? Come mai le 15 fornaci operanti nel 1756 non sono più alimentate, sono spente, sempre che ancora esistono? Perché questo paese che nel 1489 si meritò la visita di Alfonso D’Aragona e che era attivo e produttivo, oggi è abitato da fantasmi e da vecchi? Cosa è accaduto?

La risposta, sembrerà banale, ma è sempre la stessa: è arrivato il 1861 e l’unità d’Italia è stata fatta!!!!

 Francesca Di Pascale - Briganti


* Il Catasto onciario, precursore degli odierni catasti, fu voluto da re Carlo di Borbone nella prima metà del XVIII secolo per il riordino fiscale del regno e fu uno strumento utile ad eliminare i privilegi goduti dalle classi più abbienti che facevano gravare i tributi fiscali sempre sulle classi più umili e di fatto rappresenta uno dei più brillanti esempi del tempo di ingegneria finanziaria e di ripartizione proporzionale del peso fiscale.Si chiamò Onciario perché la valutazione dei patrimoni terrieri veniva stimato in once, una misura di monete molto antica corrispondente a sei ducati. È chiaro come un meccanismo volutamente semplice poteva assicurare un prelievo fiscale generalizzato ed accertamenti molto rapidi – Fonte Wikipedia

venerdì 3 agosto 2012

Garibaldi e la Legione Ungherese


Con il decreto n° 100 del 16 luglio 1860, Giuseppe Garibaldi, comandante in capo delle Forze Nazionali in Sicilia, autorizza sè stesso a costituire una Legione Ungherese composta di fanteria e cavalleria affinchè partecipasse attivamente alla “conquista” del Regno delle Due Sicilie.

Il brigante Alessandro Arena ci fornisce copia del decreto  n° 100 del 16 luglio 1860 che potete visionare in allegato.

 Regio decreto n° 100 del 16 luglio 1860 

Riportiamo, inoltre, i riferimenti di alcuni tra i soldati che combatterono in questa legione.
·         István Türr  (Baja10 agosto 1825 – Budapest3 maggio 1908), fu scelto da Garibaldi quale governatore di Napoli e svolse un certo ruolo nella preparazione e nello svolgimento del plebiscito del 21 ottobre 1860 (http://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Turr)
·         Lajos Tüköry de Algyest (Körösladány9 settembre 1830 – Palermo6 luglio 1860), comandò l'avanguardia che diede l'attacco alla città di Palermo il 27 maggio 1860 (http://it.wikipedia.org/wiki/Lajos_T%C3%BCk%C3%B6ry)
István Türr

La legione Ungherese fu coinvolta nelle peggiori atrocità commesse durante l’invasione del Regno delle Due Sicilie; ebbe parte attiva nelle stragi di Auletta, di Montemiletto e Montefalcione e fu utilizzata per incendiare paesi e fucilare all’istante chi veniva trovato con le armi in pugno.
I soldati della Legione Ungherese, per le atrocità commesse nella risalita del Regno, possono essere paragonati ai contingenti marocchini durante la seconda guerra mondiale.
Lajos Tüköry de Algyest


Questo brano è scritto ad uso e consumo di chi crede ancora che l’Unità d’Italia sia stata fatta grazie all’avanzata pacifica ed indisturbata di 1000 valorosi in camicia rossa guidati dal generale alto biondo e dal bianco destriero.



Francesca Di Pascale - Briganti 

martedì 24 luglio 2012

Come fece Garibaldi, con mille mercenari, a scardinare le difese del Regno delle Due Sicilie? Semplice, usò la "chiave inglese"!!!!!


Il brigante Alessandro Pasteu Arena ha iniziato un'interessante ricerca negli archivi del parlamento britannico e in particolare nei dibattiti della House of Commons, a partire dal 1832 fino al 1865. Incrociando il nome di Lord Palmerston con i termini Due Sicilie, Napoli o Sardegna, ha scoperte notizie veramente interessanti contenute in atti pubblici a tutti accessibili.
Ve ne proponiamo qualcuna, anzi, facciamo raccontare tutto ad Alessandro
"Ero scettico sui rapporti Savoia-Palmerston per vari motivi, ma quando ho letto sul Corriere del mezzogiorno del 1° gennaio 1888 (dalla biblioteca nazionale napoletana interattiva) che l'“amato” senatore Pica frequentò Lord Palmerston durante l'esilio, allora sono andato più a fondo. Sono andato sul sito del parlamento britannico (http://www.parliament.uk/) per poi spostarmi nella House of Commons (http://www.parliament.uk/business/commons/) e nei suoi archivi (http://hansard.millbanksystems.com/lords).
Digitando il nome di Palmerston è possibile visionare tutti i dibattiti cui egli prese parte dal 1850 (http://hansard.millbanksystems.com/people/viscount-palmerston).
Ho salvato tutti i documenti fino al 1865 nel cui titolo appariva un qualsiasi collegamento con le Sicilie, Napoli e il Regno di Sardegna.
Segnalo i documenti più importanti

· Le prime tensioni con l'Inghilterra nascono nel 1840
“Il visconte Palmerston ha ricevuto una lettera, datata 17 aprile, in cui c’è scritto che la rappresaglia è cominciata e che l’Hydra (Nave inglese, ndr) è approdata nel porto di Napoli”

· La questione delle miniere di zolfo
“Il visconte Palmerston dice:[…]Allo stesso tempo un’offerta simile è stata avanzata dal governo francese a quello napoletano. […]Questa offerta è stata accettata dal governo di Napoli. […]Gli ordini di rappresaglia non sono stati sospesi”

· I moti siciliani del 48-49 furono finanziati dall'Inghilterra
"Mr. Bankes dice: […] il permesso dato da lui (Palmerston, ndr) per il trasporto di materiali militare dai magazzini di Sua Maestà per l’ovvio uso dei siciliani insorti e per l’incoraggiamento dato a questi partiti che hanno formato il governo degli insorti”

· La proposta di Palmerston per legittimare gli accordi con i Savoia
House of commons - 26 marzo 1855, Il messaggio della regina - L'accordo militare con la Sardegna (http://hansard.millbanksystems.com/commons/1855/mar/26/the-queens-message-the-military#S3V0137P0_18550326_HOC_23)
“Lord Palmerston dice: Mi alzo, sir, per proporre al comitato una risoluzione per permettere a S.M. di adempire all’accordo che, attraverso un trattato, ha stipulato con il re della Sardegna. .[…]Siamo ricorsi al parlamento per permettere a S.M. di accettare il servizio volontario di guarnigione di una porzione della sua “Militia” nel Mediterraneo. […] Secondo tale trattato, la Sardegna s’impegna a fornire una forza ausiliaria di 15.000 uomini per cooperare con gli eserciti di Inghilterra e Francia […] Ma siccome l’invio di un esercito di tale portata ad un paese lontano deve essere necessariamente accompagnato da una considerevole spesa, è stato accordato da S.M. e dal governatore della Sardegna che tale spesa debba essere accordata dal parlamento per permettere a S.M. di anticipare 1.000.000 di sterline alla Sardegna per sostenere la spesa di tale spedizione. La Sardegna deve pagare il 4% di interessi sul prestito. […] Il prestito è di 1.000.000 di sterline quest’anno e 1.000.000 il prossimo anno”

· Rimorsi sulla brutalità dei mezzi, prova dell'inumanità dei soldati savoiardi
“Sir George Bowyer dice:[…]Sono stato recentemente informato che l’Arcivescovo di Amalfi è morto e che il suo corpo si trovava nella cattedrale; e che, mentre il funerale era cantato dal clero, un gruppo di rivoluzionari è entrato nella chiesa brandendo dei pugnali e hanno ripetutamente colpito il corpo del prelato. Sono stato anche informato […]che le tombe della famiglia reale nella chiesa di Santa Chiara erano sul punto di essere attaccate e violate dal partito rivoluzionario, e si crede che la polizia piemontese volesse appoggiare questo oltraggi”

Questi sono solo un minimo numero della mole totale dei discorsi nelle faccende unitarie. In tutto ho raccolto circa 80 documenti riguardanti Palmerston. Tali documenti sono degli anni 1832, 1840, 1847, 1848, 1849, 1850, 1851, 1855, 1856, 1857, 1859, 1860, 1861, 1862 

Alessandro"

Dopo aver letto questi passaggi, qualcuno crede ancora alla favoletta dei Mille valorosi e del condottiero alto biondo e dal bianco cavallo?
Francesca Di Pascale - Briganti





domenica 8 luglio 2012

DIALOGO TRA LA REGINA VITTORIA ED IL LORD DELLO SCACCHIERE

E' una realtà romanzata che si basa sulla fobia di Vittoria su tutto ciò che riguardava la sfera del sesso ed annessi.
Che sul mare ci fossero alcune cannoniere inglesi per bloccare la flotta borbonica è risaputo, come pure sono note le mire della Corona Inglese sulle ricchezze estrattive e manifatturiere del Regno di Napoli.
Ciò che ho scritto vuole porre l'accento sul fatto che, purtroppo, quando un popolo si muove e combatte credendo nei suoi ideali, alle spalle ha una schiera di farabutti a manovrarlo. Il racconto resta immaginario ma vuole focalizzare l'attenzione sui prodromi dello scempio che hanno fatto i Piemontesi del nostro Sud.
Discendo da una famiglia repubblicana e liberale: Luigi Verneau è martire della Repubblica Partenopea, avendo piantato l'albero della libertà a Ponza , venne prima impiccato e poi passato a fil di sciabola nel Castello d'Ischia.


Vittoria:  Dunque sir Rudolph, cosa c'è di tanto importante da distogliermi dal mio sonnellino pomeridiano ? Ringraziate il Cielo che la primavera mi rende più tollerante, ben altri personaggi hanno interrotto la mia siesta in passato, ed ancora si leccano le ferite.

Rudolph: Maestà, se non fosse cosa che potrebbe rendere imbarazzo alla Corona, mi sarei ben guardato dal...

Vittoria: (OCCHIATA SEVERA DELLA DONNA) Vi prego,venia. mo al sodo.

Rudolph: Si, certamente. Sì tratta di sir Cedric Rosebery, da me mandato in Italia a sondare le capacità di quell'avventuriero, quel tale Garibaldi....

Vittoria: (CON TONO DI DISGUSTO)…Garibaldi…Garibaldi…
Ah ! Si, Giuseppe Garibaldi, nome
Da stalliere !

Rudolph: Ecco, si, proprio lui. L'uomo che, su mio consiglio, ed a malincuore,
Vostra Maestà dovrebbe convincere ad aiutarci a scalzare i Borbone
dal loro trono.
Comunque pare che sir Cartridge si sia talmente innamorato di quel
paese, da essersi fatto costruìre una villa sul mare di Napoli.



Vittoria: Ebbene, come tutto ciò potrebbe crearCi imbarazzo ?

Rudolph: Sìr Cedric, tornando a Londra, ha portato con se un osceno oggetto
che, mascherato da virtù e capacità igienico sanitarie, serve solo a
turpi e riprovevoli pratiche.
Vittoria: Cosa state cercando di dirmi, di cosa si tratta...?

Rudolph: Di qualcosa che perfino la Chiesa di Roma ha messo all' indice, è il
famigerato bidet.

Vittoria: Continuo a non capire...

Rudolph: Perdonatemi se vi turberò... Dunque è una piccola tazza in guisa di un
OTTO aperto all`incrocio in modo che vi si possa sedere esponendo
le pudenda....

Vittoria: My God ! E a quale scopo ?

Rudolph: La ragione ufficiale è quella di lavarsi con ... (CALCANDO SUL TERMINE ) cura
... le parti intime. Chiaramente, sia la... posizione, che l'insistenza del passarsi le mani sulle parti provocano quel che.... provocano !

Vittoria: È una ...una ... porcheria assurda ...8... (DETERGENDOSI IL SUDORE IN FRONTE E SOPRA IL LABBRO SUPERIORE) ...voi siete certo dl ciò che dite ...?








Rudolph: Si, ma non è tutto.
A dire dei medici del VICTORIA HOSPITAL, l'uso di un detergente, tipo il sapone, rende ancora più... vergognosa la pratica in quanto le proprietà oleose dello stesso, lubrificano le parti, facendo si che un peccaminoso languore si impadronisca del malcapitato che si troverà, suo malgrado, a mescolare con il sapone i suoi umori corporei
.... Maestà, ma cosa avete... , state sudando copiosamente.... ....siete vittima di vampate di calore .... chiamo subito il vostro medico....
Vittoria: No !.. No, sto meglio ....
Ebbene, questa è la goccia che fa traboccare il Vaso.
Che sia convocato subito il Garibaldi, gli si dia il massimo appoggio per terra e per mare al fine di conquistare i Regno delle due Sicilie ed impadronirci finalmente delle miniere di zolfo della Sicilia e dei setifici di Caserta.
II Garibaldi ha mano libera, può, se vuole, ma-scherare í nostri disegni appoggiando quei morti di fame dei Savoia ad impadronirsi dell'Italia del Sud.
Ma, sia perentorio, l'Avventuriero dovrà distruggere tutti questi luridi vasi, e i Governatori che nominerà dovranno essere affiancati da nostri notabili che diseduchino le genti all' uso dì questo... BIDET !
Rudolph: ( SUONANDO IL CAMPANELLO) Chiamo subito un messo...
(AL GIOVANOTTO CHE ENTRA) Fate convocare subito lo Stato Maggiore della Corona, parlerò loro fra due ore, via, veloce! (IL GIOVANE FA PER AVVIARSI) Un momento.....
(GLI SI AVVICINA) ... Passa per casa mia... avverti che sta per arrivare un collo dall' Italia .... è una ceramica molto preziosa ...deve essere portata subito ed in
gran segreto nel mio bagno personale... Mi raccomando!
E non una parola!

Sergio Verneau 2004



domenica 1 luglio 2012

Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania

ARTICOLO TRATTO DAL SOLE24ORE DEL 30/06/2012


Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia.
Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa.
Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873.
Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio.
La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%).
Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali.
Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla.
Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.

ARTICOLO TRATTO DAL SOLE24ORE DEL 30/06/2012

domenica 24 giugno 2012

La storia nascosta di Nicola Romeo, fondatore dell' Alfa



Vi siete mai chiesti perchè l'Alfa si chiama Romeo??
Il perchè sta nel fatto che un imprenditore napoletano, precisamente di Sant'Antimo, l'ing. Nicola Romeo, acquistò l'Alfa, che era un'azienda automobilistica fallimentare, fecendola diventare quella che è adesso.
Ancora risuonano le storiche parole di Henry Ford che disse, agli inizi del '900: "quando passa un' Alfa Romeo mi tolgo il cappello".
Ma nessuno invece è a conoscenza di un'altra storia! Una storia che include in se tutta la "tragedia" che il Sud vive dal giorno in cui fummo annessi al regno d'italia (scritto volutamente in minuscolo).
E questa storia si inserisce anche e prepotentemente nella famosa frase del primo governatore della banca d'italia, Carlo Brombini, che nel 1862 affermò: "il Mezzogiorno non dovrà più essere in grado di intraprendere".
Grazie ad uno studioso, Carmine De Marco, autore del libro "La conquista e la colonizzazione del Meridione d’Italia", è emerso il motivo per cui un imprenditore napoletano decise di acquistare un'azienda fallita. Più che per libera scelta, infatti, fu costretto...
Di seguito riporto il testo di un'intervista a Carmine De Marco di Angelo Picariello che è tratto da una testimonianza di un erede dell'ing. Nicola Romeo:

«La vicenda emblematica di come l’industria meridionale, fiorente fino a 150 anni fa, in special modo quella metalmeccanica, già da mezzo secolo fosse stata abbandonata a sé stessa per privilegiare quella del Nord. L’ingegner Nicola Romeo, ricordiamolo, era un geniale imprenditore metalmeccanico che aveva diversi, importanti stabilimenti nella zona Napoli. Licenziatario per la costruzione di camioncini di trasporto truppe della francese Darracq, allo scoppio della Prima guerra offrì allo Stato italiano il suo prodotto a prezzo vantaggioso, ma si sentì rispondere che esso acquistava solo prodotto nazionale. Cioè del Nord. Così accettò di rilevare l’A.L.F.A (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili), che aveva i suoi stabilimenti a Portello, presso Milano, ed era in liquidazione. Finita la guerra, nel 1918, fu inizialmente cambiato il nome della società in "Società Anonima Ing. Nicola Romeo e Co.". Ma si sa che i napoletani sono buoni di cuore: infatti Romeo non infierì, e al termine di una lunga vertenza con i vecchi proprietari dell’Alfa, non mise sullo scudetto il Vesuvio, ma lasciò il biscione milanese. E tutti oggi si lamentano per l’Alfa-Sud di Pomigliano, poi passata alla Fiat, "regalata" ai meridionali "sfaticati" dai generosi industriali settentrionali».

CLICCA QUI PER LEGGERE TUTTO L'ARTICOLO DI ANGELO PICARIELLO

sabato 23 giugno 2012

La sconcertante storia dell' azienda materana Anthill



Vi ricordate le parole di Carlo Brombini, primo governatore della Banca d'Italia, del 1862?
Disse testuali parole: "Il Mezzogiorno non dovrà più essere in grado di intraprendere".
Beh, pensando a queste parole vi racconterò la storia di Anthill!!

ANTHILL era una cordata di imprenditori di MATERA che parteciparono alla gara d'appalto per l'acquisto della compagnia telefonica BLU.
Ma la Anthill fu esclusa dalla gara nonostante avesse tutte le carte in regola per partecipare!! Ricordo ancora che ci furono tantissimi politici dell'epoca che avversarono la ANTHILL primi fra tutti Casini e Gasparri (leggete qui: http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/45000/43681.xml?key=casini&first=961&orderby=0)!!
Ma nonostante le avversioni del governo a guida FI-UDC-LEGA-AN (siamo nel 2002) i CAPARBI IMPRENDITORI LUCANI continuarono per la loro strada finquando lo STATO disse un secco NO!!!!
Ora ricordate come è iniziato questo post??? "Il Mezzogiorno non dovrà più essere in grado di intraprendere"......

SE VOLETE INFORMARVI SULLA STORIA LEGGETE I LINK RIPORTATI QUI DI SEGUITO

http://www.notizie-online.it/content/view/16913/41/ [Telefonia, il consorzio materano Anthill torna alla carica]

http://www.repubblica.it/online/economia/umts2/stampa/stampa.html [Umts, Anthill al contrattacco
"Pronti a far annullare la gara"]

http://www.wallstreetitalia.com/article/11920/tlc-anthill-ricorre-contro-l-esclusione-dall-umts.aspx [TLC: ANTHILL RICORRE CONTRO L'ESCLUSIONE DALL'UMTS]

http://www.soldionline.it/notizie/azioni-italia/anthill-esclusa-dalla-gara-per-le-licenze-umts [Anthill esclusa dalla gara per le licenze UMTS]

venerdì 22 giugno 2012

Mameli ha letteralmente RUBATO l' inno

Riportiamo un interessantissimo articolo uscito su  La Stampa un paio di anni fa....

L'Inno rubato da Mameli

La polizia lasciava fare? Voglio dire: irruzioni nei caffè…?
Dopo il 30 ottobre «toute la population était dans la rue» scrive Costanza. Benché gli assembramenti fossero stati proibiti, le polizie avevano avuto istruzioni di lasciar fare. Gruppi di moderati, coordinati da Roberto d'Azeglio, andavano in giro a prevenire incidenti, vigilando specialmente sulle sedi dei gesuiti e della legazione austriaca. Un ordine auto-gestito.
Le ronde.
Chiedevano infatti, e lo consideravano un elemento di libertà, la Guardia civica, proprio come a Roma. Problemi di ordine pubblico ce n'erano soprattutto a teatro, dove gli spettacoli non si potevano portare a termine perché alla minima battuta vagamente interpretabile in senso patriottico, e magari scritta dall'autore senza intenzione, il pubblico scattava in piedi, partivano i cori e gli sventolii dei drappi. «Si previene il Pubblico che resta assolutamente proibita qualsiasi clamorosa dimostrazione, come pure di cantare inni, introdurvi bandiere, fischiare o prolungare gli applausi da interrompere il corso delle rappresentazioni»: così, inutilmente, la direzione del Regio, la vigilia di Natale.

Che bandiere agitavano?
L'azzura coccarda di Savoia e il tricolore. Il tricolore era fonte di risse. Non piaceva a Carlo Alberto e alcuni patrioti lo consideravano un vessillo di schiavitù.

Perché?
Perché l'aveva inventato Napoleone, del quale era corretto dire che avesse reso l'Italia schiava… Però Napoleone, mentre faceva schiava l'Italia, aveva pure reso possibile la nascita della "Repubblica Cisalpina…" o della "Repubblica Cispadana…". Il tricolore simboleggiava Napoleone o le repubbliche? Avevano ragione questi e quelli.

E "Fratelli d'Italia"?
Aldo Mola ha dimostrato che non è di Mameli, ma del padre Canata. L'inno è troppo colto per essere di quell'ignorantello di Goffredo. Vi si allude alla repressione austriaca in Galizia, all'episodio del Balilla festeggiato con le luminarie nel '46… Sarebbe stato composto negli stessi giorni in cui Goffredo scriveva alla madre «Mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla» (15 ottobre 1847, da Novi Ligure, dove era in attesa della visita di leva).

E questo padre Canata si sarebbe fatto scippare l'inno?
Mameli morì a vent'anni nella difesa della Repubblica romana. Come sputtanarlo a quel punto? Canata - un prete giobertiano, un cattolico liberale - si sfogò senza far nomi in certi versetti: «A destar quell'alme imbelli / meditò robusto un canto; / ma venali menestrelli / si rapian dell'arpe il vanto…». Michele Novaro ricevette il testo rubato da Mameli in casa di Lorenzo Valerio e, al momento di musicarlo, era così emozionato che rovesciò la lucerna danneggiando l'originale. Che infatti non c'è più. Lo cantarono per la prima volta a Genova, durante le manifestazioni di quel dicembre. Faceva arrabbiare i reazionari allo stesso modo di "Bandiera rossa" sessant'anni dopo.

Come mai proprio a Genova?
Il re era rimasto a Genova per tutto il mese di novembre (siamo sempre al novembre del 1847, in cui si preparava il primo numero del "Risorgimento"). A Genova c'era addirittura più fermento che a Torino. Costanza racconta che i genovesi, scordandosi completamente il vecchio odio per Torino e il Piemonte, s'inginocchiarono addirittura a centinaia davanti a Carlo Alberto, gridando: «Maestà, amnistia per i fratelli esigliati», al che il re piangendo rispose: «Ci penso, figli, ci penso». Aggiunge Costanza: «Tout le monde pleurait».

Chi è "Costanza"?
Costanza d'Azeglio, moglie di Roberto e cognata di Massimo. Era la sorella di Cesare Alfieri. Aveva l'unico figlio Emanuele diplomatico a Pietroburgo. Gli scriveva le novità. Raccontò anche dell'accoglienza trionfale riservata al re alla fine del mese, al rientro a Torino, e dell'agitazione generale che non cennava a placarsi. «On parle, on va, on remue, on aborde, on se réunit» nonostante che il governo (anzi «le Gouvernement») implorasse: «Più di canti, più di suoni, or bisogno più non ho».

È un’epoca in cui si parla solo in versi.
Ci interessa Genova. Traduciamo Costanza: «A Genova succedono fatti gravi, che imbarazzano il Governo e rattristano quelli che credono la forza consistere solo nell'unione e nella legalità. Ci sono in questa città dei partiti che, senza essere abbastanza forti per prendere il sopravvento, mettono in agitazione l'opinione pubblica. Una frazione è costituita dai mazziniani. Costoro sostengono solo quello che il popolo può ottenere con la violenza e detestano qualunque concessione fatta dall'alto; un'altra frazione è formata dai patrizi che sognano il ritorno di cose impossibili; poi i gesuiti, che resistono a qualunque misura di modernizzazione; quindi le spie, che istigano ai tumulti, spedite qui dalle potenze straniere. A questi si deve aggiungere una quantità di forestieri, gente accecata, sbandati, che si ingaggia a buon mercato ed è pronta a tutto. Costoro nei giorni scorsi sono stati mandati a far cagnara contro i gesuiti, i quali son sempre pronti a mettersi di traverso sulla via nuova che il governo intende intraprendere. Una contestazione formidabile, si parla niente di meno che di dar fuoco ai conventi…».

gda@vespina.com

TRATTO DA LA STAMPA



lunedì 18 giugno 2012

Li chiamarono briganti

Film completo e integrale Li chiamarono Briganti 1999 diretto da Pasquale Squitieri, buona visione a tutti!!

domenica 10 giugno 2012

Henry Lennox: Le carceri meridionali durante il regime sabaudo

Tristemente note sono le lettere scritte nel 1851 dal politico conservatore inglese William Gladstone, nelle quali egli, dicendo di aver visitato alcuni penitenziari napoletani, raccontava di essere rimasto scioccato dalle condizioni in cui versavano i detenuti. Per Gladstone, lo stato borbonico si presentava in una terribile situazione sociale; in particolare egli si espresse con tali dure parole:

« Non descrivo severità accidentali, ma la violazione incessante, sistematica, premeditata delle leggi umane e divine; la persecuzione della virtù, quand'è congiunta a intelligenza, la profanazione della religione, la violazione di ogni morale, sospinte da paure e vendette, la prostituzione della magistratura per condannare uomini i più virtuosi ed elevati e intelligenti e distinti e culti; un vile selvaggio sistema di torture fisiche e morali. Effetto di tutto questo è il rovesciamento di ogni idea sociale, è la negazione di Dio eretta a sistema di governo. »

L'austero William Ewart Gladstone.Nonostante le accuse di Gladstone suscitarono immediatamente forti dubbi ed ebbero diversi tentativi di confutazione in Italia ed in Europa, i suoi assunti ebbero larga eco in tutto il continente, contribuendo enormemente al sentimento antiborbonico e filorisorgimentale.

Già nel 1852, però, Gladstone ritrattò alcune delle sue affermazioni ed ammise di essere stato in parte abbindolato; nel 1863, rivelò in parlamento di aver costruito le proprie dichiarazioni sulla base delle tesi sostenute da alcuni degli esponenti liberali napoletani. Infine, tornato a Napoli tra il 1888 e il 1889, confessò di non essere mai stato in alcun carcere e di aver scritto le due missive dietro incarico di lord Palmerston, confermando, quindi, che i suoi assunti erano basati sulle affermazioni dei politici antiborbonici.

Molto poco noto, invece, è un discorso tenuto il giorno 8 maggio 1863, da un altro politico inglese, Henry Lennox, che denunciò al parlamento britannico, la terribile condizione in cui versavano i penitenziari meridionali in seguito all'Unità d'Italia.

Nel 1863, Lord Henry Lennox, per sua stessa ammissione, convinto sostenitore di Vittorio Emanuele II di Savoia, visitò, autorizzato dal Generale La Marmora, alcune carceri campane e, fatto ritorno in patria, espose le impressioni ricavate dalla sua visita alla camera dei comuni. Ciò che il politico britannico si trovò davanti agli occhi, lo spinse a dubitare della veridicità delle decantate condizioni di giustizia e libertà in cui avrebbe dovuto versare lo Stato unitario. Egli criticò aspramente il nuovo governo sottolineando come qualsiasi voce dissidente fosse immediatamente messa a tacere attraverso un sistema di arresti arbitrari che contemplavano l'incarcerazione senza processo.

« Nel sud del regno, è stato inaugurato un sistema di sangue, al quale deve essere posto un limite. »
(Cavendish Bentinck, deputato inglese, in un suo intervento alla camera dei comuni l'8 maggio 1863.)

Caricatura di Lennox, disegnata da Carlo Pellegrini per il periodico britannico Vanity Fair nel 1870.Per il carcere partenopeo di Santa Maria Apparente, Lennox dovette constatare che, in quel penitenziario, erano reclusi, da oltre 18-24 mesi, uomini, ritenuti rivoluzionari, che erano stati arrestati ed imprigionati senza mai aver subito un interrogatorio, senza mai essere stati processati e senza che fosse stato loro formalizzato alcun capo d'imputazione. Egli notò come molti detenuti "politici", più che avere l'aspetto di pericolosi rivoluzionari, apparissero come sventurati di umili condizioni e spesso in là con gli anni; riportò inoltre, che le numerose petizioni che richiedevano lo svolgimento dei processi per questi detenuti, una volta inviate a Torino, venivano puntualmente ignorate.

La situazione registrata al carcere della Concordia apparve, agli occhi del Lennox, ben più grave: gli accusati di reati politici erano detenuti in condizioni promiscue con i criminali comuni, tra i quali vi era, finanche, un omicida; tra i detenuti politici, invece, vi erano anche religiosi, anch'essi prelevati dai propri domicili ed imprigionati senza processo e imputazione di capo d'accusa. Nelle carceri femminili, invece, le donne accusate di reati politici erano detenute promiscuamente con le prostitute e le criminali comuni. Della visita al penitenziario femminile di Santa Maria ad Agnone, Lennox riporta il caso delle sorelle Francesca, Carolina, e Raffaella Avitabile, detenute da 22 mesi perché accusate di aver esposto alla finestra della loro abitazione il vessillo delle Due Sicilie.

Spostatosi su Salerno, invece, le condizioni dei detenuti apparvero drammatiche. Il direttore del carcere riferì di un sovraffollamento del suo penitenziario: il numero dei detenuti, 1359 persone, era più che doppio rispetto alla capacità massima della struttura (650 detenuti); ciò aveva comportato lo scoppio di una epidemia di febbre tifoide, che, solo nell'ultima settimana, aveva ucciso, oltre che diversi detenuti, anche il medico della prigione ed un secondino. In una prima cella erano stipate oltre 25 persone, tra civili sospettati di reati politici, religiosi e delinquenti comuni. In un altro locale, trascorrevano la loro intera giornata, fatta salva l'ora d'aria in cortile, 157 uomini, sempre promiscuamente detenuti. Squallore e sporcizia, ancora, erano evidenti in un altro stanzone che conteneva 230 prigionieri in misere condizioni: gli abiti di costoro erano talmente logori, che taluni di essi rasentavano la nudità. A parere di Lennox, il cibo portato ai prigionieri era tale che, in Inghilterra, non sarebbe stato dato in pasto neanche agli animali.

Con circa 1200 prigionieri, anche il carcere della Vicaria era sovraffollato, contenendo circa il doppio dei detenuti di cui era capace, dei quali molti erano ancora in attesa di processo. Il grosso di essi era stipato in 5 stanzoni intercomunicanti in pessime condizioni di igiene. Inoltre, non veniva garantito il necessario grado di sicurezza, poiché, rispetto alla mole di detenuti, il personale di sorveglianza era insufficiente.

Lennox, sostenendo che l'Italia unita doveva la sua esistenza all'Inghilterra, affermò che all'Inghilterra era necessario denunciare tali barbare atrocità: un intervento di Londra avrebbe evitato che la condizione delle popolazioni meridionali, vittime di feroci crudeltà e sovraccaricate da una pesante imposizione fiscale, peggiorasse ulteriormente; avrebbe evitato che una splendida terra fosse lasciata in preda al peggior dispotismo e alle più esasperante sofferenze. In particolare egli invitò Gladstone, che fu così pronto a riferire delle carceri borboniche, a non restare immobile e a farsi portatore anche delle istanze di questi detenuti. Naturalmente ciò non avvenne mai.

Per approfondire: Italy in 1863. Speech Delivered by Lord Henry Gordon Lennox.

AnTuDo
[Bart]

mercoledì 6 giugno 2012

La Strage di Pontelandolfo


All'alba del 14, Pontelandolfo è circondata. Dopo che un plotone, accompagnato dal De Marco, ha contrassegnato le case dei liberali collaborazionisti da salvare, i bersaglieri entrati in Pontelandolfo fucilano chiunque capiti a tiro: preti, uomini, donne, bambini. Le case sono saccheggiate e tutto il paese dato alle fiamme e raso al suolo. Tra gli assassini vi sono truppe ungheresi che compiono vere e proprie atrocità. I morti sono oltre mille. Per fortuna alquanti abitanti sono riusciti a scampare al massacro trovando rifugio nei boschi.
Nicola Biondi, contadino di sessant’anni, è legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri. Costoro ne denudano la figlia Concettina di sedici anni, e la violentano a turno. Dopo un'ora la ragazza, sanguinante, sviene per la vergogna e per il dolore. Il soldato piemontese che la stava violentando, indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alza e la uccide. Il padre della ragazza, che cerca di liberarsi dalla fune che lo tiene legato al palo, è fucilato anche lui dai bersaglieri. Le pallottole spezzano anche la fune e Nicola Biondi cade carponi accanto alla figlia. Nella casa accanto, un certo Santopietro; con il figlio in braccio, mentre scappa, è bloccato dai militari, che gli strappano il bambino dalle mani e lo uccidono.
da uno scritto di ANTONIO PAGANO

giovedì 31 maggio 2012

BELLISSIMO, DA LEGGERE E DIFFONDERE


Il tifone dopo la tempesta – La vera storia dell’Unità d’Italia

Mi sa che quel che butti dalla porta, ti rientra poi dalla finestra….
così fu, che dopo essermi commossa al sentir declamare l’Inno di Mameli da Roberto Benigni a SanRemo, e dopo aver votato (:-P) ed esultato per la vittoria della bellissima canzone di Roberto Vecchioni… mi sento dire dal mio compagno di merende “Leggiti un pò stò libro…”, “Perchè?… ah” leggo il titolo “Terroni.. perchè? Che roba è? Sarà sulle solite cose… la mafia, l’arretratezza, ecc…”. “Leggi, leggi…” diceva lui. Quel giorno, lui, l’uomo che non mostra mai una lacrima e un’emozione era stato sconvolto tutto il giorno. E non capivo perchè.
Per un libro? Cose da pazzi, pensavo. E cominciai a leggere…
La lettura di questo libro per me è stata come una discesa agli inferi, una graduale, inesorabile, implacabile discesa nel fuoco dell’inferno; io che ero pronta a stendere al balcone il tricolore, io che, forse un pò presuntuosamente, ho sempre creduto di avere una certa cultura e di conoscere la storia… ho scoperto che non sapevo un cazzo. A metà libro non cel’ho fatta più: son scoppiata a piangere a dirotto, scossa da singhiozzi talmente violenti da non riuscire a fermarmi (non che mi ci voglia molto a piangere per la verità… ahahah, ma in questo caso lo ricordo ancora con ardore quel momento… mai un libro – nemmeno 1984 di Orwell!!!! – mi aveva scosso alle fondamenta in questo modo). Perchè? Perchè all’improvviso scopro che tutte le belle storielle e favolette che ricordavo con orgoglio – è il mio periodo storico preferito – sul Risorgimento non solo scopro che sono false, ma che son state anche mistificate ad arte e fatte imparare sistematicamente a scuola (perchè sui bambini è facile aver presa demagogica…) con tanto di romanzate versioni letterarie (vedi Cuore di De Amicis, o le varie versioni filmiche…)… all’inizio tu dici “No, non è possibile…”… poi passi al “Bè, ok, ammettiamo che sia vero, però…”, poi al “Basta… più di così non si può…”. E pagina dopo pagina, riga dopo riga scopri invece che sì, peggio ancora e ancor più peggio si può.
No, la cosa che non mi ha sconvolto di più non è stato scoprire le empietà degne dei peggiori nazisti perpetrate, taciute e mai rivendicate, no, nemmeno scoprire le reali trame e sete di potere che soggiacevano alle “leggendarie” gesta dei “cosiddetti” eroi, e neanche scoprire che in realtà eravamo la terza potenza economica e industriale dopo Francia e Inghilterra e che sicuramente, anche se certo i contadini non son mai stati contenti di sottostare ai latifondisti ecc, non avevamo bisogno nè di essere liberati, nè stavamo peggio che in Piemonte, Francia, Inghilterra ecc; no, nemmeno scoprire quanto era ricco il regno delle due Sicile, e che servì quella ricchezza a rimpinguare le casse in rosso dei Savoia e far partire le industrie del nord che (a detta degli austriaci, che le trovavano infruttuose per gli investimenti fatti)stentava a decollare; neanche scoprire con precisione chirurgica quali e quante leggi da 150 anni a questa parte sono state fatte apposta prima per punire e sottomettere, poi per sfruttare e mantenere sottomessi, in virtù di una millantata superiorità dei vincitori, i meridionali e renderli terroni. Neppure scoprire le strategie di deportazione che volevano infliggerci. No, niente di tutto questo mi ha sconvolto più della consapevolezza di esser stata ingannata: nei cosiddetti libri di storia (cioè della storia scritta dai vincitori) non c’è spazio per il milione di vittime, tra civili, soldati e affini, morti o impazziti dalla barbarie dell’invasore, nè per spiegare quel movimento politico di Resistenza armata che fu il “Brigantaggio” (e già il fatto che chi si sia ribellato in nome della libertà sia stato chiamato “brigante” la dice lunga…) o le terribili rappresaglie, a più riprese, molto più spietate e incivili di quanto fu poi fatto dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale….
Ero furiosa, scandalizzata, incredula. Centocinquantanni in cui la storia ci grida in faccia che i meridionali non sono mai stati considerati italiani, non dalla più parte; avevo il sospetto, intuivo, ma mai come ora ho visto con così lampante chiarezza: ci hanno considerato sempre una colonia. Rifletteteci: cosa facevano i Romani? Andavano in un posto, lo mettevano a ferro e fuoco dicendo che era in nome della “luce”, il progresso, che esportavano, lo chiamavano provincia, e poi lo usavano come borsellino monetario e umano, cioè per riscuotere tasse e uomini da mandare in altre gloriose imprese. O no? E cosa ha fatto l’Italia da 150 anni ad oggi? Riscuote le tasse (in questo siamo tutti italiani, eh…), gli uomini da mandare a morire in qualche parte del mondo… ma quando si è trattato di costruire scuole, strade, autostrade, ferrovie, porti (tutti insieme, le cosiddette “infrastrutture”…), investire nelle fabbriche del sud… allora no. Allora non siamo italiani come gli altri, siamo di serie B, veniamo dopo… veniamo sempre dopo…
Ci accusano di non esser in grado di far nulla al sud, che non abbiamo voglia di lavorare, di svilupparci… e io dico a un imprenditore del nord: vieni nel sud a partire da zero, e vediamo se tu ci riesci, senza agevolazioni fiscali (che al nord a più riprese hanno e hanno avuto), senza infrastrutture adeguate, a combattere con la mafia da una parte e lo stato dall’altra… e anzi, scopri addirittura (IL COLMO!!!!) che avevamo industrie coi Borbone e che poi i Savoia ci hanno chiuso, per non avere concorrenza intestina con le industrie del nord, che hanno attuato strategie legislative ed economiche per strozzare in tutti i modi tutto ciò che c’era di produttivo al sud, per favorire l’economia del nord…
Scopri tutto questo, completo di citazioni, rimandi bibliografici, fonti e testimonianze e ti chiedi… ma come abbiamo fatto? Come abbiamo fatto a sopravvivere? Oggi guardo la crisi e penso: se noi che siam partiti da sottozero siamo riusciti, con la forza della disperazione e il sacrificio di generazioni, a far cmq qualcosa e rimanere a galla, mentre l’imprenditoria settentrionale, con tutti i vantaggi che ha avuto e i soldi che ci avevano fregato, e le infrastrutture e il resto… se nonostante tutto adesso stanno annaspando pure loro… mi chiedo: chi ha fatto cosa? vale più il nostro galleggiare “da soli”, o il loro, nonostante tutto “annaspare”?
cioè: capire le ragioni storiche e le vere modalità con cui si decise di fare questa nazione, che no, non eravamo noi i cafoni e gli inetti, ma fummo resi così dalla barbarie del vincitore (perchè di una guerra civile si trattò), scoprire che non è che siamo noi gli inetti e gli incapaci, ma nonostante tutto, anzi, siamo capaci, grazie al nostro ingegno, la creatività, la nostra atavica capacità di arrangiarci anche con poco, capaci dicevo di colmare questo divario insopportabile tra due Italie che, ipocrite, fanno finta di essere una!
E’ radicalmente mutata la mia visione di me stessa come meridionale, della mia terra, della mia nazione, della mia storia e della mia identità…
L’unica cosa a cui pensavo mentre leggevo era “Devono sapere tutti… tutti… una cosa così grossa non può restar nascosta ancora a lungo…” e ho contattato quanti indirizzi potevo contattare sulla posta elettronica, poi su Facebook, e poi a Turi nel mio Paese… adesso scopro che non sono sola: oltre un milione di copie vendute di “Terroni” in tutt’Italia, gente che si cerca su Facebook o in giro, gente che si sta svegliando e no, non ci sta più ed esser ancora “terrona”. Abbiamo sopportato più che a sufficienza… partiamo dalla verità storica, rivendichiamo ciò che ci è stato tolto nella memoria per riacquistare una coscienza da tempo perduta, per tornare a far crescere una terra che ha molto e può dare moltissimo… la verità, dice la Bibbia, vi renderà liberi.
Per concludere riporto una citazione trovata in uan trascrizione di un’intervista a Pino Aprile: “Per liquidare un popolo si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun’ altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia.” Milan Kundera
.
ps. ovviamente, un libro non fa primavera… studiare, capire, approfondire a 360 gradi.
per riferimenti bibliografici: Terroni, Pino Aprile
Controstoria dell’Unità d’Italia, Gigi Di Fiore (lo consiglio, perchè ancora più puntuale di Terroni, e ancora più scandalosamente sconvolgente)
La Briganta, MR Cutrufelli
La conquista del sud, Carlo Alianello (uno dei più determinanti “revisionisti”, stimatissimo studioso, che fu consulente storico per Luchino Visconti nella trasposizione cinematografica del Gattopardo)

TRATTO DA:
http://terronia.wordpress.com/2011/03/19/il-tifone-dopo-la-tempesta-la-vera-storia-dellunita-ditalia/

AUTRICE:
ANGELA: http://terronia.wordpress.com/author/smemorina/

mercoledì 30 maggio 2012

"Area depressa, dunque, il Mezzogiorno?" No, colonia!


In molti conoscono gli scritti di Nicola Zitara sulla condizione di colonia interna cui il "mezzogiorno" è stato assoggettato a seguito dell'annessione al Piemonte e della nascita del Regno D'Italia, prima, e della Repubblica Italiana, poi. Ma quanti hanno letto la vibrante denuncia pubblica del deputato Giorgio Amendola in merito al processo di colonizzazione imposto al "mezzogiorno" nel dopoguerra?
Ve ne proponiamo uno stralcio


"Area depressa, dunque, il Mezzogiorno?
Questo è il termine assunto e non a caso nella relazione governativa.
Noi abbiamo respinto l’applicazione al Mezzogiorno di questa terminologia di origine keynesiana.[……]
Lo sviluppo della teoria delle aree depresse coincide con gli sforzi compiuti dai gruppi capitalistici monopolisti per cercare nuove zone di espansione interne ed esterne che garantiscano un maggiore saggio di profitto. E’ un processo di colonizzazione, in definitiva, che si verrebbe ad operare dove l’azione statale, sul piano tecnico ed economico, ma anche su quello politico e militare, precorre i tentativi espansionistici dei gruppi monopolistici, la cui azione finanziaria è fortemente intrecciata con quella dello Stato. [……]
Naturalmente le aree depresse così "valorizzate" restano colonizzate, ossia private di ogni possibilità di un proprio autonomo sviluppo economico, di una liberazione delle popolazioni dalle loro condizioni di miseria e di un miglioramento del loro tenore di vita . Esse vengono invece sottoposte al giogo di quelle forze monopolistiche che in collegamento allo Stato ne hanno operato la cosiddetta valorizzazione.
Il Mezzogiorno non può essere considerato come una zona depressa. Per superficie e popolazione, esso è un terzo di tutto il paese. La sua popolazione si accresce con continuità dal 1861 ad oggi, anche se non riesce  a trovare un impiego nella produzione. E le regioni meridionali hanno dietro di sè una storia millenaria.
Esso respinge, pertanto, il concetto di colonizzazione, che è intimamente legato a quello di area depressa. Ed invece il termine area depressa è usato non a caso nella relazione governativa. La via per la soluzione della questione meridionale non e quella di un intervento dall’esterno o dall’alto, a mezzo di un ente speciale che, sotto la copertura di un’azione tecnica, aprirebbe la  strada all’espansione di gruppi monopolistici anche stranieri. La via è un’altra: quella di permettere alle stesse popolazioni meridionali di operare il rinnovamento e il progresso economico di quelle regioni e promuovere lo sviluppo delle forze produttive rimuovendo, con una svolta della politica dello Stato italiano verso il Mezzogiorno, e non solo con l’esecuzione di determinate opere pubbliche, le cause di carattere politico e sociale che hanno, dal 1862 in poi, determinato il formarsi di una questione meridionale."
 
Stralcio dell’intervento del Deputato Giorgio Amendola (Discussione  dei  disegni  di  legge:  Istituzione della Cassa  per opere straordinarie di pubblico  interesse nell’Italia meridionale (Cassa per  il  Mezzogiorno, n° 1170)
Atti parlamentari – Camera dei Deputati – Seduta pomeridiana del 20 giugno 1950


Francesca Di Pascale

martedì 29 maggio 2012

La Costituzione della Repubblica Itagliana



Una pagina Facebook (http://www.facebook.com/pages/La-Costituzione-della-Repubbica-Itagliana/121126634629507) ha riscritto i 12 articoli principali della costituzione italiana rapportandola al presente e alla storia degli ultimi 150 anni.
Di seguito vi riportiamo i 12 articoli.


Art. 1:
L'Italia è una Plutocrazia, fondata sul lavoro al nord a la disoccupazione al sud.
La sovranità non appartiene al popolo, ma a individui o gruppi finanziari che, grazie all'ampia disponibilità di capitali, sono in grado d'influenzare in maniera determinante gli indirizzi politici dei rispettivi governi.

Art.  2:
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo padano, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3:
Non tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e non tutti sono eguali davanti alla legge, in particolar modo gli omosessuali, i musulmani, i rifugiati politici, gli extracomunitari, i poveri e i meridionali.
La Repubblica non ha rimosso gli ostacoli di ordine economico e sociale che contribuiscono a mantenere la disuguaglianza tra cittadini del nord e cittadini del sud, impedendo il pieno sviluppo del Mezzogiorno e l'effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, dei cittadini meridionali che non sono collusi con la criminalità organizzata e non sono servi dei partiti tosco-padani.

Art. 4:
La Repubblica riconosce solo ai cittadini del nord il diritto al lavoro e promuove solo al nord le condizioni che rendono effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione solo se concorre al progresso economico del nord.

Art. 5:
La Repubblica, una e indivisibile, non rispetta l’autonomia locale della Sicilia e della Sardegna e non ha mai riconosciuto quella della Napolitania; delega, nel Mezzogiorno, i servizi che dipendono dallo Stato alla criminalità organizzata; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze di individui o gruppi finanziari che, grazie all'ampia disponibilità di capitali, sono in grado d'influenzare in maniera determinante gli indirizzi politici del governo.

Art. 6:
La Repubblica tutela le minoranze linguistiche ma non tutela la lingua napoletana e siciliana, patrimonio dell’Unesco.

Art. 7:
Lo Stato e la Chiesa cattolica non sono indipendenti, dal momento che le modificazioni dei Patti Lateranensi, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Art. 8:
Tutte le confessioni religiose non sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, solo se non recano turbamento al cittadino padano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze previa approvazione della Lega Nord

Art. 9:
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica delle regioni del nord, e non è delegato alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico del Mezzogiorno.

Art. 10:
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge razziale Bossi-Fini.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, è clandestino nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge Bossi-Fini.

Art. 11:
L'Italia non ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che consenta lo sfruttamento delle risorse energetiche locali, comprese quelle delle province meridionali appartenute all’ex regno delle Due Sicilie (ora colonie dell’Itaglia del Nord); promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.


Art. 12:
La bandiera della Repubblica è il tricolore, bandiera giacobina dell'unità d'italia, stendardo simbolo della carboneria, della giovane italia e della massoneria: bianco, rosso e verde, perché bianco e rosso sono due dei tre colori della bandiera francese; il verde al posto del blu francese perché il verde è il colore dell’albero della libertà, simbolo del diritto dei popoli alla libertà di sfruttare i popoli più deboli.

Complimenti agli autori e invitiamo tutti ad iscriversi e a diffondere la pagina.Tratto da:http://www.facebook.com/pages/La-Costituzione-della-Repubbica-Itagliana/121126634629507

sabato 26 maggio 2012

NOI NON SIAMO TERRONI!

“Il termine Brigante è un termine la cui accezione è negativa di per sé ed è stato affibbiato a chi brigante non era.
Terrone, invece, è un termine dall’accezione originale non negativa, ma il cui significato è stato piegato e solo allora è stato poi affibbiato alle persone.
Quindi chi usa terrone lo usa in quanto lo prende in eredità da chi gliel’ha affibbiato dopo averne cambiato il significato e non lo fa usando l’originale accezione. Si sta quindi piegando a identificarsi con una falsa identità creata dal colonizzatore, dato che, alquanto ovvio, non lo avrebbe mai usato in caso contrario, visto che non tutti sono terroni nell’originale accezione, la quale non costituisce identità alcuna.
Mentre chi si auto-definisce Brigante lo fa con la cognizione di causa di chi sa che quell’appellativo fu dato ai patrioti della propria terra e lo fa quindi con l’animo di chi sente patriota nel cuore.
Insomma, due casi completamente diversi.” Vincenzo Russo

http://ilnapolitano.com/post/13629290883/il-termine-brigante-e-un-termine-la-cui-accezione

giovedì 24 maggio 2012

Storie di razzismo antimeridionale. Una testimonianza di una meridionale trapiantata in Veneto



«Che importa che muoia: tanto è un terrone!»
AVEVO anagraficamente ventisette anni, ma scarsa esperienza della realtà: avevo sempre studiato.
Per questo, quando sono entrata, proveniente da Lecce, in una scuola superiore di San Donà di Piave ho impiegato un po’ di tempo a capire.
Io tenevo le mie lezioni di lettere, ero stimata dai miei alunni e dai loro genitori, ma quando mi recavo a supplire in classi diverse dalle mie, in cui non avevo “l’arma” del voto facevo fatica a farmi ascoltare.
Non era soltanto questo: le mie entrate e le mie uscite erano accompagnate da risatine.
Non mi pareva di essere ridicola: certo non ero alta, portavo gli occhiali, ma sapevo il fatto mio.
Ero aliena da ogni pregiudizio giacché, a causa dell’asma della mia sorellina, fin dagli anni cinquanta, la mia famiglia aveva sempre frequentato le Dolomiti: Faé di Longarone, Laggio, Auronzo.
Avevamo molto sofferto per la tragedia del Vajont in cui avevamo perduto amici e conoscenti.
Bambina ero venuta da turista nel Veneto e, conseguita la laurea, tornavo per lavorarci: mi sembrava logico e normale. Non ero forse italiana tra italiani?
Probabilmente a causa di questa buona fede impiegai un po’ di tempo a capire le risatine. Lo capii quando, passando per il corridoio, durante un intervallo, sentii un “Concettina, ah Concettina” pronunciato con un accento che voleva scimmiottare quello di un immaginario meridione.
Restai molto colpita dalla scoperta di essere una terrona e di essere oggetto di scherno.
Mi tornò in mente di quando un mio cuginetto, colpito a sei anni da un tumore al cervello- erano gli anni 50- era stato portato a Milano per essere curato; era stato poi ricondotto a casa dove morì implacabilmente per il brutto male.
Ricordo che i genitori, nonostante il dolore della perdita atroce, raccontavano a noi famigliari che un medico di quell’ospedale di Milano aveva detto ad un collega, riferendosi al loro piccolo e alla sua incurabile malattia: “Che importa che muoia: tanto è un terrone!”
Nel corso della mia permanenza nel Veneto, dove ho messo su famiglia, ci sono stati presidi che mi hanno elogiata dicendomi che ero di “sangue buono” nonostante le origini.
Altri che hanno affermato nei collegi dei docenti che da Roma in giù regna l’ignoranza più completa.
Ho appreso tanti luoghi comuni sul Meridione che hanno piano piano costruito questa leggenda nera di cui io ero parte: sono stata intimamente umiliata.
Il massimo della vicinanza umana l’ho percepita in frasi come: “Tu, però, sei diversa! E poi oramai sei Veneta!”
Poi è venuta la Lega e la situazione è peggiorata ulteriormente: il pregiudizio strisciante è diventato aperto insulto e razzismo.
Le trasmissioni delle radio o delle televisioni locali, i siti di queste organizzazioni sono spaventose per il nazileghismo di cui grondano.
Ora ho sessant’anni, sono andata in pensione, osservo con minore sofferenza questo fenomeno doloroso.
Da questo nasce il mio desiderio di dire agli italiani attenzione: là dove voi credete di votare per un dirigente liberista come Berlusconi o per un politico conservatore come Fini, in realtà date forza ad una formazione ed una mentalità- il leghismo- che vorrebbe epurare il sud e, per ora, lo riempie di insulti e di minacce di morte.
Pensate bene quando voterete: questa destra non è la destra di nazioni come la Francia o la Germania.
E’ una destra che vomita odio e per la quale il concetto di identità è sempre più circoscritto.
Non c’è verso di far comprendere che il sud non è rappresentato soltanto da Mastella e Cuffaro.

Concetta Centonze

San Donà di Piave (VE)


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