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sabato 15 marzo 2014

BIBLIOGRAFIA SULLA VERA STORIA DEL RISORGIMENTO


in continuo aggiornamento.....

* "Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d'Italia (1815-1818"
Antonio Lucarelli, Milano, Longanesi, 1982
* "Il brigantaggio politico delle Puglie dopo il 1860 - Il sergente Romano"
Antonio Lucarelli, Milano, Longanesi, 1982
* "Carmine Crocco Donatelli. Un Brigante guerrigliero"
Antonio De Leo Antonio, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 1983
* "Briganti e senatori"
Alberico Bojano, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1997.
* "Briganti e piemontesi: alle origini della questione meridionale"
Aldo De Jaco, Rocco Curto Editore, 1998
* "A sud del Risorgimento"
Antonio Boccia, Napoli, Tandem, 1998
* "La Sicilia e il brigantaggio"
Luigi Capuana, Carlo Ruta (a cura di) Messina, Edi.bi.si., 2005
* "Dopo Teano: Storie d'amore e di briganti"
Aldo De Jaco, Lacaita, 2001
* "Il brigantaggio meridionale: cronaca inedita dell'Unità d'Italia"
Aldo De Jaco, Editori Riuniti, 1969
* "La chiamarono Unità d'Italia..."
Antonio Grano, Napoli, 2009
* "Il brigante Secola. La sanguinosa rivolta nel Fortore post-unitari"
Antonio Bianco, Benevento, Il Chiostro, 2011
* "I panni sporchi dei Mille"
Angela Pellicciari,(Liberal Edizioni)
* "I Savoia e il massacro del Sud"
Antonio Ciano, Grandmelò
* "Due Sicilie, 1830 – 1880"
Antonio Pagano – Capone, 2002
* "La conquista del Sud: Il Risorgimento nell'Italia Meridionale"
Carlo Alianello, Milano, Edilio Rusconi, 1994
* "Controstoria dell'Unità d'Italia, ribellione popolare e repressione militare 1860-1865"
Carlo Coppola, Lecce, MCE Editore 2003
* "Il Mezzogiorno e l'unità d'Italia"
Carlo Scarfoglio, Parenti Firenze
* "Il Brigantaggio nel Salento"
Carlo Coppola, Matino, Tipografie S. Giorgio, 2005
* "Storia d'Italia"
Denis Mack Smith, Roma-Bari, Giuseppe Laterza e figli, 2000
* "Il potere di punire e perdonare. Banditismo e politiche criminali nel Regno di Napoli in età moderna"
Francesco Gaudioso, Galatina, Congedo, 2006
* "Eroi e briganti"
Francesco Saverio Nitti, Milano, Longanesi, 1946
* "La stangata"
Francesco Del Vecchio (2001) Ed. Libellula
* "I Lager dei Savoia"
Fulvio Izzo (1999), Ed. Controcorrente
* "Regno delle Due Sicilie- tutta la verita"
Gustavo Rinaldi
* "Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio"
Giordano Bruno Guerri
* "Brigantaggio, proprietari e contadini nel Sud (1799-1900)"
Gaetano Cingari, Reggio Calabria, Editori Riuniti 1976
* "Garibaldi,l'avventuriero, il massone, l'opportunista"
Gustavo Rinaldi, ed. Controcorrente
* "Il Brigantaggio dal 1860 al 1865"
Giuseppe Bourelly, Venosa, Osanna, 1987
* "La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti"
Gerlando Lentini
* "1860 - La stangata"
* "1861 Pontelandolfo e Casalduni. Un massacro dimenticato"
Gigi Di Fiore – Grimaldi & C. ed. 1998
* "I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli"
Gigi Di Fiore
* "Gli ultimi giorni di Gaeta. L'assedio che condannò l'Italia all'Unità"
Gigi Di Fiore
* "Controstoria dell'Unità d'Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento"
Gigi Di Fiore, Ed. Rizzoli
* "Indietro Savoia! Storia controcorrente del Risorgimento italiano"
Lorenzo Del Boca, Ed. Piemme
* "Maledetti Savoia"
Lorenzo Del Boca, Ed. Piemme
* "Donne contro: le brigantesse streghe dell’Appennino"
Maria Procino, in «SLM- Sopra il livello del mare» Rivista dell’Istituto Nazionale della montagna, n. 28, 2006
* "L'unità truffaldina"
Nicola Zitara, liberamente scaricabile in formato HTML o RTF
* "Il Sud e l'unità d'Italia"
Giuseppe Ressa e Alfonso Grasso, (e-book)
* "La Storia Proibita -Quando i Piemontesi invasero il Sud-"
vari autori, Ed. Controcorrente, Napoli 2001
* "L'Unità d'Italia: nascita di una colonia"
Nicola Zitara
* "Tutta l'ègalitè"
Nicola Zitara, estratto dalla rivista Separatismo
* "Memorie di quand'ero italiano"
Nicola Zitara
* "Negare la negazione"
Nicola Zitara
* "L'invenzione del Mezzogiorno"
Nicola Zitara,
* "Contro la questione meridionale"
Carlo Capecelatro, Savelli, Roma
* "L'unità d'Italia: guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud"
M. R. Cutrufelli, , Bertani Editore, Verona
* "Don Josè Borges, generale catalano e guerrigliero borbonico, Diario di guerra"
Josè Borjes, Valentino Romano (a cura di) Bari, Adda, 2003
* "Mezzogiorno, emigrazione di massa e sottosviluppo"
Mario Iaquinta, Luigi Pellegrini Editore, 2002
* "Terroni"
Pino Aprile, Piemme 2010
* "Brigantesse. Donne guerrigliere contro la conquista del Sud"
Valentino Romano, Napoli, Crontrocorrente, 2007
* "Il Brigantaggio da Fra’ Diavolo a Crocco"
Marc Monnier, Lecce, Capone
* "Briganti e musica popolare dal nord al Sud"
Pierluigi Moschitti, Gaeta, Sistema Bibliotecario Sud Pontino
* "Il "brigantaggio" politico nella Marca pontificia ascolana dal 1798 al 1865"
Timoteo Galanti, Sant'Atto di Teramo, Edigrafital, 1990
* "Stefano Pelloni detto il passatore: cronache popolari"
Massimo Dursi, Giulio Einaudi Editore, 1963
* "Storia del brigantaggio dopo l’Unità"
Franco Molfese, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1966
* "Brigantaggio e Risorgimento - Legittimisti e Briganti tra i Borbone e i Savoia"
Giovanni De Matteo, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2000
* "Il brigantaggio politico nel brindisino dopo l'Unità"
Vincenzo Carella, Fasano, Grafischena, 1974
* "Il rovescio della medaglia: storia inedita del brigante Stefano Pelloni detto il Passatore"
Leonida Costa, , Fratelli Lega, 1976
* "Cronache del Brigantaggio Meridionale (1806-1815)"
Francesco Barra, Salerno, S.E.M., 1981
* "I fuochi del Basento"
Raffaele Nigro, Milano, Camunia, 1987
* "Carmine Donatelli Crocco, La mia vita da brigante"
Valentino Romano (a cura di) Bari, Adda, 2005
* "Carmine Donatelli Crocco,Come divenni brigante"
Mario Proto (a cura di) - Autobiografia, Manduria, Lacaita, 1995
* "Una storia siciliana fra Ottocento e novecento. Lotte politiche e sociali, brigantaggio e mafia, clero e massoneria a Barrafranca e dintorni"
Salvatore Vaiana, Barrafranca, Salvo Bonfirraro editore, 2000
* "Briganti, arrendetevi!: Ricordi di un antico bersagliere"
Ferdinando Mirizzi, Venosa, Osanna, 1996
* "Brigantaggio, repressione e pentitismo nel Mezzogiorno preunitario"
Francesco Gaudioso,Galatina, Congedo, 2002
* "Calabria ribelle. Brigantaggio e sistemi repressivi nel Cosentino (1860-1870)"
Francesco Gaudioso, Milano, FrancoAngeli, 1996
* "Il banditismo nel Mezzogiorno moderno tra punizione e perdono"
Francesco Gaudioso, Galatina, Congedo Editore, 2001
* "Dossier Brigantaggio. Viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità"
Francesco Mario Agnoli, Napoli, Controcorrente, 2003
* "La Capitanata fra briganti e piemontesi"
Giovanni Saitto, Edizioni del Poggio, 2001
* "La repressione del brigantaggio a Canicattì e dintorni da Francesco Bonanno a Cesare Mori"
Salvatore Vaiana, pubblicato in "Canicattì nuova", Canicattì, 2002.
* "Josè Borjes,La mia vita tra i Briganti"
Tommaso Pedio (a cura di), Manduria, Lacaita
* "Con Dio e per il Re. Diario di guerra del generale legittimista"
Josè Borjes, Napoli, Controcorrente, 2005
* "La guerra cafona: Il brigantaggio meridionale contro la Stato unitario"
Salvatore Scarpino, Milano, Boroli Editore, 2005
* "Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri"
Raffaele Nigro, Milano, Rizzoli Editore, 2006
* "Il Regno perduto"
Antonio Ballarati, Napoli, Edizioni Iuppiter, 2012
* " Dieci anni di storia nascosta"  Michele Bisceglie, Falco Editore, 2011
* "Napoli sfregiata. Frammenti di vita e di strada 1860-1864" Luigi Iros, Tullio Pironti Editore, 2011




lunedì 15 luglio 2013

Raggioni- Per le mercanzie che s'immettono dall'Inghilterra in questo Regno di Napoli. Il ricatto inglese

Verso la fine del 600 il console inglese Davies, faceva notare ai governanti Napoletani come tutta l'area mediterranea fosse in grado di offrire prodotti simili a quelli del Regno a prezzi migliori.

I mercanti inglesi trovavano conveniente esportare l'olio d'oliva dalle piazze "meridionali" solo perchè vi potevano vendere i loro panni di lana, per la cui manifattura lo stesso olio era acquistato.Il documento, accluso al dispaccio del console George Davies del 20 dicembre 1689, in State Paper Foreign, ci evidenzia a pieno il ricatto commerciale inglese.



Raggioni- Per le mercanzie che s'immettono dall'Inghilterra in questo Regno di Napoli



[...] le quattro case Inglesi che risiedono a Napoli, per non esserci altre in tutto il Regno, immettono nella Regia dohana, saie, scotti,scottini, panni,piomho,salume e altri sorte di mercantie di droghi, e altro, e pagando li diritti per quella Regia Dohana,facciasi il conto, conforme alli libri di essa si può riconoscere, che importano da docati novantamila l'anno, le quali mercantie, prohibendosi, sono perduti per la Retia Dohana[...]. Il prezzo delle suddette robbe, che dette quattro Case immettono in Regno, non solo non esce dal Regno, comprando aglio, vino, feccia, grano, sete e altro, e perché il ritratto di dette mercantie che immettono, non basta a pagare il prezzo della robba che estrahono,sono necessitati far entrare il denari, conforme fanno, facendo le tratte, cosî in Livorno, com'in Genova e Venetia. Osservandosi dalli contratti fatti per le compre d'aglio, che il prezzo, la metá pagani in tante polize di loro debitori, e spesse volte un terzo, e del restante ne fanno le tratte per le suddette piazze; onde il denaro delle loro robbe, che immettono, si vede, non esce dal Regno, ma anco ne fanno entrare... E osservasi i libri de Mezzani di cambii, che non trovará, che queste quattro Case inglesi pigliano à cambio da nessuno negotiante, má sempre traheno, e con il trahere, calano li cambii, perché quando vi sono lettere de cambiiper fuori ogni uno sa, ch é causa di calare li cambii.

venerdì 28 settembre 2012

Made in Sud: semplicemente…ci si abitua!

ARTICOLO DI FRANCESCA MARTIRE PRESO DAL GIORNALE ON-LINE: CORSO ITALIA NEWS  DOMENICA 09/23/2012 - 01:00



Semplicemente ci si abitua alla circum che non passa, ai fondi che non arrivano mai, alla malasanità…
Ci si abitua al fatto che tutto QUI funzioni COSì… ci si abitua ad essere chiamati “Terroni”, limitandosi a proferire un riduttivo “Vabbè”.
- Hai visto che bel progetto hanno fatto “SU”? Che bella iniziativa al “NORD”?
- Ma cosa vuoi… QUI funziona COSì…
Eppure chi direbbe che il Cantiere di Castellammare di Stabia fu il primo cantiere navale moderno?
Quanti di noi sanno che la Calabria, già ai tempi dei Borbone, era tra le regioni più industrializzate d’Europa grazie, ma non solo, al polo siderurgico di Mongiana (Vibo Valentia)? E che fu proprio lì che furono costruite le rotaie della Prima linea Ferroviaria italiana Napoli-Portici?
Ci crederebbero pazzi se dicessimo che a Messina è dal ben lontano 1783 che si discutono i primi criteri per la rapida ricostruzione post-sismica, proprio nello stesso luogo in cui ancora oggi numerosi abitanti vivono in baracche dislocate in seguito al terremoto del 1908.
O ancora, ci prenderebbero per matti se parlassimo degli svizzeri che emigrarono per venire a lavorare presso gli stabilimenti tessili di Salerno, Caserta e provincia… Uno tra i più importanti sito a Piedimonte d’Alife.
A coloro che quando vi incontrano non perdono occasione per ricordarvi quanto i Napoletani siano incivili e irrispettosi in tutto e anche nella raccolta differenziata, rispondete che proprio qui, a Napoli, fu varata la prima legge sulla raccolta differenziata per il vetro che sanciva oltre a questo, anche i criteri di pulizia delle strade ad opera del Regno e del singolo proprietario.
A chi definisce il popolo meridionale ignorante, rispondete che è colui che lo dice ad essere tale, perché ignora, ossia non sa che Napoli nel Regno delle Due Sicilie detenne il primato per numero di tipografie esistenti.
Ma forse la colpa dei nostri problemi attuali è delle tasse che non paghiamo? Degli evasori che rigorosamente sono situati al di là della linea immaginaria che divide il cosiddetto “Nord” dal cosiddetto “Sud”, luoghi non geografici ma assolutamente e puramente mentali?
Eppure con i Borbone la tassazione del Regno delle due Sicilie era più lieve rispetto a quella del resto d’Italia... Dunque, tassazione minore uguale maggiore realizzazione cultural-economica..
Un binomio che stride, che urla, che si chiede il perché…
Il perché del cambiamento, il perché di un sogno spezzato, il perché, a distanza di tanti anni, si vorrebbe costruire il Ponte sullo Stretto… in particolare ripensando al successo del primo ponte sospeso in Italia nonchè il primo in Europa continentale, datato 1828-1832 e costruito sul Garigliano, tutt’ora esistente e sprezzante dell’invidia della popolazione inglese e di quella francese; quest’ultima in particolare, che vide crollare il suo Ponte degli Invalidi sulla Senna.
Se la prima cattedra universitaria di economia è stata conferita a Napoli ad Antonio Genovesi, non dovrebbe risultarci difficile fare bene i conti in ambito economico… Eppure i detti conti non tornano se si omettono quelli che per secoli ci hanno descritto come “particolari”, gli stessi particolari che tali non sono in quanto detengono le cause del fenomeno della tanto discussa questione meridionale.
L’amara verità è che quella che avrebbe dovuto essere l’unità d’Italia divenne ahinoi la conquista del Sud ad opera dei Savoia, con conseguente utilizzo dei beni provenienti dal Regno delle Due Sicilie per colmare quelli del Piemonte Savoiardo.
Il quadro che se ne delinea attualmente è che, quello che ora appare come un Sud ribelle rispetto alle regole nazionali, fu invece assoggettato, conquistato, con la perdita di innumerevoli innocenti.
Maltrattamenti, stupri, distruzione, razzie erano all’ordine del giorno, eseguiti dagli stessi “Fratelli d’Italia”.
Generali o presunti tali avevano il compito di domare i “selvaggi”, avallati dalla Legge Pica che concedeva la libertà ai militari di fare tutto ciò che gli passasse per la mente, compreso il diritto di esercitare rappresaglia in ambito sia fisico che monetario.
Nei 40 anni successivi all’Unità d’Italia, i finanziamenti per lo sviluppo ferroviario furono gestiti in modo da collegare il Nord con il Nord ed il Nord con il Sud ma non il Sud con il Sud. Un piccolo esempio, questo, che può ricondurci a realtà quali quella lucana , ad esempio, terra meravigliosa ma purtroppo malamente collegata dal punto di vista dei trasporti.
Ma ciò che lascia ancor più impietriti, è la spesa per coste, spiagge e fari destinata principalmente al Nord… Provate un po’ a pensare alle coste del Sud…Considerate che sono di gran lunga più estese di quelle del Nord e tirate le somme… Ne verrà fuori un focus sull’Italia vista per quello che era e che è, eliminando i punti di vista e, in particolare, quello denigratore nei confronti del Meridione, frutto di un’ideologia sbagliata tramandataci da sempre.
Il Sud viene spesso accusato di aver sprecato innumerevoli quantitativi di fondi ottenuti…Ma è davvero così? In realtà, è da subito dopo l’Unità d’Italia che esso viene derubato e quello che verrà poi definito “brigantaggio” altro non è se non una forma di resistenza al depauperamento incalzante sfociata poi nel fenomeno dell’emigrazione.
Anche volendo esaminare il tutto in tempi recenti, senza guardare troppo indietro, vedremo che il piano Marshall fu rivolto primariamente per la ricostruzione del Nord Italia, già favorito in tempi addietro.
Ciò detto, questo articolo non vuole essere ne è assolutamente un invito a scagliare i suddisti contro i nordisti, ma semplicemente è un monito ad essere imprenditori di se stessi, a credere in ciò che si è.
Perché se è vero che si impara dal passato, noi ne abbiamo uno glorioso e sarebbe davvero un peccato sprecare il sangue di chi ha lottato prima di noi per una Terra migliore, dando il futuro per scontato.
D’altronde, se siamo noi i primi a non scommettere su noi stessi, chi lo farà?
Forse è proprio questo ciò che i nostri avi ci hanno lasciato in eredità, quello che Thomas Sankara definisce con questa succinta quanto significativa frase:
“il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità”.


mercoledì 12 settembre 2012

C'E' TUTTA LA STORIA DEL SUD NELLE VICENDE DI TARANTO

I diversi atteggiamenti dello Stato nella gestione delle due emergenze: a Genova si favorì la chiusura delle cokerie mentre a Taranto no.

La storia sembra ripetersi senza risparmiarne gli errori. E’ la storia del sud, quella che non si trova nei libri di scuola ma nelle ricostruzioni di attenti cronisti. La guerra di unificazione conclusa nel
1862, fu in realtà un’azione di invasione del settentrione; una ‘piemontizzazione’ selvaggia ed aggressiva della penisola. “Il sud fu unito a forza, svuotato dei suoi beni e soggiogato per consentire lo sviluppo del nord”, riporta puntualmente lo scrittore Pino Aprile nel suo libro ‘Terroni’. Come dargli torto visto che ai tempi dell’unità il divario tra le due metà del paese non era ampio come lo è oggi. “Una parte dell’Italia, in pieno sviluppo, fu condannata a regredire e depredata dall’altra, che con il bottino finanziò la propria crescita e prese un vantaggio, poi difeso con ogni mezzo, incluse le leggi”, ancora Pino Aprile, ancora ‘Terroni’. Sprazzi di storia che riaccendono l’attenzione sul peccato originale che oggi, anche a Taranto, i meridionali pagano caro. Lì ha origine quella colonizzazione che molti anni dopo ebbe seguito anche nelle politiche di industrializzazione. Le discariche e le industrie più pericolose, più inquinanti, hanno trovato posto in un sud che non ha mai strutturato una classe politica in grado di riequilibrare la sudditanza di partenza (o forse il gap di potere e rappresentatività era davvero troppo ampio). La necessità di dare una risposta alle esigenze occupazionali, poi, fu, come è tutt’oggi, il miglior viatico all’affermazione degli interessi ufficialmente definiti ‘nazionali’.

Le due ‘italie’

Anche nell’approccio alle problematiche più delicate emergono diversità di trattamento tra le due ‘italie’. Quanto sta accadendo in queste settimane a Taranto, infatti, non può non essere messo a confronto con quando a Genova la stessa Ilva, sempre l’area a caldo, fu bandita per sempre. Per Taranto c’è l’obbligo della convivenza col mostro dell’acciaio, alla città Ligure invece fu ‘concessa’ la facoltà di ribellarsi senza dover lottare contro tutto e tutti ma, addirittura, scoprendo ogni giorno nuovi alleati, anche nello Stato. E quando si entra nel merito della vicenda genovese, dove protagonista negativo fu sempre il Gruppo Riva, le analogie sono tali da far gridare di rabbia i cittadini di Taranto, di serie B.

Genova: quando la chiusura era cosa buona e giusta

Era il 2002 quando, precisamente nel quartiere di Cornigliano, furono chiuse per sempre le cokerie. Inquinavano e ad affermarlo fu uno studio epidemiologico che evidenziò una relazione tra polveri respirabili (diametro inferiore o uguale a 10 micron o PM10) emesse dagli impianti siderurgici e gli effetti sulla salute. Lo studio nel quartiere di Cornigliano prendeva in considerazione le emissioni emesse nel periodo 1988-2001. La mortalità complessiva negli uomini e nelle donne risultò costantemente superiore ai dati rilevati nel resto della città ligure. Nel luglio 2005 fu poi spento anche l’altoforno numero 2 dello stabilimento. Il tutto attraverso un’azione lineare di tutti: dalla magistratura alla politica locale finanche quella nazionale. Ognuno svolgendo il proprio lavoro senza scivolare in quello degli altri: dal ministro dell’ambiente all’ultimo rappresentante istituzionale. Le mappe epidemiologiche furono svolte nella loro interezza con un lavoro certosino che non ebbe difficoltà a pescare in risorse certe. Furono stanziati soldi veri, quelli che per Taranto non sono mai arrivati dagli enti che in realtà sarebbero stati preposti a farlo (i 100 mila euro stanziati dalla Regione lo scorso anno sono serviti appena ad  avviarle e per settembre sono previsti i primissimi dati). Il Governo, poi, invece di osteggiare in tutti modi anche il lavoro dei magistrati come nel caso Taranto, si impegnò con l’azienda affinché la chiusura di tutto ciò che non fosse lavorazione a freddo avvenisse nei tempi e nei modi meno traumatici per l’Ilva e per la città. Oggi che in discussione c’è proprio quell’impianto che si trovò a dover sopperire alla rinuncia ligure, l’atteggiamento è invece quello del colonizzatore, proprio come durante e dopo l’annessione del sud al Piemonte nel 1862. E poco o nulla conta che lo stabilimento genovese era ed è più piccolo di quello ionico.

“Oggi non si interrogano più sulla compatibilità con la
salute. A Genova lo fecero
e ci dettero ragione”

Al riguardo le parole di Federico Valerio, chimico ambientale che nel 2002 fu perito dell’accusa nel procedimento che portò alla chiusura della cokeria di Genova, risuonano sempre più nelle menti dei tarantini come un triste presagio. “In questi giorni la maggiore preoccupazione del Ministro dell’Ambiente, del presidente della Regione, dei sindacati, è quella di impedire la chiusura dell’attività produttiva – afferma Valerio. Pare che nessuno si preoccupi di capire se questa attività produttiva è compatibile con il rispetto degli obiettivi di qualità dell’aria e quindi della salute di chi quell’aria respira. In base all’esperienza genovese, possiamo prevedere quale sia la soluzione per Taranto. La tecnologia delle cokerie di Taranto e di Genova è quella degli anni ’50, assolutamente inadeguata a rispettare i limiti di legge e almeno dieci volte più inquinante delle moderne cokerie che applicano la migliore tecnologia disponibile. Anche per queste nuove cokeria vale la regola, rispettata in gran parte del mondo e basata sul principio di precauzione, di costruire questi impianti ad almeno due chilometri di distanza da zone abitate e da usi del territorio sensibili, quali produzione agricola, allevamenti animali, allevamenti di molluschi, usi presenti a Taranto e già pesantemente penalizzati. Temo di fare una facile profezia: prevarranno gli interessi industriali e il governo dei tecnici troverà qualche accorgimento ‘tecnico’ (deroga, innalzamento dei limiti) per continuare a produrre, inquinando. E in questo caso l’unica bonifica sensata dovrebbe essere di trasferire tutti i 18.000 abitanti a rischio in una “New Tamburi” ad alcuni chilometri di distanza sopravento all’area industriale, ipotesi nient’affatto fantascientifica, visti i tempi: immaginate quanto tutto questo, inciderà sulla crescita del PIL. Comunque – conclude lapidario il chimico ambientale - continuare a produrre acciaio in questo modo non credo che sia una buona scelta per i lavoratori dell’Ilva, giustamente preoccupati di perdere il loro lavoro: la competitività mondiale nella produzione dell’acciaio non si vince con impianti obsoleti, prossimi alla rottamazione e poco efficienti, proprio perché molto inquinanti”.

Taranto non è Genova,
il sud non è il nord...

Taranto, dunque, non è Genova per la politica italiana e il sud non è il nord. Lo si evince dai fatti, dalle parole, dalle prese di posizione. C’è una storia che nessuno vuole che venga raccontata da Roma in giù impedendo una reale presa di coscienza della gente ed una reazione di difesa contro chi dai palazzi di potere vorrebbe decidere chi può morire e chi no, chi può respirare l’aria inquinata e chi no, chi può salvarsi e chi no. C’è il sud nella vicenda Taranto, molto più di quanto vorrebbero far credere. I primi a capirlo sembrano essere stati gli stessi operai che, per la prima volta in modo così organizzato e partecipato, non si accontentano più del pezzo di pane avvelenato sudato in fabbrica. Chiedono prospettive nuove per il territorio, per la città, e solidarizzano con chi ha già perso il lavoro a Taranto per colpa dei veleni (dai mitilicoltori agli allevatori). Stanno dimostrando che sempre meno operai nell’Ilva sono disposti a prestare il volto reale ai personaggi fantasiosi di Paolo Villaggio al cospetto del ‘mega direttore galattico’. In pochi sanno infatti che l’attore ligure lavorò nel centro direzionale di Carignano a inizio anni sessanta. Fu quasi certamente in quella circostanza che, impiegato nella collegata Cosider (anch’essa del gruppo Finsider poi trasformata in Ilva nel 1988), maturò l’ispirazione per i suoi personaggi di maggiore successo. Dipendenti caratterialmente deboli e pronti ad abbassare la testa. In queste settimane, e ancora di più nelle prossime, Villaggio troverebbe a Taranto molti meno Ugo Fantozzi e Giandomenico Fracchia di quelli che raccontò sulla base dell’esperienza maturata cinquant’anni fa. E’ forse il vento che cambia sostenuto dal sospiro di chi non si arrenderà mai.

Gianluca Coviello (TarantoOggi 9 agosto 2012)
g.coviello@tarantooggi.it

domenica 1 luglio 2012

Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania

ARTICOLO TRATTO DAL SOLE24ORE DEL 30/06/2012


Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia.
Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa.
Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873.
Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio.
La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%).
Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali.
Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla.
Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.

ARTICOLO TRATTO DAL SOLE24ORE DEL 30/06/2012

venerdì 22 giugno 2012

Mameli ha letteralmente RUBATO l' inno

Riportiamo un interessantissimo articolo uscito su  La Stampa un paio di anni fa....

L'Inno rubato da Mameli

La polizia lasciava fare? Voglio dire: irruzioni nei caffè…?
Dopo il 30 ottobre «toute la population était dans la rue» scrive Costanza. Benché gli assembramenti fossero stati proibiti, le polizie avevano avuto istruzioni di lasciar fare. Gruppi di moderati, coordinati da Roberto d'Azeglio, andavano in giro a prevenire incidenti, vigilando specialmente sulle sedi dei gesuiti e della legazione austriaca. Un ordine auto-gestito.
Le ronde.
Chiedevano infatti, e lo consideravano un elemento di libertà, la Guardia civica, proprio come a Roma. Problemi di ordine pubblico ce n'erano soprattutto a teatro, dove gli spettacoli non si potevano portare a termine perché alla minima battuta vagamente interpretabile in senso patriottico, e magari scritta dall'autore senza intenzione, il pubblico scattava in piedi, partivano i cori e gli sventolii dei drappi. «Si previene il Pubblico che resta assolutamente proibita qualsiasi clamorosa dimostrazione, come pure di cantare inni, introdurvi bandiere, fischiare o prolungare gli applausi da interrompere il corso delle rappresentazioni»: così, inutilmente, la direzione del Regio, la vigilia di Natale.

Che bandiere agitavano?
L'azzura coccarda di Savoia e il tricolore. Il tricolore era fonte di risse. Non piaceva a Carlo Alberto e alcuni patrioti lo consideravano un vessillo di schiavitù.

Perché?
Perché l'aveva inventato Napoleone, del quale era corretto dire che avesse reso l'Italia schiava… Però Napoleone, mentre faceva schiava l'Italia, aveva pure reso possibile la nascita della "Repubblica Cisalpina…" o della "Repubblica Cispadana…". Il tricolore simboleggiava Napoleone o le repubbliche? Avevano ragione questi e quelli.

E "Fratelli d'Italia"?
Aldo Mola ha dimostrato che non è di Mameli, ma del padre Canata. L'inno è troppo colto per essere di quell'ignorantello di Goffredo. Vi si allude alla repressione austriaca in Galizia, all'episodio del Balilla festeggiato con le luminarie nel '46… Sarebbe stato composto negli stessi giorni in cui Goffredo scriveva alla madre «Mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla» (15 ottobre 1847, da Novi Ligure, dove era in attesa della visita di leva).

E questo padre Canata si sarebbe fatto scippare l'inno?
Mameli morì a vent'anni nella difesa della Repubblica romana. Come sputtanarlo a quel punto? Canata - un prete giobertiano, un cattolico liberale - si sfogò senza far nomi in certi versetti: «A destar quell'alme imbelli / meditò robusto un canto; / ma venali menestrelli / si rapian dell'arpe il vanto…». Michele Novaro ricevette il testo rubato da Mameli in casa di Lorenzo Valerio e, al momento di musicarlo, era così emozionato che rovesciò la lucerna danneggiando l'originale. Che infatti non c'è più. Lo cantarono per la prima volta a Genova, durante le manifestazioni di quel dicembre. Faceva arrabbiare i reazionari allo stesso modo di "Bandiera rossa" sessant'anni dopo.

Come mai proprio a Genova?
Il re era rimasto a Genova per tutto il mese di novembre (siamo sempre al novembre del 1847, in cui si preparava il primo numero del "Risorgimento"). A Genova c'era addirittura più fermento che a Torino. Costanza racconta che i genovesi, scordandosi completamente il vecchio odio per Torino e il Piemonte, s'inginocchiarono addirittura a centinaia davanti a Carlo Alberto, gridando: «Maestà, amnistia per i fratelli esigliati», al che il re piangendo rispose: «Ci penso, figli, ci penso». Aggiunge Costanza: «Tout le monde pleurait».

Chi è "Costanza"?
Costanza d'Azeglio, moglie di Roberto e cognata di Massimo. Era la sorella di Cesare Alfieri. Aveva l'unico figlio Emanuele diplomatico a Pietroburgo. Gli scriveva le novità. Raccontò anche dell'accoglienza trionfale riservata al re alla fine del mese, al rientro a Torino, e dell'agitazione generale che non cennava a placarsi. «On parle, on va, on remue, on aborde, on se réunit» nonostante che il governo (anzi «le Gouvernement») implorasse: «Più di canti, più di suoni, or bisogno più non ho».

È un’epoca in cui si parla solo in versi.
Ci interessa Genova. Traduciamo Costanza: «A Genova succedono fatti gravi, che imbarazzano il Governo e rattristano quelli che credono la forza consistere solo nell'unione e nella legalità. Ci sono in questa città dei partiti che, senza essere abbastanza forti per prendere il sopravvento, mettono in agitazione l'opinione pubblica. Una frazione è costituita dai mazziniani. Costoro sostengono solo quello che il popolo può ottenere con la violenza e detestano qualunque concessione fatta dall'alto; un'altra frazione è formata dai patrizi che sognano il ritorno di cose impossibili; poi i gesuiti, che resistono a qualunque misura di modernizzazione; quindi le spie, che istigano ai tumulti, spedite qui dalle potenze straniere. A questi si deve aggiungere una quantità di forestieri, gente accecata, sbandati, che si ingaggia a buon mercato ed è pronta a tutto. Costoro nei giorni scorsi sono stati mandati a far cagnara contro i gesuiti, i quali son sempre pronti a mettersi di traverso sulla via nuova che il governo intende intraprendere. Una contestazione formidabile, si parla niente di meno che di dar fuoco ai conventi…».

gda@vespina.com

TRATTO DA LA STAMPA



domenica 10 giugno 2012

Henry Lennox: Le carceri meridionali durante il regime sabaudo

Tristemente note sono le lettere scritte nel 1851 dal politico conservatore inglese William Gladstone, nelle quali egli, dicendo di aver visitato alcuni penitenziari napoletani, raccontava di essere rimasto scioccato dalle condizioni in cui versavano i detenuti. Per Gladstone, lo stato borbonico si presentava in una terribile situazione sociale; in particolare egli si espresse con tali dure parole:

« Non descrivo severità accidentali, ma la violazione incessante, sistematica, premeditata delle leggi umane e divine; la persecuzione della virtù, quand'è congiunta a intelligenza, la profanazione della religione, la violazione di ogni morale, sospinte da paure e vendette, la prostituzione della magistratura per condannare uomini i più virtuosi ed elevati e intelligenti e distinti e culti; un vile selvaggio sistema di torture fisiche e morali. Effetto di tutto questo è il rovesciamento di ogni idea sociale, è la negazione di Dio eretta a sistema di governo. »

L'austero William Ewart Gladstone.Nonostante le accuse di Gladstone suscitarono immediatamente forti dubbi ed ebbero diversi tentativi di confutazione in Italia ed in Europa, i suoi assunti ebbero larga eco in tutto il continente, contribuendo enormemente al sentimento antiborbonico e filorisorgimentale.

Già nel 1852, però, Gladstone ritrattò alcune delle sue affermazioni ed ammise di essere stato in parte abbindolato; nel 1863, rivelò in parlamento di aver costruito le proprie dichiarazioni sulla base delle tesi sostenute da alcuni degli esponenti liberali napoletani. Infine, tornato a Napoli tra il 1888 e il 1889, confessò di non essere mai stato in alcun carcere e di aver scritto le due missive dietro incarico di lord Palmerston, confermando, quindi, che i suoi assunti erano basati sulle affermazioni dei politici antiborbonici.

Molto poco noto, invece, è un discorso tenuto il giorno 8 maggio 1863, da un altro politico inglese, Henry Lennox, che denunciò al parlamento britannico, la terribile condizione in cui versavano i penitenziari meridionali in seguito all'Unità d'Italia.

Nel 1863, Lord Henry Lennox, per sua stessa ammissione, convinto sostenitore di Vittorio Emanuele II di Savoia, visitò, autorizzato dal Generale La Marmora, alcune carceri campane e, fatto ritorno in patria, espose le impressioni ricavate dalla sua visita alla camera dei comuni. Ciò che il politico britannico si trovò davanti agli occhi, lo spinse a dubitare della veridicità delle decantate condizioni di giustizia e libertà in cui avrebbe dovuto versare lo Stato unitario. Egli criticò aspramente il nuovo governo sottolineando come qualsiasi voce dissidente fosse immediatamente messa a tacere attraverso un sistema di arresti arbitrari che contemplavano l'incarcerazione senza processo.

« Nel sud del regno, è stato inaugurato un sistema di sangue, al quale deve essere posto un limite. »
(Cavendish Bentinck, deputato inglese, in un suo intervento alla camera dei comuni l'8 maggio 1863.)

Caricatura di Lennox, disegnata da Carlo Pellegrini per il periodico britannico Vanity Fair nel 1870.Per il carcere partenopeo di Santa Maria Apparente, Lennox dovette constatare che, in quel penitenziario, erano reclusi, da oltre 18-24 mesi, uomini, ritenuti rivoluzionari, che erano stati arrestati ed imprigionati senza mai aver subito un interrogatorio, senza mai essere stati processati e senza che fosse stato loro formalizzato alcun capo d'imputazione. Egli notò come molti detenuti "politici", più che avere l'aspetto di pericolosi rivoluzionari, apparissero come sventurati di umili condizioni e spesso in là con gli anni; riportò inoltre, che le numerose petizioni che richiedevano lo svolgimento dei processi per questi detenuti, una volta inviate a Torino, venivano puntualmente ignorate.

La situazione registrata al carcere della Concordia apparve, agli occhi del Lennox, ben più grave: gli accusati di reati politici erano detenuti in condizioni promiscue con i criminali comuni, tra i quali vi era, finanche, un omicida; tra i detenuti politici, invece, vi erano anche religiosi, anch'essi prelevati dai propri domicili ed imprigionati senza processo e imputazione di capo d'accusa. Nelle carceri femminili, invece, le donne accusate di reati politici erano detenute promiscuamente con le prostitute e le criminali comuni. Della visita al penitenziario femminile di Santa Maria ad Agnone, Lennox riporta il caso delle sorelle Francesca, Carolina, e Raffaella Avitabile, detenute da 22 mesi perché accusate di aver esposto alla finestra della loro abitazione il vessillo delle Due Sicilie.

Spostatosi su Salerno, invece, le condizioni dei detenuti apparvero drammatiche. Il direttore del carcere riferì di un sovraffollamento del suo penitenziario: il numero dei detenuti, 1359 persone, era più che doppio rispetto alla capacità massima della struttura (650 detenuti); ciò aveva comportato lo scoppio di una epidemia di febbre tifoide, che, solo nell'ultima settimana, aveva ucciso, oltre che diversi detenuti, anche il medico della prigione ed un secondino. In una prima cella erano stipate oltre 25 persone, tra civili sospettati di reati politici, religiosi e delinquenti comuni. In un altro locale, trascorrevano la loro intera giornata, fatta salva l'ora d'aria in cortile, 157 uomini, sempre promiscuamente detenuti. Squallore e sporcizia, ancora, erano evidenti in un altro stanzone che conteneva 230 prigionieri in misere condizioni: gli abiti di costoro erano talmente logori, che taluni di essi rasentavano la nudità. A parere di Lennox, il cibo portato ai prigionieri era tale che, in Inghilterra, non sarebbe stato dato in pasto neanche agli animali.

Con circa 1200 prigionieri, anche il carcere della Vicaria era sovraffollato, contenendo circa il doppio dei detenuti di cui era capace, dei quali molti erano ancora in attesa di processo. Il grosso di essi era stipato in 5 stanzoni intercomunicanti in pessime condizioni di igiene. Inoltre, non veniva garantito il necessario grado di sicurezza, poiché, rispetto alla mole di detenuti, il personale di sorveglianza era insufficiente.

Lennox, sostenendo che l'Italia unita doveva la sua esistenza all'Inghilterra, affermò che all'Inghilterra era necessario denunciare tali barbare atrocità: un intervento di Londra avrebbe evitato che la condizione delle popolazioni meridionali, vittime di feroci crudeltà e sovraccaricate da una pesante imposizione fiscale, peggiorasse ulteriormente; avrebbe evitato che una splendida terra fosse lasciata in preda al peggior dispotismo e alle più esasperante sofferenze. In particolare egli invitò Gladstone, che fu così pronto a riferire delle carceri borboniche, a non restare immobile e a farsi portatore anche delle istanze di questi detenuti. Naturalmente ciò non avvenne mai.

Per approfondire: Italy in 1863. Speech Delivered by Lord Henry Gordon Lennox.

AnTuDo
[Bart]

mercoledì 6 giugno 2012

La Strage di Pontelandolfo


All'alba del 14, Pontelandolfo è circondata. Dopo che un plotone, accompagnato dal De Marco, ha contrassegnato le case dei liberali collaborazionisti da salvare, i bersaglieri entrati in Pontelandolfo fucilano chiunque capiti a tiro: preti, uomini, donne, bambini. Le case sono saccheggiate e tutto il paese dato alle fiamme e raso al suolo. Tra gli assassini vi sono truppe ungheresi che compiono vere e proprie atrocità. I morti sono oltre mille. Per fortuna alquanti abitanti sono riusciti a scampare al massacro trovando rifugio nei boschi.
Nicola Biondi, contadino di sessant’anni, è legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri. Costoro ne denudano la figlia Concettina di sedici anni, e la violentano a turno. Dopo un'ora la ragazza, sanguinante, sviene per la vergogna e per il dolore. Il soldato piemontese che la stava violentando, indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alza e la uccide. Il padre della ragazza, che cerca di liberarsi dalla fune che lo tiene legato al palo, è fucilato anche lui dai bersaglieri. Le pallottole spezzano anche la fune e Nicola Biondi cade carponi accanto alla figlia. Nella casa accanto, un certo Santopietro; con il figlio in braccio, mentre scappa, è bloccato dai militari, che gli strappano il bambino dalle mani e lo uccidono.
da uno scritto di ANTONIO PAGANO

giovedì 31 maggio 2012

BELLISSIMO, DA LEGGERE E DIFFONDERE


Il tifone dopo la tempesta – La vera storia dell’Unità d’Italia

Mi sa che quel che butti dalla porta, ti rientra poi dalla finestra….
così fu, che dopo essermi commossa al sentir declamare l’Inno di Mameli da Roberto Benigni a SanRemo, e dopo aver votato (:-P) ed esultato per la vittoria della bellissima canzone di Roberto Vecchioni… mi sento dire dal mio compagno di merende “Leggiti un pò stò libro…”, “Perchè?… ah” leggo il titolo “Terroni.. perchè? Che roba è? Sarà sulle solite cose… la mafia, l’arretratezza, ecc…”. “Leggi, leggi…” diceva lui. Quel giorno, lui, l’uomo che non mostra mai una lacrima e un’emozione era stato sconvolto tutto il giorno. E non capivo perchè.
Per un libro? Cose da pazzi, pensavo. E cominciai a leggere…
La lettura di questo libro per me è stata come una discesa agli inferi, una graduale, inesorabile, implacabile discesa nel fuoco dell’inferno; io che ero pronta a stendere al balcone il tricolore, io che, forse un pò presuntuosamente, ho sempre creduto di avere una certa cultura e di conoscere la storia… ho scoperto che non sapevo un cazzo. A metà libro non cel’ho fatta più: son scoppiata a piangere a dirotto, scossa da singhiozzi talmente violenti da non riuscire a fermarmi (non che mi ci voglia molto a piangere per la verità… ahahah, ma in questo caso lo ricordo ancora con ardore quel momento… mai un libro – nemmeno 1984 di Orwell!!!! – mi aveva scosso alle fondamenta in questo modo). Perchè? Perchè all’improvviso scopro che tutte le belle storielle e favolette che ricordavo con orgoglio – è il mio periodo storico preferito – sul Risorgimento non solo scopro che sono false, ma che son state anche mistificate ad arte e fatte imparare sistematicamente a scuola (perchè sui bambini è facile aver presa demagogica…) con tanto di romanzate versioni letterarie (vedi Cuore di De Amicis, o le varie versioni filmiche…)… all’inizio tu dici “No, non è possibile…”… poi passi al “Bè, ok, ammettiamo che sia vero, però…”, poi al “Basta… più di così non si può…”. E pagina dopo pagina, riga dopo riga scopri invece che sì, peggio ancora e ancor più peggio si può.
No, la cosa che non mi ha sconvolto di più non è stato scoprire le empietà degne dei peggiori nazisti perpetrate, taciute e mai rivendicate, no, nemmeno scoprire le reali trame e sete di potere che soggiacevano alle “leggendarie” gesta dei “cosiddetti” eroi, e neanche scoprire che in realtà eravamo la terza potenza economica e industriale dopo Francia e Inghilterra e che sicuramente, anche se certo i contadini non son mai stati contenti di sottostare ai latifondisti ecc, non avevamo bisogno nè di essere liberati, nè stavamo peggio che in Piemonte, Francia, Inghilterra ecc; no, nemmeno scoprire quanto era ricco il regno delle due Sicile, e che servì quella ricchezza a rimpinguare le casse in rosso dei Savoia e far partire le industrie del nord che (a detta degli austriaci, che le trovavano infruttuose per gli investimenti fatti)stentava a decollare; neanche scoprire con precisione chirurgica quali e quante leggi da 150 anni a questa parte sono state fatte apposta prima per punire e sottomettere, poi per sfruttare e mantenere sottomessi, in virtù di una millantata superiorità dei vincitori, i meridionali e renderli terroni. Neppure scoprire le strategie di deportazione che volevano infliggerci. No, niente di tutto questo mi ha sconvolto più della consapevolezza di esser stata ingannata: nei cosiddetti libri di storia (cioè della storia scritta dai vincitori) non c’è spazio per il milione di vittime, tra civili, soldati e affini, morti o impazziti dalla barbarie dell’invasore, nè per spiegare quel movimento politico di Resistenza armata che fu il “Brigantaggio” (e già il fatto che chi si sia ribellato in nome della libertà sia stato chiamato “brigante” la dice lunga…) o le terribili rappresaglie, a più riprese, molto più spietate e incivili di quanto fu poi fatto dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale….
Ero furiosa, scandalizzata, incredula. Centocinquantanni in cui la storia ci grida in faccia che i meridionali non sono mai stati considerati italiani, non dalla più parte; avevo il sospetto, intuivo, ma mai come ora ho visto con così lampante chiarezza: ci hanno considerato sempre una colonia. Rifletteteci: cosa facevano i Romani? Andavano in un posto, lo mettevano a ferro e fuoco dicendo che era in nome della “luce”, il progresso, che esportavano, lo chiamavano provincia, e poi lo usavano come borsellino monetario e umano, cioè per riscuotere tasse e uomini da mandare in altre gloriose imprese. O no? E cosa ha fatto l’Italia da 150 anni ad oggi? Riscuote le tasse (in questo siamo tutti italiani, eh…), gli uomini da mandare a morire in qualche parte del mondo… ma quando si è trattato di costruire scuole, strade, autostrade, ferrovie, porti (tutti insieme, le cosiddette “infrastrutture”…), investire nelle fabbriche del sud… allora no. Allora non siamo italiani come gli altri, siamo di serie B, veniamo dopo… veniamo sempre dopo…
Ci accusano di non esser in grado di far nulla al sud, che non abbiamo voglia di lavorare, di svilupparci… e io dico a un imprenditore del nord: vieni nel sud a partire da zero, e vediamo se tu ci riesci, senza agevolazioni fiscali (che al nord a più riprese hanno e hanno avuto), senza infrastrutture adeguate, a combattere con la mafia da una parte e lo stato dall’altra… e anzi, scopri addirittura (IL COLMO!!!!) che avevamo industrie coi Borbone e che poi i Savoia ci hanno chiuso, per non avere concorrenza intestina con le industrie del nord, che hanno attuato strategie legislative ed economiche per strozzare in tutti i modi tutto ciò che c’era di produttivo al sud, per favorire l’economia del nord…
Scopri tutto questo, completo di citazioni, rimandi bibliografici, fonti e testimonianze e ti chiedi… ma come abbiamo fatto? Come abbiamo fatto a sopravvivere? Oggi guardo la crisi e penso: se noi che siam partiti da sottozero siamo riusciti, con la forza della disperazione e il sacrificio di generazioni, a far cmq qualcosa e rimanere a galla, mentre l’imprenditoria settentrionale, con tutti i vantaggi che ha avuto e i soldi che ci avevano fregato, e le infrastrutture e il resto… se nonostante tutto adesso stanno annaspando pure loro… mi chiedo: chi ha fatto cosa? vale più il nostro galleggiare “da soli”, o il loro, nonostante tutto “annaspare”?
cioè: capire le ragioni storiche e le vere modalità con cui si decise di fare questa nazione, che no, non eravamo noi i cafoni e gli inetti, ma fummo resi così dalla barbarie del vincitore (perchè di una guerra civile si trattò), scoprire che non è che siamo noi gli inetti e gli incapaci, ma nonostante tutto, anzi, siamo capaci, grazie al nostro ingegno, la creatività, la nostra atavica capacità di arrangiarci anche con poco, capaci dicevo di colmare questo divario insopportabile tra due Italie che, ipocrite, fanno finta di essere una!
E’ radicalmente mutata la mia visione di me stessa come meridionale, della mia terra, della mia nazione, della mia storia e della mia identità…
L’unica cosa a cui pensavo mentre leggevo era “Devono sapere tutti… tutti… una cosa così grossa non può restar nascosta ancora a lungo…” e ho contattato quanti indirizzi potevo contattare sulla posta elettronica, poi su Facebook, e poi a Turi nel mio Paese… adesso scopro che non sono sola: oltre un milione di copie vendute di “Terroni” in tutt’Italia, gente che si cerca su Facebook o in giro, gente che si sta svegliando e no, non ci sta più ed esser ancora “terrona”. Abbiamo sopportato più che a sufficienza… partiamo dalla verità storica, rivendichiamo ciò che ci è stato tolto nella memoria per riacquistare una coscienza da tempo perduta, per tornare a far crescere una terra che ha molto e può dare moltissimo… la verità, dice la Bibbia, vi renderà liberi.
Per concludere riporto una citazione trovata in uan trascrizione di un’intervista a Pino Aprile: “Per liquidare un popolo si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun’ altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia.” Milan Kundera
.
ps. ovviamente, un libro non fa primavera… studiare, capire, approfondire a 360 gradi.
per riferimenti bibliografici: Terroni, Pino Aprile
Controstoria dell’Unità d’Italia, Gigi Di Fiore (lo consiglio, perchè ancora più puntuale di Terroni, e ancora più scandalosamente sconvolgente)
La Briganta, MR Cutrufelli
La conquista del sud, Carlo Alianello (uno dei più determinanti “revisionisti”, stimatissimo studioso, che fu consulente storico per Luchino Visconti nella trasposizione cinematografica del Gattopardo)

TRATTO DA:
http://terronia.wordpress.com/2011/03/19/il-tifone-dopo-la-tempesta-la-vera-storia-dellunita-ditalia/

AUTRICE:
ANGELA: http://terronia.wordpress.com/author/smemorina/

mercoledì 9 maggio 2012

È sorto un piccolo regno di second’ordine (di Fëdor Michajlovic' Dostoevskij)

per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, [...] un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!"

Fëdor Michajlovic' Dostoevskij, Diario di uno scrittore, ed. it. a cura di Ettore Lo Gatto, Sansoni, Firenze 1981, 1877, Maggio-Giugno, capitolo secondo, pp. 925-926.

Perche' siamo colonia?

DEFINIZIONE e COMMENTI - Colonia, in diritto internazionale, si intende un territorio la cui sovranità non appartiene alla popolazione autoctona (duosiciliani o napoletani e siciliani) ma ad uno stato straniero che lo occupa militarmente (piemontesi), ne utilizza le risorse naturali (forza lavoro, cervelli, estrazione di petrolio e gas in Sicilia, Puglia, Lucania e Calabria) e lo amministra con un ordinamento giuridico particolare (mafia e clientelismo, una democrazia fasulla) in base al quale i diritti delle popolazioni autoctone non sono equiparati a quelli dei cittadini dello stato occupante (l'emigrata, la malasanita', la sicurezza, il diritto alla salute ed alla vita, al "Sud Italia" i diritti sono privilegio di pochi, i diritti si barattono per massimare il profit degli industriali del centro-nord, mentre al centro-nord, sono cosa di fatto).

LA NOSTRA SITUAZIONE ATTUALE

DIRITTI e DOVERI - La cittadinanza italiana implica diritti e doveri, i cittadini italiani che popolano il "Sud Italia" (non siamo sud di nessuno ma Napolitania e Sicilia) vedo da 150 anni i loro diritti fondamentali elusi, oggi per tante zone del "Sud Italia" il diritto alla salute ed alla vita viene calpestato dalla simbiosi stato-capitalismo selvaggio-mafie per fini economici che arricchiscono esclusivamente una parte dell'Italia, quella del nord. Cosi come il diritto al lavoro che come nel caso piu' eclatante della ILVA di Taranto, politica locale e nazionale baratta questo diritto con il diritto alla salute dei lavoratori e delle popolazioni che vivono nelle vicinanze dell'ILVA, per non parlare della catasfrofe ecologica di proprozione bibliche che l'ecomafia ha prodotto in Campania.
C'è da ricordare che gli abitanti del "Sud Italia" in maggioranza adiempono ai loro doveri verso la comunità e lo stato allo stesso modo come gli abitanti del centro-nord, anche se costretti a pagare doppie tasse in forma di pizzo alle mafie o con "mazzette" o altre prestazioni di altra natura per vedersi i loro diritti rispettati.

DEMOCRAZIA - le elezioni sono una farsa, se prima esisteva un voto di scambio ora esiste una compravendita di voti. Gli aventi diritto al voto della Napolitania e della Sicilia sono costretti a scegliere sempre tra il minor dei mali e quasi sempre partiti nazionali con la loro base di potere a nord o partiti locali asserviti al potere politico-economico del nord. Una cifra impressionante è che solo il 30% degli eletti in Napolitania e Sicilia sono "meridionali" (cioe' napolitani o siciliani).

CONSUMATORI - l’80% dei beni di consumo venduti in Napolitania ed in Sicilia sono importati dal centro-nord. Spesso la filiera alimentare parte proprio dal "Sud Italia", dove alimenti di alta qualità vengono prodotti e svenduti e no venduti dai piccoli e medii coltivatori alle grande imprese del centro-nord che con il ricatto danno una miseria ai coltivatori della Napolitania e la Sicilia, il ricatto consiste nel fatto che se i coltivatori napolitani e siciliani non vedono a quei prezzi che le grandi imprese del centro-nord impongono queste imprese, queste ultime comprano prodotti esteri di bassa qualità ed a bassissimo prezzo e quindi tagliano fuori i nostri coltivatori fuori dal grande mercato della distribuzione e del consumo. Questa si chiama globalizzazione per gli imprenditori tosco-padani, ma la verita' è che questa è concorrenza sleale verso i coltivatori ed i consumatori, le industrie usano la globalizzazione per mettere in moto la guerra trai poveri e cosi massimizzare il loro profit, dall'altro lato i coltivatori nostrani svendono i loro prodotti per non essere chiusi fuori dal mercato, i consumatori pagana il prezzo per il prodotto pregiato anche se è stato pagato alla fonte come un prodotto a basso prezzo o addirittura alterato con prodotti simili ma di bassa qualita' come nel caso dell'olio di oliva extra vergine.

RISPARMIATORI - non esistendo più una solo banca napolitana o siciliana, i nostri risparmi vanno a finanziare le banche del centro-nord, che a loro volta finanziano l'apparato produttivo industriale del centro-nord, che a lora volta finaziano i loro partiti per mantenere anche il potere politico, un circolo vizioso o catch-22.

INFRASTRUtTURE - utilizziamo malfunzionanti o obsolete infrastrutture realizzate dal apparato produttivo industriale del centro-nord, i grandi appalti sono appannaggio delle multinazionali del centro-nord, spesso se utilizziamo infrastrutture a pagamento i ricavati vanno ad arricchire imprese del centro-nord o allo sviluppo di nuove infrastrutture sempre a centro-nord. Esiste un drenaggio di risorse economiche sui servizi dal "Sud Italia" verso il centro-nord. Incredibile ma vero ancora oggi certe zone della Sicilia soffrono di siccita' anche se la Sicilia non è ne zona desertica ne terzo mondo.

RISORSE ENERGETICHE - La rete energetica nazionale è a senso unico il surplus energetico del "Sud Italia" alimenta la rete energetica del centro-nord, ma il surplus del centro-nord non viene immesso nella rete energetica del "Sud Italia", ma venduto all'estero, questo provoca disagi nelle ore di peak alle nostre poche industrie ed agli abitanti di tante aree, ancora oggi 2011 c'è chi deve sopportare che l'energia elettrica viene a mancare. La Napolitania e la Sicilia contribuiscono con l'estrazione di petrolio al 7% del fabbisogno italiano.
Se Napolitania e Sicilia fossero nazioni indipendenti in questo caso federate, con il petrolio estratto in terra nostra il nostro fabbisogno sarebbe soddisfatto per piu' del 40%, questa cifra deve essere messa a confronto con il fabbisogno che noi soddisfiamo nell'Italia unita del 7%. Poi ci sono le estrazioni di gas e da altre fonti, anche queste molto consistenti ma che il nord divora. I popoli napolitani e siciliani di queste estrazioni non vedono un euro, anzi subiscono i danni ambientali e quindi alla salute che spesso siccome il lavoro è una cosa preziosa che non si trova facilmente dalla nostri parti si baratta il diritto alla salute e di conseguenza alla vita con qualche posto di lavor. Volete incazzarvi di più leggte anche qui (http://www.facebook.com/?ref=logo#!/note.php?note_id=432679598887).

ASSICURATI - obbligati a sottostare al razzismo delle compagnie assicuratrici settentrionali.

TUTORI DELL’ORDINE E FORZE ARMATE - In nessun paese occidentale, gli abitanti di una determinata area geografica sono mai stati USATI come carne da macello cosi come i napolitani ed i siciliani. Guerre inutili, guerre utili come quella contro le mafie, missioni di pace ed altro; oltre il 70% del personale delle forze dell'ordine e delle forze armate sono napolitani e siciliani.

(Luigi Ferrara)

venerdì 4 maggio 2012

falsi episodi, i luoghi comuni, le leggende costruite dall'iconografia ufficiale circa la storia del Risorgimento

Il piemontese Lorenzo Del Boca a pag. 8 del suo ormai classico volume Maledetti Savoia (Piemme, 1998), comincia ad elencare i falsi episodi, i luoghi comuni, le leggende costruite dall'iconografia ufficiale circa la storia del Risorgimento italiano come viene ancora oggi studiata da scolari e studenti sui testi scolastici.
Nel medesimo volume si scopre così ad esempio, come il Regno Borbonico delle Due Sicilie non fosse affatto arretrato e sottosviluppato come la propaganda successiva all'unificazione volle dipingerlo. Scrive sempre Del Boca: «...Il Meridione riceveva gli ospiti in saloni arricchiti da arazzi, serviva vini pregiati in cristallerie delicate, proponeva tavole imbandite con pizzi e vasellame di Capodimonte. A Torino usavano ancora i piatti di legno. Il Sud conservava la raffinatezza culturale greca e araba e l'Università di Filosofia - fra docenti e studenti - poteva annoverare il meglio dell'”intelligentia” del tempo. Al Nord parlavano un dialetto venuto dai barbari d'oltralpe. Nelle province napoletane si lavorava il ferro, la ceramica, i filati. Le fabbriche di Pietrarsa e l'Opificio Reale rappresentavano il maggior complesso siderurgico dell'Europa del sud, in grado di reggere la concorrenza con Austria e Prussia. Erano dotati di un motore a vapore capace di sprigionare energia per 160 cavalli. Ci lavoravano 1000 operai e altri 7000 vivevano dei manufatti dell'indotto. La fonderia Orotea di Palermo, di proprietà della famiglia Florio, era conosciuta nel mondo per i prodotti di precisione e impegnava 600 operai. Venne poi smantellata per lasciare spazio all'Ansaldo di Genova. Il mercato tessile era saldamente in mano al Meridione. Lo stabilimento di Piedimonte d'Alife, dello svizzero Egg contava 1300 operai 36 filatoi e 500 telai. La maggiore filanda del Nord, la Conti di Milano, impiegava 415 operai.
“ll sud aveva costruito le industrie di Scafati di Mayer e Zollinger, quella di Pallenzano e quella di Salerno. A San Leucio, su 80 ettari di terreno, sorse la più imponente seteria di quei tempi. Il gruppo industriale Guppy, con il socio d'affari Pattison, avviò un'azienda a Napoli per la costruzione di macchine agricole e locomotive a vapore: trovarono posto 1200 dipendenti. Cinquecento metalmeccanici operavano nella Real Fonderia di Castelnuovo, altrettanti nella Reale Manifattura di armi a Torre Annunziata.

giovedì 3 maggio 2012

L' ULTIMO SOVRANO (Il Re Brigante)

Le iniquità della Storia non resteranno impunite.

Io sono un principe italiano illegalmente spogliato del suo potere, è qui l'unica casa che mi è rimasta, qui è un lembo della mia patria, qui sono vicino al mio Regno ed ai sudditi miei… vengono chiamati assassini e briganti quegli infelici che difendono in una lotta diseguale l'indipendenza della loro patria e i diritti della loro legittima dinastia. In questo senso anche io tengo per un grand'onor di essere un brigante! (durante la permanenza in esilio nello Stato Pontificio)

I miei affetti sono qui. Io sono napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole d'addio ai miei amatissimi popoli, ai miei compatrioti. Qualunque sarà il mio destino, prospero od avverso, serberò sempre per essi forti ed ammirevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Che uno smodato zelo per la mia Corona non diventi fonte di turbolenze. Sia che per le sorti della presente guerra io ritorni in breve fra voi, o in ogni altro tempo in cui piacerà alla giustizia di Dio restituirmi al trono dei miei maggiori, fatto più splendido dalle libere istituzioni di cui l'ho irrevocabilmente circondato, quello che imploro da ora è di rivedere i miei popoli concordi, forti e felici.
(Francesco II delle Due Sicilie, 6 settembre 1860)


Popoli delle Due Sicilie… si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi nelle vostre miserie… quando veggo i sudditi miei, che tanto amo, in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati… calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore Napoletano batte indignato nel mio petto… contro il trionfo della violenza e dell'astuzia. Io sono Napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria… i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua la mia lingua, le vostre ambizioni le mie ambizioni. …ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esporla agli orrori di un bombardamento… Ho creduto di buona fede che il Re di Piemonte, che si diceva mio fratello, mio amico… non avrebbe rotto tutti i patti e violate tutte le leggi per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra… Le finanze un tempo così floride sono completamente rovinate: l'Amministrazione è un caos: la sicurezza individuale non esiste… Le prigioni sono piene di sospetti… in vece di libertà lo stato di assedio regna nelle province… la legge marziale… la fucilazione istantanea per tutti quelli fra i miei sudditi che non s'inchinino alla bandiera di Sardegna… E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permetta che cada sotto i colpi del nemico straniero… mi ritirerò con la coscienza sana… farò i più fervidi voti per la prosperità della mia patria, per le felicità di questi Popoli che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia.
(Francesco II delle Due Sicilie, 8 dicembre 1860)

Non sono i miei sudditi che mi hanno combattuto contro; non mi strappano il Regno le discordie intestine, ma mi vince l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero.
Voi sognate l'Italia e Vittorio Emanuele, ma purtroppo sarete infelici. I napoletani non hanno voluto giudicarmi a ragion veduta; io però ho la coscienza di avere fatto sempre il mio dovere, ad essi rimarranno solo gli occhi per piangere. (Francesco II delle Due Sicilie)

La ridicolizzazione attraverso cui la storiografia post-risorgimentale ha consegnato ai posteri un'immagine storpiata di quel sovrano, è nient'altro che un'ennesima manifestazione di infierimento su un vinto.(Paolo Mieli)

mercoledì 2 maggio 2012

Giacinto De Sivo (1814-1867) - La sovversione settaria

E' una potenza sotterranea, che fa guerra a tutte le
potenze della terra. Essa non è già italiana soltanto, ma
spanuola bensì, e francese, e alemanna e russa e britanna e
americana; da ogni banda ha misteriosi o palesi conciliaboli;
stende in qualunque luogo sue branche, si impadronisce
della letteratura e delle scuole, lancia i suoi sofismi
capziosi, e propugna motti ed opinioni. Essa corrompe la
popolazione, inventa la storia, investe le giovanili menti, e
le abbarbaglia con le splendide parole di libertà, di giustizia
e indipendenza; e mentre il contrario vuole e fa,
ipocritamente fa grandi promesse, abbassa con calunnie i
virtuosi, magnifica i suoi adepti, e lor fa strada a' governi,
a' magistrati, alle università, alle milizie, e talvolta agli alti
seggi del clero; e sinnanco le reggie ed i troni, e i consiglieri
de' regi, ed i regi stessi corrompe e fa suoi.

venerdì 27 aprile 2012

L'unità fu fatta per sfruttarne la parte ricca

La produzione italiana di petrolio rappresenta circa il 7% del consumo totale di petrolio in Italia, il rimanente 93% viene importato. Di questo 7% la maggior parte viene estratto nel Sud Italia, portando rischi e conseguenze ambientali, ma anche scarse opportunita' di lavoro e ridicoli guadagni sulle royalities, che tra altro sono le piu' basse del mondo e nessun rientro agli enti locali o alle comunita' dove si estrae il petrolio.Nel Mezzogiorno il consumo reale di petrolio si agira in grosso modo intorno al 16-17% del consumo totale di petrolio in Italia, se ora facciamo due conti si scopre che se ipoteticamente si consumano 100x di petrolio in Italia, il Sud ha la sua parte di consumo intorno ai 17x di petrolio, se ora al Sud ne produciamo 7x, quale è il bisogno reale di importazione di petrolio per il Sud? Facile 7x/17x=41,2% è quello che produciamo del consumo totale di petrolio per il Sud, 100%-41,2%=58,8%, il Sud se fosse nazione indipendente dovrebbe importare il 58,8% del suo fabbisogno di petrolio a confronto a l'Italia Unita che ne deve importare il 93%. A questo c'è da chierersi in maniera indignata chi CAZZO è il PARASSITA???
Questo discorso l'hanno fatto i leghisti ma al contrario sulla produzione di energia elettrica, infatti oggi siamo al federalismo energetico, almeno quella parte che riguarda i consumi ed i costi energetici e nessuno sembra averlo notato. L'art. 3 del Dl 185/08 2009, anche chiamato "Decreto anticrisi" imposto con voto di fiducia alla fine di gennaio 2009, al comma 12 dice: "Entro 24 mesi dall'entrata in vigore del presente decreto-legge, l'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, su proposta del gestore della rete di trasmissione nazionale, suddivide la rete rilevante in tre macro-zone."
In parole povere il governo ha deciso di dividere in tre parti l'Italia anche dal punto di vista energetico, cosa che porta alla differenziazione del sistema delle tariffe, attualmente determinato dall'Authority nazionale dell'energia elettrica, la quale stabilisce il prezzo unico in bolletta, calcolandolo in base ai costi medi di generazione dell'energia offerti dai grossisti alla borsa elettrica. In un colpo solo il governo è riuscito a mettere a segno due obiettivi storici privatizzazione e secessione: il prezzo dell'energia verrà calcolato non più a livello nazionale ma indipendentemente nelle tre macro-aree, e non più sulla base dei costi di generazione bensì sulla base dei prezzi di vendita offerti dalle diverse aziende (art. 3 comma a). Anche se il decreto parla di massimo 3 macro Aree (Nord, Centro e Sud) con l'impellente federalismo fiscale si rischia no lo spezzettamento in tre parti, ma la polverizzazione del sistema energetico: nella migliore delle ipotesi le "macro-aree" saranno 20 quante sono le regioni italiane, nella peggiore saranno quante le province, cosa che chiedono una gran parte degli industriali del nord-est. Di certo c'è che il Sud sarà gravemente penalizzato in quanto è noto che nelle Regioni del Mezzogiorno il costo dell'energia e del gas è più alto a causa della mancanza di efficaci infrastrutture energetiche di sostegno: ancora oggi molte zone dell'Italia meridionale non sono collegate alla rete nazionale mentre le perdite e le disfunzioni nella distribuzione di energia e gas sono all'ordine del giorno, mentre il sistema produttivo primario e secondario è al collasso. Al Sud il costo è più alto anche perchè l'energia elettrica prodotta al Sud sale verso il Nord mentre quella prodotta in eccesso nel Nord non viene trasferita al Sud. C'è da tenere in mente che il fabbisogno elettrico del Sud è di una massima di 4 miliardi di kilowattora al mese (cioè ca. 15% del totale nazionale).
Cosa sta per succedere lo si può quindi dedurre leggendo le attuali incredibili asimmetrie di prezzo registrate dalla Terna (il gestore della rete di trasporto dell'energia): se il prezzo medio per megawatt dell'energia elettrica in Italia è di ca. 115 euro, 1 megawatt di elettricità prodotto nel Settentrione costa ca. 107 euro, al Centro e nel Meridione ca. 123 euro, in Sardegna 113 euro e in Sicilia la stratosferica cifra di 171 euro, oltre 55 euro sopra la media nazionale.
Un costo basso dell'energia elettrica e del gas è di enorme importanza per lo sviluppo economico delle Sud, la Sicilia, ad esempio, è destinata ad essere tagliata letteralmente fuori dal sistema produttivo. Come potrà competere se solamente l'approvvigionamento energetico costa circa un 45% in più del Nord?
Se consideriamo l'aumento complessivo del 22,5% nel 2008, in definitiva in Sicilia l'energia elettrica arriva a costare in un solo anno quasi il 69% in più rispetto alla media nazionale dell'anno prima. Senza considerare gli effetti sociali del provvedimento sulle condizioni di vita delle masse popolari siciliane, già ridotte a stenti estremi, che peggioreranno ulteriormente in quanto è facile prevedere che in Sicilia ci saranno le bollette dell'energia più salate d'Italia. Il provvedimento acquista quindi il sapore della beffa ed ha secondo me un solo obbiettivo di abbassare il costo energetico per gli industriali del Nord ed indirettamente anche per chi vive al Nord.
Perché la Sicilia, a fronte di un basso consumo, esporta energia, ospita centrali termoelettriche ed è attraversata dalla condotta di gas che viene dall'Algeria ha i costi piu' alti d'Italia è per me un mistero. Il Sud continentale complessivamente avra' la stessa penalizzazione come la Sicilia ma no cosi estremamente ingiusta.
La beffa raddoppia per la Sicilia, oltre alla disuguaglianza nel trattamento economico, sta nel fatto che la Sicilia deve fare i conti con i danni ambientali dell'area petrolchimica, la devastazione del paesaggio, l'inquinamento di acqua, aria e suolo. Dovrebbe essere il resto d'Italia ad essere in debito energetico con la Sicilia! Lo stesso discorso vale anche per la Lucania e per la Puglia in cui l'82% dell'energia prodotta, da procedimenti industriali ad altissimo impatto ambientale con gravi conseguenze sanitarie, è "devoluta" al "sistema-Paese". In generale l'aumento delle bollette elettriche nel Sud diviene intollerabile se si tiene conto della qualità dei servizi offerti: i valori medi di continuità del servizio sono ben lontani da quelli del Nord dove la media è di 2,6 interruzioni per utente all'anno (121 minuti persi per utente), mentre al Sud la media sale a 5,4 interruzioni per utente all'anno (270 minuti persi per utente).
Questi valori sono medie ponderate che tengono conto del fatto che l'Enel serve sia territori urbani che rurali; ma l'analisi di dettaglio mostra differenze rilevanti anche tra le diverse zone urbane (1,4 interruzioni per utente all'anno nelle aree urbane del Nord contro 2,8 interruzioni per utente all'anno in quelle del Sud) o delle sole zone rurali (3,5 interruzioni per utente all'anno nelle aree rurali del nord contro 7,6 interruzioni per utente all'anno in quelle del Sud).
Mentre i governatori del Mezzogiorno, compreso Nichi Vendola non hanno mosso un dito per bloccare i mafio-leghisti secessionisti, a lanciare per tempo l'allarme, inascoltato, è stato il segretario nazionale del Codacons Francesco Tanasi, che alla vigilia dell'approvazione del provvedimento si rivolgeva così ai parlamentari: "Deputati eletti in Sicilia: è vostro obbligo morale e civile votare no al decreto che ridefinisce i costi dell'elettricità in Italia secondo tre macroaree, a tutto discapito della Sicilia". Si tratta "di un sopruso inaccettabile".
I nostri parlamentari, meridionali eletti dai meridionali si vendono il sangue della gente del Sud.
"Non possono decidere così, arbitrariamente di favorire una parte del Paese rispetto ad un'altra. Ed è invece quello che stanno facendo....".
Questo ennesimo piano criminoso dei mafio-leghisti e della Confindustria che il governo Berlusconi sta realizzando grazie alla connivenza ed impotenza dell' opposizione, che tra altro neache essa fa un cazzo per aiutare il Sud, inverte le storiche, ma fasulle priorità d'intervento della politica economica italiana, la sedicente questione settentrionale viene posta in primo piano e il Sud, che avrebbe bisogno di pagare un prezzo più basso dell'energia per uscire dal sottosviluppo, è relegato invece a sopportare il peso di coprire le perdite del Nord.
Antonio Costato, vicepresidente della Confindustria per l'energia e il mercato, presidente degli industriali di Rovigo, chiamato da Emma Marcegaglia a rappresentare "il territorio più dinamico del Paese", industriale del settore molitorio (settore molto energivoro), è colui che ha macinato i nuovi piani energetici basati sulla devoluzione e la privatizzazione, realizzati grazie all'asse Lombardo-Fitto-Calderoli. Nelle intenzioni della Confindustria - ha detto - la devolution energetica "deve avere l'effetto di un elettroshock". Le note riservate di viale dell'Astronomia parlano chiaro. "Primo: al Nord si applicherà il prezzo più basso. Secondo: al Sud e nelle Isole l'energia costerà molto di più. Terzo: a quel punto l'esplosione dei prezzi al Sud non passerà inosservata e chi vende energia nelle zone congestionate difficilmente potrà praticare prezzi il 60-70 per cento più alti che nel resto d'Italia" senza la protezione di quello che la Confindustria chiama "lo schermo mimetico" garantito dal prezzo unico nazionale. Estrema conseguenza: "Gli utenti, toccati nel portafoglio dal costo dei no, faranno pressione sulle regioni perché si dia corso alla posa dei cavi che la Terna ha pronti da anni". E non si tratta di cavi destinati ad ammodernare la rete energetica, né di puntare sull'energia pulita e rinnovabile, bensì di costringere gli enti locali ad accettare nuove, obsolete ed inquinanti centrali termoelettriche, inceneritori, rigassificatori, e perché no centrali nucleari per favorire il saccheggio del territorio da parte dei costruttori e delle holding nordiste ed internazionali dell'energia che lucrano ormai da ben 18 anni sui famigerati e truffaldini incentivi statali "Cip6" e consimili.

Fonte varie e miei pensieri incazzosi
Luigi Ferrara

Civitella, Civitas Fidelissima

Civitella del Tronto è un comune del teramano (Abruzzo Ulteriore I) che sorge a 589 metri sul livello del mare su di una rupe di travertino ed è sovrastato da una imponente fortezza, simbolo della cittadina e della sua storia.

La Fortezza
La Fortezza di Civitella è una delle più rilevanti opere di ingegneria militare della penisola: si estende sulla sommità di una cresta rocciosa per una lunghezza di 500 metri circa; una larghezza media di 45 metri e con una superficie complessiva di 25.000 m2.

Il primo nucleo del forte, probabilmente un castello, risale all'anno mille, ma la struttura militare iniziò a delinearsi in epoca sveva e poi angioina (XIII secolo), assumendo vieppiù rilevanza strategica data la vicinanza al confine con il nascente Stato Pontificio. In epoca aragonese e spagnola, la fortezza subì modifiche ed ampliamenti sino ad raggiungere l'attuale conformazione.

Gli assedi
Nel 1557, durante la Guerra del Tronto, fu posta d'assedio dai francesi alleati con Papa Paolo IV. L'assedio, feroce e violento, non riuscì a far capitolare la fortezza, anche grazie alla valorosa resistenza che il popolo della cittadella riuscì a mettere in atto. L'eroismo dei civitellesi fu ricambiato da Napoli con l'esenzione dagli oneri fiscali per quarant'anni e con il restauro, a spese del demanio regio, degli edifici e della fortezza. Inoltre, nel 1589, Filippo II di Spagna, sempre per lo stesso episodio, elevò Civitella al rango di Città e le conferì il titolo di Fidelissima.

Nel 1798 e nel 1806, la Fortezza venne nuovamente assediata dalle truppe Francesi. Nel 1806, la difesa dalla cittadella era affidata al maggiore irlandese Matteo Wade, che riuscì, eroicamente, a resistere contro le ben più numerose truppe Napoleoniche, capitolando, onorevolmente, solo dopo quattro mesi d’assedio. Gli assedi del 1798 e 1806 danneggiarono non poco le strutture, al punto che nel 1820 la Fortezza fu completamente restaurata mantenendo però il suo carattere rinascimentale.

Nel 1861, Civitella fu protagonista dell’ultima battaglia per la difesa dell’indipendenza delle Due Sicilie. Dopo aver attraversato i territori pontifici e parallelamente alla Battaglia del Garigliano ed all'Assedio di Gaeta, l'esercito piemontese, nell'ottobre del 1860, strinse d'assedio Civitella.

L'eroica resistenza
La resistenza civitellese fu tenace e stava dando i suoi frutti, tanto che, il 6 dicembre 1860, dopo diversi insuccessi da parte sabauda, gli assedianti furono costretti a ripiegare, ritirandosi dalle montagne circostanti il paese. Gli attacchi ripresero solo dopo che le fila piemontesi furono ingrossate da diverse compagnie militari giunte a sostegno e da una consistente sezione di artiglieria, grazie alla quale lo scontro riprese ancor più duramente. Nonostante ciò la fortezza non si arrese. Il 6 gennaio 1861, però, le truppe sabaude vennero totalmente sostituite e furono emessi alcuni durissimi bandi contro i civili. La situazione fattasi estremamente critica fu causa di tensioni tra i soldati borbonici: vi erano elementi intenzionati ad arrendersi ed elementi intenzionati a continuare la difesa del forte: sebbene alcuni reparti si arresero abbandonando la fortezza, a prevalere fu la volontà di chi voleva resistere, e la tenacia di questi soldati fu seconda solo a quella degli abitanti di Civitella: i civitellesi, infatti, si schierarono eroicamente a difesa della loro città.

Il 15 febbraio un violentissimo bombardamento provocò gravi danni e perdite tra i civili, ma la fortezza non diede cenno di resa. Dopo la caduta delle piazzeforti di Gaeta e Messina, però, l'offensiva sabauda poté concentrarsi su Civitella. Il 17 marzo 1861, a Torino, veniva proclamato il Regno d'Italia, ma Civitella continuava a resistere, continuava ad essere l'ultimo lembo di terra delle Due Sicilie ancora indipendente. Questo era intollerabile per Casa Savoia: così l'esercito del nuovo Regno d'Italia rafforzò l'offensiva riducendo allo stremo civitellesi e soldati. Nonostante ciò, anche quando giunse il messaggio di Francesco II che comunicava la resa ed ordinava di deporre le armi, gli assediati non vi cedettero e rifiutarono di consegnarsi al nemico.

L'epilogo
Seguirono due giorni di terrificanti bombardamenti. Fu una battaglia terribile in cui l'esercito italiano bombardò la fortezza per spegnere la resistenza degli ultimi reparti di soldati meridionali. Alle ore 11 del 20 marzo 1861, gli assediati giunti allo stremo delle forze si arresero. Dopo la firma della capitolazione, i vincitori presero possesso del forte issando il vessillo sabaudo. L’ultimo fiero ed eroico baluardo delle Due Sicilie resistette strenuamente fino all'ultimo e si arrese ai piemontesi solo quando la ragione prevalse sulla passione, solo quando consapevoli che l’epilogo sarebbe stato una carneficina, si volle evitare di spargere altro sangue.

Il 21 marzo 1861, Cavour comunicava alle corti inglese e francese la caduta di Civitella: anche l'ultimo ostacolo alla legittimazione del nuovo stato italiano era stato eliminato. Il 22 marzo, dal ministero della guerra di Torino, giungeva lo scellerato ordine di distruggere la fortezza e la plurisecolare cinta muraria angioina della città. In questo modo barbarico si faceva pagare la fedeltà dei civitellesi al vessillo duosiciliano e ed il coraggio della valorosa guarnigione, colpevole di aver fatto esclusivamente il proprio dovere. Molti dei reduci furono deportati nei "campi" piemontesi di Savona e Fenestrelle, da dove non fecero più ritorno.

Da quarantuno anni, ad ogni anniversario di quel giorno infausto, donne e uomini orgogliosi dell'eroismo dei propri avi commemorano i caduti di Civitella e rendono omaggio alla memoria di chi ha combattuto per la libertà della propria terra.

AnTuDo