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mercoledì 17 dicembre 2014

NOTIZIE E CURIOSITA' MERIDIANE

Nasce la rubrica: "Notizie e curiosità meridiane", in collaborazione con la piattaforma I-SUD, cercheremo di raccogliere notizie, curiosità e tutto ciò che provenga dalle nostre terre.
A curare la rubrica saranno due "storiche" admin di Briganti. Buona lettura



a cura di Francesca Di Pascale


Elenco articoli

(clicca sul titolo per leggere gli articoli)

- Il Canto a Figliola, antenato del freestyle hip hop!

- La minestra maritata, un piatto antico!

- Tammorre, Triccheballacche, Scetavajasse, Nacchere e Putipù!

- Rituali e Tradizioni di fine anno dal mondo

- L' 'urdemo 'e ll'anno

- Luisa Conte, capocomico!

- Pitagora ed il suo grande amore per la città di Crotone

- La Calabria patria di grandi scacchisti!

- 'O rraù ca me piace a me m' 'o ffaceva sulo mammà!!!

- Perché Santo Stefano è “rosso di calendario”?

- Tutt' ‘o ssupierchio è na supirchiaria. Buon Natale!

- "… per la Vigilia de lo Santo Natale ce vonne Vermicielli co la mollica de pane e vongolelle...." La cena della vigilia di Natale, a Napoli!

GRANO TIMILIA, UN ANTICO SICILIANO!

- I Monti Iblei, dove lo scontro tra la Placca Africana e quella Europea imperversa da milioni di anni

- Mostro...il Diavolo……sul presepe!

- Il Cirneco dell'Etna, un vero siciliano!

- Tommie Smith e John Carlos, simboli di tutte le battaglie di liberazione, emancipazione e autodeterminazione

- La Casa dei Conigli, da Nola agli studi di Rai YoYo per incantare tutti i bambini



- Notte d'arte 2014, notte di cultura, amore e bellezza a Napoli 

___________________________________________________

a cura di Daniela Alemanno



Elenco articoli

 (clicca sul titolo per leggere gli articoli)

 
- Il Bisso tarantino, quando il mare vestiva con la sua seta

- Bruno Sammartino da Pizzoferrato, The Living Legend

- Quando l' Epifania è la Pasquetta ...

- «Con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo»

- Attenzione! Arrivano i Cucibocca!

- Elvira Notari. Quando il cinema era Donna

- Putignano, la Festa delle Propaggini e il Carnevale più lungo del mondo!

- Torna la grande magia del Presepe Vivente di Matera

- In Molise si augura "Buon Anno" cantando

- 'A Madonneja di Pizzo Calabro, tra leggenda e religiosità

- La Festa degli Innocenti, usanze dimenticate del Sud

- Il Carretto Siciliano: una vera e propria opera d' arte!

- Taranto. La casa natia di Paisiello va in fiamme

- Problemi con lo studio? Da Potenza arrivano i Cervellotik!

- Il fuoco danza! La caratteristica sfilata delle Panare di Spongano

- “Quelle ‘Ndocce fiammeggianti che rischiarano la gelida notte della vigilia..."

- Con la tradizionale Squilla, a Lanciano è già Natale!

- Il Ciolo, ovvero il Canyon del Salento

- Nasce beNac, l' app dei No Al Carbone di Brindisi

- Lo scempio di Porto Miggiano, in provincia di Lecce

- I confetti Mucci compiono 120 anni. Ad Andria la storia ha il profumo dello zucchero

- La Basilicata allunga la lista dei Borghi più belli d' Italia. E' la volta di Viggianello

- I TRABUCCHI DEL GARGANO DIVENTANO PATRIMONIO STORICO

- RICORDANDO TITO SCHIPA

- SALVIAMO IL MARE E IL FUTURO DI QUESTA TERRA

- TAP, il presidente dell'Ordine degli ingegneri della provincia di Lecce dice NO
 

venerdì 14 novembre 2014

Elenco vittime di Mafia, i nostri martiri-eroi

"loro" dicono che al Sud non ci ribelliamo alla mafia... ma sono 153 anni che lo facciamo!! Riportiamo, in questo articolo, l'elenco delle centinaia e centinaia di uomini e donne uccise dalla bestia mafiosa, sono tutti (tranne alcuni che ci onoriamo di ricordare in questo elenco) cosiddetti "meridionali"..un elenco da leggere con commozione e in silenzio ma allo stesso tempo un elenco che ci riempie di orgoglio e voglia di continuare a COMBATTERE!
P.S. da notare la data della prima vittima di mafia 1862!!!!!!



1800
Antonio Polimeni e Giorgio Fallara 8 ottobre 1862
Giovanni Corrao 3 agosto 1863
Mario Pancari 12 marzo 1871
Francesco Gebbia 10 ottobre 1892
Emanuele Notarbartolo 1 febbraio 1893
Emanuela Sansone 27 dicembre1896
Antonino D'Alba 1897
Vincenzo Lo Porto e Giuseppe Caruso 24 ottobre 1897

1900
Luciano Nicoletti 14 ottobre 1905
Andrea Orlando 13 gennaio 1906
Giuseppe (Joe) Petrosino 12 marzo 1909
Pietro Vasta 5 agosto 1909
Lorenzo Panepinto 16 maggio 1911
Mariano Barbato e Giorgio Pecoraro 1914
Bernardino Verro 3 novembre 1915
Giorgio Gennaro 1916
Giovanni Zangara 29 gennaio 1919
Costantino Stella 6 luglio 1919
Giuseppe Rumore 22 settembre 1919
Alfonso Canzio 19 dicembre 1919
Nicola Alongi 29 febbraio 1920
Paolo Li Puma e Croce Di Gangi settembre 1920
Paolo Mirmina 3 ottobre 1920
Antonino Scuderi 9 ottobre 1920
Giovanni Orcel 14 ottobre 1920
Giuseppe Monticciolo 27 ottobre 1920
Stefano Caronia 17 novembre 1920
Giuseppe Zaffuto morto il 26 dicembre 1920
Gaetano Circo 4 febbraio 1921
Calogero Faldetta 31 dicembre 1920
Carmelo Minardi 26 dicembre 1920
Salvatore Varsalona 27 dicembre 1920
Pietro Ponzo 19 febbraio 1921
Vito Stassi 1921
Giuseppe Cassarà e Vito Cassarà 1921
Giuseppe Compagna 29 gennaio 1921
Domenico Spatola, Mario Spatola, Pietro Spatola e Paolo Spatola febbraio 1922
Sebastiano Bonfiglio 11 giugno 1922
Antonino Ciolino 1924
Antonio Mancino 2 settembre 1943
Santi Milisenna 27 maggio 1944
Andrea Raia 6 agosto 1944
Calogero Comajanni 28 marzo 1945
Filippo Scimone 1945
Calcedonio Catalano 18 agosto 1945
Nunzio Passafiume 7 giugno 1945
Agostino D'Alessandro 11 settembre 1945
Calogero Cicero e Fedele De Francisca 14 settembre 1945
Michele Di Miceli, Mario Paoletti e Rosario Pagano 1945
Giuseppe Scalia 25 novembre 1945
Giuseppe Puntarello 4 dicembre 1945
Gaetano Guarino e Tommasa Perricone 16 maggio 1946
Pino Camilleri 28 giugno 1946
Nicolò Azoti 23 dicembre 1946
Accursio Miraglia 4 gennaio 1947
Strage di Portella della Ginestra: 11 morti. Dell'eccidio venne accusato il bandito Salvatore Giuliano ma in realtà i mandanti erano alti esponenti della Democrazia Cristiana e i grandi mafiosi latifondisti 1º maggio 1947
Giuseppe Casarrubea e Vincenzo Lo Iacono 22 giugno 1947
Strage di Canicattì 21 dicembre 1947
Epifanio Li Puma 2 marzo 1948
Placido Rizzotto 10 marzo 1948)
Calogero Cangelosi 2 aprile 1948
Giuseppe Biondo 22 ottobre 1948
Salvatore Carnevale 16 maggio 1955
Giuseppe Spagnolo 13 agosto 1955
Pasquale Almerico 25 marzo 1957
Cataldo Tandoy 30 marzo 1960
Cosimo Cristina 5 maggio 1960
Paolo Bongiorno 27 settembre 1960
Maria e Natalina Stillitano 27 dicembre 1962
Mario Malausa, Silvio Corrao, Calogero Vaccaro, Eugenio Altomare, Mario Farbelli, Pasquale Nuccio e Giorgio Ciacci 30 giugno 1963
Carmelo Battaglia 24 marzo 1966
Carmelo Siciliano 23 giugno 1967
Giuseppe Piani 29 dicembre 1967
Mauro De Mauro 16 settembre 1970
Vincenzo Scuteri 4 aprile 1971
Pietro Scaglione e Antonino Lo Russo 5 maggio 1971
Giovanni Spampinato 27 ottobre 1972
Giovanni Ventra 27 dicembre 1972
Giuseppe Bruno 11 settembre 1974
Michele e Domenico Facchineri 13 aprile 1975
Gaetano Cappiello 2 luglio 1975
Francesco Ferlaino 3 luglio 1975
Francesco Vinci 10 dicembre 1976
Rocco Gatto 12 marzo 1977
Vincenzo Caruso e Stefano Condello 1 aprile 1977
Donald Mackay 15 luglio 1977
Giuseppe Russo 20 agosto 1977
Peppino Impastato 9 maggio 1978
Antonio Esposito Ferraioli 30 agosto 1978
Salvatore Castelbuono 26 settembre 1978
Carmelo Di Giorgio e Primo Perdoncini 1 gennaio 1979
Carmelo Di Giorgio 5 gennaio 1979
Filadelfio Aparo 11 gennaio 1979
Mario Francese 26 gennaio 1979
Michele Reina 9 marzo 1979
Carmine Pecorelli 20 marzo 1979
Giorgio Ambrosoli 12 luglio 1979
Boris Giuliano 21 luglio 1979
Orlando Legname 31 luglio 1979
Calogero Di Bona 28 agosto 1979
Cesare Terranova e Lenin Mancuso 25 settembre 1979
Piersanti Mattarella 6 gennaio 1980
Emanuele Basile 4 maggio 1980
Giuseppe Valarioti 11 giugno 1980
Giovanni Losardo 21 giugno 1980
Gaetano Costa 6 agosto 1980
Vito Lipari 13 agosto 1980
Ciro Rossetti 11 ottobre 1980
Domenico Beneventano 7 novembre 1980
Marcello Torre 11 dicembre 1980
Filomena Morlando 17 dicembre 1980
Mariano Mellone 12 marzo 1981
Giuseppe Grimaldi 27 marzo 1981
Giuseppe Salvia 14 aprile 1981
Giuseppe Inzerillo 12 giugno 1981
Vito Jevolella 10 ottobre 1981
Lucio Ferrami 27 ottobre 1981
Sebastiano Bosio 6 novembre 1981
Francesco Borrelli e Salvatore Dragone 13 gennaio del 1982
Alfredo Agosta 18 marzo 1982
Luigi Gravina 25 marzo 1982
Pio La Torre e Rosario Di Salvo 30 aprile 1982
Gennaro Musella 3 maggio 1982
Simonetta Lamberti 29 maggio 1982
Salvatore Raiti, Silvano Franzolin, Luigi Di Barca e Giuseppe Di Lavore 6 giugno 1982
Antonino Burrafato 29 giugno 1982
Salvatore Nuvoletta 2 luglio 1982
Antonio Ammaturo 15 luglio 1982
Paolo Giaccone 11 agosto 1982
Carlo Alberto Dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo 3 settembre 1982
Benedetto Buscetta e Antonio Buscetta 11 settembre 1982
Elio Di Mella 7 ottobre 1982
Calogero Zucchetto 14 novembre 1982
Francesco Panzera 10 dicembre 1982
Giuseppe Genova e Orazio D'Amico 26 dicembre 1982
Vincenzo Buscetta 29 dicembre 1982
Cipriano Licenza 1983
Giangiacomo Ciaccio Montalto 26 gennaio 1983
Mario D'Aleo, Pietro Morici e Giuseppe Bommarito 13 giugno 1983
Bruno Caccia 26 giugno 1983
Rocco Chinnici, Mario Trapassi, Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi 29 luglio 1983
Salvatore Zangara 8 ottobre 1983
Franco Imposimato 11 ottobre 1983
Giuseppe Fava 5 gennaio 1984
Mario Coniglio 14 novembre 1984
Carmine Tripodi 6 febbraio del 1985
Roberto Parisi 23 febbraio 1985
Piero Patti 28 febbraio 1985
Sergio Cosmai 13 marzo 1985
Barbara Rizzo, Giuseppe e Salvatore Asta 2 aprile 1985
Antonino Vicari il 4 maggio 1985
Giuseppe Spada 14 giugno 1985
Giuseppe Montana 28 luglio 1985
Ninni Cassarà e Roberto Antiochia 6 agosto 1985
Giancarlo Siani 23 settembre 1985
Graziella Campagna 12 dicembre 1985
Filippo Salsone il 7 febbraio 1986
Claudio Domino 7 ottobre 1986
Mario Ferrillo 5 novembre 1986
Rosa Visone e Luigi D'Alessio 8 novembre 1986
Gennaro Galano 12 novembre 1986
Rosario Iozia 10 aprile 1987
Giovanni Mileto 7 novembre 1987
Giuseppe Insalaco 12 gennaio 1988
Natale Mondo 14 gennaio 1988
Pietro Ragno 10 luglio 1988
Antonio Raffaele Talarico 2 settembre 1988
Abed Manyami 9 settembre 1988
Alberto Giacomelli 14 settembre 1988
Antonino e Stefano Saetta 25 settembre 1988
Mauro Rostagno 26 settembre 1988
Girolamo Marino 23 ottobre 1988
Francesco Ventura 3 novembre del 1989
Pietro Polara 27 febbraio 1989
Antonino Agostino e Ida Castelluccio 5 agosto 1989
Giovanni Trecroci 7 febbraio 1990
Emanuele Piazza 16 marzo 1990
Giuseppe Miano 18 marzo 1990
Nicola Gioitta 21 marzo 1990
Giovanni Bonsignore 9 maggio 1990
Nunzio Pandolfi 18 maggio 1990
Nicodemo Panetta 13 giugno 1990
Tobia Andreozzi 30 agosto 1990
Versaci Angelo 3 settembre 1990
Rosario Livatino 21 settembre 1990
Antonio Mannarino 25 ottobre 1990
Giovanni Salamone 12 gennaio 1991
Nicolò Di Marco 21 febbraio 1991
Sergio Compagnini 5 marzo 1991
Tramonte Francesco e Cristiano Pasquale 24 maggio 1991
Antonio Cordopatri 10 luglio 1991
Fabio De Pandi e Angelo Riccardo 21 luglio 1991
Alberto Varone, 24 luglio 1991
Antonino Scopelliti 9 agosto 1991
Libero Grassi 29 agosto 1991
Paolo Arena 27 settembre 1991
Serafino Ogliastro 12 ottobre 1991
Nunziante Scibelli (30 ottobre 1991
Salvatore Aversa e Lucia Precenzano 4 gennaio 1992
Salvatore Colletta e Mariano Farina 31 marzo 1992
Giuliano Guazzelli 14 aprile 1992
Paolo Borsellino 21 aprile 1992 imprenditore ed omonimo del giudice Paolo Borsellino.
Giovanni Falcone, Francesca Morvillo Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani 23 maggio 1992
Vincenzo Napolitano 23 maggio 1992
Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Agostino Catalano  19 luglio 1992
Rita Atria 27 luglio 1992
Giovanni Lizzio 27 luglio 1992
Paolo Ficalora 28 settembre 1992
Gaetano Giordano 10 dicembre 1992
Giuseppe Borsellino 17 dicembre 1992
Beppe Alfano 8 gennaio 1993
Giuseppe Marino 16 aprile 1993
Strage di via dei Georgofili a Firenze 27 maggio 1993
Adolfo Cartisano 22 luglio 1993
Pino Puglisi 15 settembre 1993
Giuseppe Russo 15 gennaio 1994
Cosimo Fabio Mazzola marzo 1994
Giuseppe Diana 19 marzo 1994
Liliana Caruso e Agata Zucchero 10 luglio 1994
Calogero Panepinto 19 settembre 1994
Palma Scamardella 12 dicembre 1994
Domenico Buscetta 6 marzo 1995
Carmela Minniti 1º settembre 1995
Pierantonio Sandri 3 settembre 1995
Gioacchino Costanzo 15 ottobre 1995
Serafino Famà 9 novembre 1995
Giuseppe Montalto 23 dicembre 1995
Giuseppe Di Matteo 11 gennaio 1996
Antonio Barbera 7 settembre 1996
Antonino Polifroni 30 settembre 1996
Romano Luigi 15 ottobre 1996
Raffaele Pastore 23 novembre 1996
Giuseppe La Franca 4 gennaio 1997
Giulio Giuseppe Castellino 25 febbraio 1997
Silvia Ruotolo 11 giugno 1997
Gaspare Stellino 12 settembre 1997
Matteo Bottari 15 gennaio 1998
Giovanni Gargiulo 18 febbraio 1998
Mariangela Ansalone e Giuseppe Bicchieri 8 maggio 1998
Alberto Vallefuoco, Salvatore De Falco e Rosario Flaminio 20 luglio
1998
Luigi Ioculano 25 settembre 1998
Domenico Geraci 8 ottobre 1998
Giuseppe Montalbano 18 novembre 1998
Stefano Pompeo 22 aprile 1999
Filippo Basile 5 luglio 1999
Sultano Salvatore Antonio 21 luglio 1999
Antonio Musolino 31 ottobre 1999
Vincenzo Vaccaro Notte 3 novembre 1999

2000
Salvatore Vaccaro Notte 5 febbraio 2000
Luigi Sequino e Paolo Castaldi 10 agosto 2000
Valentina Terracciano 12 novembre 2000
Torquato Ciriaco 1 marzo 2002
Federico Del Prete 18 febbraio 2002
Gelsomina Verde 21 novembre 2004 
Antonio Landieri 6 novembre 2004
Dario Scherillo 6 dicembre 2004
Francesco Rossi 28 dicembre 2004
Carmela Attrice 15 gennaio 2005
Attilio Romanò 24 gennaio 2005
Nunzio Giuliano 21 marzo 2005
Enrico Amelio 10 ottobre 2006
Ciro Galotta 29 giugno 2007
Domenico Noviello 20 maggio 2008
Raffaele Granata, ucciso l'11 luglio 2008
Strage di Castelvolturno (18 settembre 2008)
Nicola Nappo, 9 luglio 2009
Attilio Manca 12 febbraio 2004
Annalisa Durante 27 marzo 2004
Massimiliano Carbone 17 settembre 2004
Daniele Polimeni 30 marzo 2005
Gianluca Congiusta 24 maggio 2005
Francesco Fortugno 16 ottobre 2005
Giuseppe D'Angelo 22 agosto 2006
Antonio Longo 26 marzo 2008
Fazio Cirolla 27 luglio 2009
Domenico Gabriele 25 giugno 2009
Lea Garofalo 24 novembre 2009
Angelo Vassallo 5 settembre 2010
Vincenzo Liguori 13 gennaio 2011
Pasquale Romano 15 ottobre 2012
Filippo Ceravolo 25 ottobre 2012
Nicola Campolongo (il piccolo Cocò) 19 gennaio 2014
Vincenzo Ferrante 26 febbraio 2014

lunedì 19 maggio 2014

"Ad esempio, Io resto a sud...ed il Sud riparte da Napoli"


“Ad esempio, Io resto a sud – Il rapporto tra economia e territorio attraverso acquisto e consumo consapevole”. 
Il tema racchiuso in questo titolo, a noi Briganti, è estremamente caro. Fin da quando, leggendo le considerazioni di Zitara in merito, abbiamo compreso l’importanza rivoluzionaria che i nostri consumi avrebbero potuto assumere se orientati “verso sud”, abbiamo intrapreso una vera e propria battaglia sul Comprasud in tutte le sue estensioni.
Perciò, proprio a questo tema, abbiamo dedicato il convegno di sabato 17 maggio all’Hotel Ramada di Napoli, con la espressa volontà di ribadire tutti i progressi fatti in quattro anni, di valutare tutto quanto è ancora necessario fare e di ascoltare alcuni tra i protagonisti principali della battaglia del Comprasud, ovvero, gli imprenditori.

All’impresa è stata dedicata la parte centrale del convegno con gli interventi di estremo interesse di Bruno Zarzaca che ha aperto un ristorante “Amico Bio Spartacus Arena” all’interno del complesso archeologico dell’Arena di Santa Maria Capua Vetere, di Giuseppe Sciretta di I-sud che ci ha illustrato il progetto innovativo www.i-sud.it che condivide con Nicola Cristhian Rinaldi, Dario Scalella che ci ha parlato dei suoi elicotteri biposto fatti a Napoli, Piero Meo autore dei progetti  Comprassieme e Checksud. Tutti, pur trasmettendo grande passione per il proprio lavoro e per la propria terra hanno evidenziato le difficoltà che è necessario superare quotidianamente per “fare impresa da sud”. Sullo stesso aspetto si è incentrato l’intervento di Diego Giovinazzo, segretario generale di Confimpresa Campania, partner dell’evento assieme ad I-sud, che ci ha spiegato come rompere i vincoli che ci impediscono di intraprendete.

Alla lettura dei graditissimi saluti di Francesco Tassone ai convenuti, segue l'intervento di Marco Esposito, segretario di Unione Mediterranea. Il giornalista ha sottolineato il fatto che noi stiamo compiendo una rivoluzione che si concretizza nella nostra possibilità di scelta che possiamo utilizzare quando compriamo un prodotto e quando eleggiamo chi deve rappresentarci. Nando Dicè, presidente di Insorgenza Civile, ha compiuto un parallelismo tra il Comprasud ed il disastro ambientale deIl’llva di Taranto, invitandoci ad essere costantemente “arrabbiati” perché il sistema Italia, l’Impresa Italia, è creata contro di noi.
Di estremo interesse, il contributo di Antonio Di Gennaro, agronomo che ci ha parlato della nostra agricoltura e della Terra dei fuochi, termine che, ha sottolineato, non dovrebbe più essere utilizzato. Di Gennaro ha affermato: "Noi produciamo un'agricoltura di qualità che vendiamo all'estero e che vendiamo bene. Nel tranello della verdura avvelenata siamo caduti soprattutto noi. I campionamenti fatti a tappeto non hanno rilevato una sola partita fuori norma. COOP compra qui le fragole e le porta in Germania e non può sbagliare. Eppure in tv passo un messaggio negativo sui nostri prodotti che sono, invece, i migliori al mondo"

Un piccolo momento ludico ci è stato offerto dal musicista Pietro De Luca Bossa che ci ha presentato il suo ultimo lavoro dal titolo “Sovversione Irrimediabile” in cui cita alcune frasi celebri di Carmine Crocco.
Un “fuori programma” molto apprezzato, è stato l’intervento di Mauro Squillante, mandolinista nonché socio dell'associazione Briganti, che ci ha raccontato del suo atto di amore verso la nostra terra e la nostra cultura: riportare in vita l'uso e lo studio del mandolino napoletano, l'unico strumento che accanto al nome ha l'indicazione della provenienza. Grazie al suo costante impegno, il mandolino divenuto uno strumento desueto è tornato a diffondere il suo incantevole suono in tante scuole di musica sparse nel nostro sud.

I lavori del convegno si sono conclusi con i saluti di Vittorio Terracciano di Confimpresa Campania, anche lui socio dell’associazione Briganti, agli intervenuti.

I convenuti hanno avuto la possibilità di gustare i taralli artigianali gentilmente offerti dall’azienda “Il Tarallificio del Pozzo” di Rocchetta Sant’Antonio (FG) avviata da due ragazzi che hanno deciso di lasciare il nord per fare impresa nella propria terra, di acquistare le originalissime t-shirt identitarie di Napoli Tà-Ttà che fa cultura del territorio, di assaggiare il vino e l’olio biologico dell’azienda Chimenti di Sannicardo (BA), di nutrirsi di cultura presso lo stand di Editore Mediterraneo.

Il convegno ci ha arricchiti molto in termini di conoscenza e di esperienza, con i suoi  oltre 100 partecipanti e i 760 contatti streaming, tuttavia, il momento che maggiormente abbiamo fatto nostro e che ci ha nutriti di più dal punto di vista umano è stato l’assemblea dell’associazione Briganti che si è tenuta al mattino. Abbiamo avuto modo di conoscere una piccola rappresentanza dei nostri associati con i quali ci siamo confrontati sulle attività svolte e con i quali abbiamo valutato le iniziative future. I soci ci hanno offerto il loro patrimonio di esperienze di vita spesso vissuta lontano dalla propria terra e ci hanno invogliato con il loro entusiasmo e la loro fiducia ad andare avanti e a crescere in numero per essere sempre più incisivi nella tutela dei nostri territori. A ciascuno di loro va il nostro più sentito ringraziamento e l’assicurazione che quello di sabato 17 a Napoli, è stato solo il primo di una lunga serie di incontri che ci vedranno coinvolti assieme a accomunati dalla passione per la nostra terra.

Briganti 
Associazione Briganti

domenica 9 marzo 2014

Uno, nessuno e centomila

Costruirono per noi un’identità da inetti, inadeguati, reietti; facendoci credere, per troppo tempo, di essere ciò che non siamo. Ma questa identità c’è stata sempre stretta, sempre sul punto di entrare in crisi: una crisi di identità, che, finalmente, è scoppiata, una crisi di identità che genera consapevolezza.

Essere Briganti è un modo di sentire, di vivere la vita, di vedere il Mondo. È qualcosa che ti scorre nelle vene, che ti attraversa l'anima, che forgia la tua identità, che ti riempie d’orgoglio e senso d'appartenenza. Essere Briganti è radicazione, passione, amore. Essere Briganti è voglia di riscatto per una Terra, che fu crogiolo di popoli e diversità, e per le sue genti, eredi di una cultura millenaria.

Essere Briganti è un privilegio, un onore e una responsabilità.


lunedì 3 marzo 2014

Si parla del Sud. Ma in termini diversi.

Presentazione de “Il Sud Puzza,storia di vergogna ed d'orgoglio” di Pino Aprile, con la partecipazione di Fernando Blasi aka Nandu Popu dei Sud Sound System.
2 marzo 2014, Vignacastrisi (LE)


Si parla del Sud. Ma in termini diversi.

E’ un popolo che si guarda attorno, poi indietro e poi ancora attorno e alla fine dice:
“non più!”

Le storie delle nostre sconfitte oltrepassano la vergogna (che spesso è più imposta che reale) e diventano orgoglio di riprendere la propria terra.

Ieri a Vignacastrisi si è parlato di un Sud che rinasce, solo e con le proprie forze.
Perché quel posto migliore che tutti desideriamo sta nascendo qui!


Daniela Alemanno


[Si ringrazia Sara Rizzello Joker per le foto]

venerdì 18 gennaio 2013

Dite solo che siamo 50.000




Briganti nasce il 15 febbraio del 2010 e tra non molto compirà tre anni.
Non potevamo ricevere, per il compleanno della pagina, regalo più gradito da tutti voi del raggiungimento dei 50.000 iscritti!
In principio, non avremmo mai immaginato di poter conseguire questi risultati: 50.000 iscritti? Un miraggio!
Poi, abbiamo visto il vostro numero aumentare sempre più in un rapporto di arricchimento e di crescita reciproci, per noi preziosissimo.
Dopo l’ingiustificato blocco della pagina, del mese scorso, abbiamo temuto di aver perso questo rapporto e di non poter proseguire il cammino condiviso verso il riscatto della nostra terra.
Alla fine, la pagina ci è stata “restituita” e come capitato tutte le altre volte in cui abbiamo incontrato delle difficoltà – e vi assicuriamo che è accaduto in questi tre anni – superarle ci ha resi più forti e determinati di prima, anche grazie al vostro sostegno ed aiuto.
La strada da percorrere è ancora lunga, certo, ma la distanza non ci spaventa, perché la percorreremo assieme a tutti voi.
Grazie Guagliu’
Grazie Picciòtti
Grazie Uagliù
Grazie Vagnoni
Grazie Figjioli
Grazie Briganti

sabato 8 dicembre 2012

Le mani della censura su Briganti



È accaduto l'impensabile. Dalle ore 15:00 del 6 dicembre 2012, Facebook, arbitrariamente e senza nessun avviso o spiegazione, ha bloccato gli account degli 8 amministratori di Briganti.
Tuttora non ci sono notizie dallo staff di Facebook, che sembra ignorare anche la valanga di segnalazioni che sta ricevendo.
Forse il Compra Sud fa paura? Forse migliaia di persone che conoscono la vera storia dell'itaGlia fanno paura?
Lo staff di Facebook però non ha capito bene una cosa, Briganti non sono gli 8 amministratori, Briganti sono 46 mila amministratori!!
In attesa di sviluppi vi consigliamo di iscrivervi alla pagina provvisoria: BRIGANTI2

lunedì 19 novembre 2012

Gara di beneficenza "BRIGANTI e PINO APRILE per MORMANNO"















Comunicato stampa di Briganti
con la gentile partecipazione di Pino Aprile
e con il patrocinio del Comune di Mormanno (CS)

Presentano
Gara di beneficenza "BRIGANTI e PINO APRILE per MORMANNO"

che avrà inizio
lunedì 19 novembre 2012, ore 10:00
e terminerà
lunedì 24 dicembre 2012, ore 24:00

Le popolazioni dell'area del Pollino sono costrette a convivere con il terremoto a causa di uno sciame sismico che perdura da circa 2 anni.
Il 26 ottobre scorso, una scossa di magnitudo 5.0 ha provocato gravi danni nel comune di Mormanno e nelle zone limitrofe.
Il Sindaco Guglielmo Armentano ha chiesto al Governo il riconoscimento dello stato di calamità.

“BRIGANTI” con la partecipazione attiva di PINO APRILE per sensibilizzare l'opinione pubblica e rompere la coltre di silenzio su questa emergenza ha deciso di indire una gara, sulla propria pagina facebook, mettendo in palio una felpa "Briganti" e la primissima stampa del libro “Terroni” in lingua inglese diffuso nel Nord America con dedica personale.

Tutte le offerte perverranno direttamente all’Ospedale di Mormanno o al Comune, gravemente danneggiati dal recente sisma.

Solo al termine della gara si saprà chi si sarà aggiudicato la felpa Briganti e il libro messa in palio.
Ognuno potrà fare un’offerta a favore dell’Ospedale o al comune, tramite bonifico bancario
a favore di:

Comune di Mormanno Servizio tesoreria Fondi Ricostruzione Sisma 2012 - codice IBAN IT 86 S 07601 16200 001009362268
causale: contributo per i danni subiti dal sisma/ Gara Briganti

oppure

versamento su c/c postale N. 1009362268 intestato a: Comune di Mormanno, Servizio tesoreria Fondi Ricostruzione Sisma 2012
con causale: contributo per i danni subiti dal sisma/ Gara Briganti

dovrà poi inviarci copia del bonifico all’indirizzo e-mail gruppobriganti@gmail.com entro e non oltre il giorno Lunedì 24 dicembre 2012 alle ore 24:00
Chi avrà effettuato l’offerta maggiore vincerà la felpa messa in palio da Briganti, che gli verrà inviata all’indirizzo che in seguito ci indicherà.

Il nome del vincitore e la cifra da lui donata verranno pubblicati sulla pagina Briganti il giorno
Mercoledì 26 dicembre 2012 ore 18:00

PROGRAMMA
Lunedì 19 novembre 2102
Ore 10,00: Apertura della gara

Lunedì 24 dicembre 2012
Ore 24,00: Chiusura della gara

Mercoledì 26 dicembre 2012
ore 18,00: Ufficializzazione del vincitore e comunicazione della cifra raggiunta

domenica 1 luglio 2012

Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania

ARTICOLO TRATTO DAL SOLE24ORE DEL 30/06/2012


Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia.
Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa.
Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873.
Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio.
La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%).
Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali.
Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla.
Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.

ARTICOLO TRATTO DAL SOLE24ORE DEL 30/06/2012

venerdì 22 giugno 2012

Mameli ha letteralmente RUBATO l' inno

Riportiamo un interessantissimo articolo uscito su  La Stampa un paio di anni fa....

L'Inno rubato da Mameli

La polizia lasciava fare? Voglio dire: irruzioni nei caffè…?
Dopo il 30 ottobre «toute la population était dans la rue» scrive Costanza. Benché gli assembramenti fossero stati proibiti, le polizie avevano avuto istruzioni di lasciar fare. Gruppi di moderati, coordinati da Roberto d'Azeglio, andavano in giro a prevenire incidenti, vigilando specialmente sulle sedi dei gesuiti e della legazione austriaca. Un ordine auto-gestito.
Le ronde.
Chiedevano infatti, e lo consideravano un elemento di libertà, la Guardia civica, proprio come a Roma. Problemi di ordine pubblico ce n'erano soprattutto a teatro, dove gli spettacoli non si potevano portare a termine perché alla minima battuta vagamente interpretabile in senso patriottico, e magari scritta dall'autore senza intenzione, il pubblico scattava in piedi, partivano i cori e gli sventolii dei drappi. «Si previene il Pubblico che resta assolutamente proibita qualsiasi clamorosa dimostrazione, come pure di cantare inni, introdurvi bandiere, fischiare o prolungare gli applausi da interrompere il corso delle rappresentazioni»: così, inutilmente, la direzione del Regio, la vigilia di Natale.

Che bandiere agitavano?
L'azzura coccarda di Savoia e il tricolore. Il tricolore era fonte di risse. Non piaceva a Carlo Alberto e alcuni patrioti lo consideravano un vessillo di schiavitù.

Perché?
Perché l'aveva inventato Napoleone, del quale era corretto dire che avesse reso l'Italia schiava… Però Napoleone, mentre faceva schiava l'Italia, aveva pure reso possibile la nascita della "Repubblica Cisalpina…" o della "Repubblica Cispadana…". Il tricolore simboleggiava Napoleone o le repubbliche? Avevano ragione questi e quelli.

E "Fratelli d'Italia"?
Aldo Mola ha dimostrato che non è di Mameli, ma del padre Canata. L'inno è troppo colto per essere di quell'ignorantello di Goffredo. Vi si allude alla repressione austriaca in Galizia, all'episodio del Balilla festeggiato con le luminarie nel '46… Sarebbe stato composto negli stessi giorni in cui Goffredo scriveva alla madre «Mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla» (15 ottobre 1847, da Novi Ligure, dove era in attesa della visita di leva).

E questo padre Canata si sarebbe fatto scippare l'inno?
Mameli morì a vent'anni nella difesa della Repubblica romana. Come sputtanarlo a quel punto? Canata - un prete giobertiano, un cattolico liberale - si sfogò senza far nomi in certi versetti: «A destar quell'alme imbelli / meditò robusto un canto; / ma venali menestrelli / si rapian dell'arpe il vanto…». Michele Novaro ricevette il testo rubato da Mameli in casa di Lorenzo Valerio e, al momento di musicarlo, era così emozionato che rovesciò la lucerna danneggiando l'originale. Che infatti non c'è più. Lo cantarono per la prima volta a Genova, durante le manifestazioni di quel dicembre. Faceva arrabbiare i reazionari allo stesso modo di "Bandiera rossa" sessant'anni dopo.

Come mai proprio a Genova?
Il re era rimasto a Genova per tutto il mese di novembre (siamo sempre al novembre del 1847, in cui si preparava il primo numero del "Risorgimento"). A Genova c'era addirittura più fermento che a Torino. Costanza racconta che i genovesi, scordandosi completamente il vecchio odio per Torino e il Piemonte, s'inginocchiarono addirittura a centinaia davanti a Carlo Alberto, gridando: «Maestà, amnistia per i fratelli esigliati», al che il re piangendo rispose: «Ci penso, figli, ci penso». Aggiunge Costanza: «Tout le monde pleurait».

Chi è "Costanza"?
Costanza d'Azeglio, moglie di Roberto e cognata di Massimo. Era la sorella di Cesare Alfieri. Aveva l'unico figlio Emanuele diplomatico a Pietroburgo. Gli scriveva le novità. Raccontò anche dell'accoglienza trionfale riservata al re alla fine del mese, al rientro a Torino, e dell'agitazione generale che non cennava a placarsi. «On parle, on va, on remue, on aborde, on se réunit» nonostante che il governo (anzi «le Gouvernement») implorasse: «Più di canti, più di suoni, or bisogno più non ho».

È un’epoca in cui si parla solo in versi.
Ci interessa Genova. Traduciamo Costanza: «A Genova succedono fatti gravi, che imbarazzano il Governo e rattristano quelli che credono la forza consistere solo nell'unione e nella legalità. Ci sono in questa città dei partiti che, senza essere abbastanza forti per prendere il sopravvento, mettono in agitazione l'opinione pubblica. Una frazione è costituita dai mazziniani. Costoro sostengono solo quello che il popolo può ottenere con la violenza e detestano qualunque concessione fatta dall'alto; un'altra frazione è formata dai patrizi che sognano il ritorno di cose impossibili; poi i gesuiti, che resistono a qualunque misura di modernizzazione; quindi le spie, che istigano ai tumulti, spedite qui dalle potenze straniere. A questi si deve aggiungere una quantità di forestieri, gente accecata, sbandati, che si ingaggia a buon mercato ed è pronta a tutto. Costoro nei giorni scorsi sono stati mandati a far cagnara contro i gesuiti, i quali son sempre pronti a mettersi di traverso sulla via nuova che il governo intende intraprendere. Una contestazione formidabile, si parla niente di meno che di dar fuoco ai conventi…».

gda@vespina.com

TRATTO DA LA STAMPA



mercoledì 30 maggio 2012

"Area depressa, dunque, il Mezzogiorno?" No, colonia!


In molti conoscono gli scritti di Nicola Zitara sulla condizione di colonia interna cui il "mezzogiorno" è stato assoggettato a seguito dell'annessione al Piemonte e della nascita del Regno D'Italia, prima, e della Repubblica Italiana, poi. Ma quanti hanno letto la vibrante denuncia pubblica del deputato Giorgio Amendola in merito al processo di colonizzazione imposto al "mezzogiorno" nel dopoguerra?
Ve ne proponiamo uno stralcio


"Area depressa, dunque, il Mezzogiorno?
Questo è il termine assunto e non a caso nella relazione governativa.
Noi abbiamo respinto l’applicazione al Mezzogiorno di questa terminologia di origine keynesiana.[……]
Lo sviluppo della teoria delle aree depresse coincide con gli sforzi compiuti dai gruppi capitalistici monopolisti per cercare nuove zone di espansione interne ed esterne che garantiscano un maggiore saggio di profitto. E’ un processo di colonizzazione, in definitiva, che si verrebbe ad operare dove l’azione statale, sul piano tecnico ed economico, ma anche su quello politico e militare, precorre i tentativi espansionistici dei gruppi monopolistici, la cui azione finanziaria è fortemente intrecciata con quella dello Stato. [……]
Naturalmente le aree depresse così "valorizzate" restano colonizzate, ossia private di ogni possibilità di un proprio autonomo sviluppo economico, di una liberazione delle popolazioni dalle loro condizioni di miseria e di un miglioramento del loro tenore di vita . Esse vengono invece sottoposte al giogo di quelle forze monopolistiche che in collegamento allo Stato ne hanno operato la cosiddetta valorizzazione.
Il Mezzogiorno non può essere considerato come una zona depressa. Per superficie e popolazione, esso è un terzo di tutto il paese. La sua popolazione si accresce con continuità dal 1861 ad oggi, anche se non riesce  a trovare un impiego nella produzione. E le regioni meridionali hanno dietro di sè una storia millenaria.
Esso respinge, pertanto, il concetto di colonizzazione, che è intimamente legato a quello di area depressa. Ed invece il termine area depressa è usato non a caso nella relazione governativa. La via per la soluzione della questione meridionale non e quella di un intervento dall’esterno o dall’alto, a mezzo di un ente speciale che, sotto la copertura di un’azione tecnica, aprirebbe la  strada all’espansione di gruppi monopolistici anche stranieri. La via è un’altra: quella di permettere alle stesse popolazioni meridionali di operare il rinnovamento e il progresso economico di quelle regioni e promuovere lo sviluppo delle forze produttive rimuovendo, con una svolta della politica dello Stato italiano verso il Mezzogiorno, e non solo con l’esecuzione di determinate opere pubbliche, le cause di carattere politico e sociale che hanno, dal 1862 in poi, determinato il formarsi di una questione meridionale."
 
Stralcio dell’intervento del Deputato Giorgio Amendola (Discussione  dei  disegni  di  legge:  Istituzione della Cassa  per opere straordinarie di pubblico  interesse nell’Italia meridionale (Cassa per  il  Mezzogiorno, n° 1170)
Atti parlamentari – Camera dei Deputati – Seduta pomeridiana del 20 giugno 1950


Francesca Di Pascale

mercoledì 9 maggio 2012

È sorto un piccolo regno di second’ordine (di Fëdor Michajlovic' Dostoevskij)

per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, [...] un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!"

Fëdor Michajlovic' Dostoevskij, Diario di uno scrittore, ed. it. a cura di Ettore Lo Gatto, Sansoni, Firenze 1981, 1877, Maggio-Giugno, capitolo secondo, pp. 925-926.

mercoledì 2 maggio 2012

Giacinto De Sivo (1814-1867) - La sovversione settaria

E' una potenza sotterranea, che fa guerra a tutte le
potenze della terra. Essa non è già italiana soltanto, ma
spanuola bensì, e francese, e alemanna e russa e britanna e
americana; da ogni banda ha misteriosi o palesi conciliaboli;
stende in qualunque luogo sue branche, si impadronisce
della letteratura e delle scuole, lancia i suoi sofismi
capziosi, e propugna motti ed opinioni. Essa corrompe la
popolazione, inventa la storia, investe le giovanili menti, e
le abbarbaglia con le splendide parole di libertà, di giustizia
e indipendenza; e mentre il contrario vuole e fa,
ipocritamente fa grandi promesse, abbassa con calunnie i
virtuosi, magnifica i suoi adepti, e lor fa strada a' governi,
a' magistrati, alle università, alle milizie, e talvolta agli alti
seggi del clero; e sinnanco le reggie ed i troni, e i consiglieri
de' regi, ed i regi stessi corrompe e fa suoi.

sabato 28 aprile 2012

I Briganti hanno il dovere di essere persone migliori.

Siamo stati un grande popolo, abbiamo una grande storia.
Non c'era alcun bisogno che arrivasse Garibaldi per insegnarci la libertà, sapevamo difenderla per antiche virtù, l'avevamo difesa in cento passaggi della storia. Siamo stati grandi quanto gli altri, qualche volta più degli altri. Siamo stati civili quanto gli altri, qualche volta più degli altri. Il nostro passato non è lontano millenni, come si racconta, ma solo centocinquant'anni. E' necessario che la coltre di bugie che circonda la nostra identità collettiva sia fugata. La consapevolezza del passato ci aprirà gli occhi e ci permetterà di guardare al futuro. (N. Zitara)

E’ vero, la “Questione Meridionale” esiste a causa dell’Unità d’Italia e non malgrado essa, come hanno voluto farci credere per 150 anni.
E’ vero, ci hanno “regalato” le Mafie.
E’ vero, ci hanno ridotto allo stato di una “colonia interna”, dal 1861 sfruttano le nostre risorse, mentre noi alimentiamo la loro economia in uno stato di sudditanza etico-sociale.

E’ vero, è tutto vero.
Ma è vera anche un’altra cosa, tutto questo ha fatto precipitare la nostra coscienza collettiva in una sorta di torpore e fatalità, nel migliore dei casi, di lassismo e connivenza, nel peggiore.
Dobbiamo uscire da questa spirale perversa in cui siamo caduti (per meglio dire, in cui ci hanno spinto!), i Briganti hanno il dovere di essere persone migliori, i Briganti hanno il dovere di rendere “gli altri” persone migliori, attraverso la consapevolezza di ciò che eravamo e la convinzione di ciò che possiamo e che dobbiamo essere, un popolo dignitoso, con i piedi affondati nella nostra Terra e la testa aperta al mondo.
Abbiamo il dovere di essere coerenti con noi stessi e verso gli altri, abbiamo il diritto di pretendere un futuro migliore, abbiamo il dovere di pretendere un futuro migliore. (Antonio Panico)

venerdì 27 aprile 2012

Civitella, Civitas Fidelissima

Civitella del Tronto è un comune del teramano (Abruzzo Ulteriore I) che sorge a 589 metri sul livello del mare su di una rupe di travertino ed è sovrastato da una imponente fortezza, simbolo della cittadina e della sua storia.

La Fortezza
La Fortezza di Civitella è una delle più rilevanti opere di ingegneria militare della penisola: si estende sulla sommità di una cresta rocciosa per una lunghezza di 500 metri circa; una larghezza media di 45 metri e con una superficie complessiva di 25.000 m2.

Il primo nucleo del forte, probabilmente un castello, risale all'anno mille, ma la struttura militare iniziò a delinearsi in epoca sveva e poi angioina (XIII secolo), assumendo vieppiù rilevanza strategica data la vicinanza al confine con il nascente Stato Pontificio. In epoca aragonese e spagnola, la fortezza subì modifiche ed ampliamenti sino ad raggiungere l'attuale conformazione.

Gli assedi
Nel 1557, durante la Guerra del Tronto, fu posta d'assedio dai francesi alleati con Papa Paolo IV. L'assedio, feroce e violento, non riuscì a far capitolare la fortezza, anche grazie alla valorosa resistenza che il popolo della cittadella riuscì a mettere in atto. L'eroismo dei civitellesi fu ricambiato da Napoli con l'esenzione dagli oneri fiscali per quarant'anni e con il restauro, a spese del demanio regio, degli edifici e della fortezza. Inoltre, nel 1589, Filippo II di Spagna, sempre per lo stesso episodio, elevò Civitella al rango di Città e le conferì il titolo di Fidelissima.

Nel 1798 e nel 1806, la Fortezza venne nuovamente assediata dalle truppe Francesi. Nel 1806, la difesa dalla cittadella era affidata al maggiore irlandese Matteo Wade, che riuscì, eroicamente, a resistere contro le ben più numerose truppe Napoleoniche, capitolando, onorevolmente, solo dopo quattro mesi d’assedio. Gli assedi del 1798 e 1806 danneggiarono non poco le strutture, al punto che nel 1820 la Fortezza fu completamente restaurata mantenendo però il suo carattere rinascimentale.

Nel 1861, Civitella fu protagonista dell’ultima battaglia per la difesa dell’indipendenza delle Due Sicilie. Dopo aver attraversato i territori pontifici e parallelamente alla Battaglia del Garigliano ed all'Assedio di Gaeta, l'esercito piemontese, nell'ottobre del 1860, strinse d'assedio Civitella.

L'eroica resistenza
La resistenza civitellese fu tenace e stava dando i suoi frutti, tanto che, il 6 dicembre 1860, dopo diversi insuccessi da parte sabauda, gli assedianti furono costretti a ripiegare, ritirandosi dalle montagne circostanti il paese. Gli attacchi ripresero solo dopo che le fila piemontesi furono ingrossate da diverse compagnie militari giunte a sostegno e da una consistente sezione di artiglieria, grazie alla quale lo scontro riprese ancor più duramente. Nonostante ciò la fortezza non si arrese. Il 6 gennaio 1861, però, le truppe sabaude vennero totalmente sostituite e furono emessi alcuni durissimi bandi contro i civili. La situazione fattasi estremamente critica fu causa di tensioni tra i soldati borbonici: vi erano elementi intenzionati ad arrendersi ed elementi intenzionati a continuare la difesa del forte: sebbene alcuni reparti si arresero abbandonando la fortezza, a prevalere fu la volontà di chi voleva resistere, e la tenacia di questi soldati fu seconda solo a quella degli abitanti di Civitella: i civitellesi, infatti, si schierarono eroicamente a difesa della loro città.

Il 15 febbraio un violentissimo bombardamento provocò gravi danni e perdite tra i civili, ma la fortezza non diede cenno di resa. Dopo la caduta delle piazzeforti di Gaeta e Messina, però, l'offensiva sabauda poté concentrarsi su Civitella. Il 17 marzo 1861, a Torino, veniva proclamato il Regno d'Italia, ma Civitella continuava a resistere, continuava ad essere l'ultimo lembo di terra delle Due Sicilie ancora indipendente. Questo era intollerabile per Casa Savoia: così l'esercito del nuovo Regno d'Italia rafforzò l'offensiva riducendo allo stremo civitellesi e soldati. Nonostante ciò, anche quando giunse il messaggio di Francesco II che comunicava la resa ed ordinava di deporre le armi, gli assediati non vi cedettero e rifiutarono di consegnarsi al nemico.

L'epilogo
Seguirono due giorni di terrificanti bombardamenti. Fu una battaglia terribile in cui l'esercito italiano bombardò la fortezza per spegnere la resistenza degli ultimi reparti di soldati meridionali. Alle ore 11 del 20 marzo 1861, gli assediati giunti allo stremo delle forze si arresero. Dopo la firma della capitolazione, i vincitori presero possesso del forte issando il vessillo sabaudo. L’ultimo fiero ed eroico baluardo delle Due Sicilie resistette strenuamente fino all'ultimo e si arrese ai piemontesi solo quando la ragione prevalse sulla passione, solo quando consapevoli che l’epilogo sarebbe stato una carneficina, si volle evitare di spargere altro sangue.

Il 21 marzo 1861, Cavour comunicava alle corti inglese e francese la caduta di Civitella: anche l'ultimo ostacolo alla legittimazione del nuovo stato italiano era stato eliminato. Il 22 marzo, dal ministero della guerra di Torino, giungeva lo scellerato ordine di distruggere la fortezza e la plurisecolare cinta muraria angioina della città. In questo modo barbarico si faceva pagare la fedeltà dei civitellesi al vessillo duosiciliano e ed il coraggio della valorosa guarnigione, colpevole di aver fatto esclusivamente il proprio dovere. Molti dei reduci furono deportati nei "campi" piemontesi di Savona e Fenestrelle, da dove non fecero più ritorno.

Da quarantuno anni, ad ogni anniversario di quel giorno infausto, donne e uomini orgogliosi dell'eroismo dei propri avi commemorano i caduti di Civitella e rendono omaggio alla memoria di chi ha combattuto per la libertà della propria terra.

AnTuDo

domenica 22 aprile 2012

Solo unendo tutti i nostri popoli, dall'Abruzzo alla Sicilia, possiamo sconfiggerli! Altrimenti ci aspettano altri 150 anni di colonialismo!

Salernitani contro Napoletani, Baresi contro Leccesi, Potentini contro Materani, Catanzaresi contro Reggini, Catanesi contro Palermitani.
Qui non c'entra solo la disputa calcistica, qui si tenta di dividerci ancor di più e non ci rendiamo conto che in questo modo facciamo il loro gioco, il gioco di chi non ci vuole popolo.
Dopo le ultime sparate del referendum secessionistico della provincia di Salerno, dopo le ultime sparate dei siciliani contro i continentali e viceversa si sta andando verso un baratro profondo!
Da anni la missione di tutti noi, che sappiamo quello che ci hanno fatto,  è quella di svegliare chi ancora al Sud sta dormendo, ma gridando che il nostro orticello è migliore di quello del vicino è a dir poco straziante!
Il Regno delle Due Sicile aveva già una forma federalista quasi perfetta sancita dalla costituzione del 1822 in cui l'ente più importante non era la regione o la provincia ma bensì, dopo lo Stato, era il COMUNE!
Infatti i municipi avevano una grande autonomia e la applicavano nei loro territori di competenza, forse questo è uno dei motivi che nei nostri paesi anche a pochi chilometri di distanza ci sono usi e costumi e leggi differenti.
Quindi se non riusciamo ad unirci cerchiamo alemeno di prendere esempio dai nostri avi che avevano questa forma di autonomia che assecondava tutti i dissapori.
Il nostro obbiettivo primario è spezzare le catene del colonialismo Tosco-Padano, al secondo posto ci sarà una forma di federalismo netto (e non quello pseudo leghista).
Quindi tutti insieme iniziamo la nostra "guerra" di rinascita e travolgiamo tutto.
Gridiamo insieme:

W NAPOLI, W SALERNO,W AVELLINO, W BENEVENTO,W CASERTA,  W L'AQUILA, W PESCARA, W CHIETI, W RIETI, W TERAMO, W CAPOBASSO, W ISERNIA, W POTENZA, W MATERA, W FOGGIA, W BARI, W ANDRIA, W TARANTO, W BRINDISI, W LECCE, W COSENZA, W CATANZARO, W CROTONE, W VIBO, W REGGIO, W CATANIA, W MESSINA, W RAGUSA, W SIRACUSA, W TRAPANI, W CALTANISSETTA, W AGRIGENTO, W PALERMO, W ENNA

ma soprattutto

W IL SUD IL NOSTRO SUD!!!!!!!!!!

venerdì 20 aprile 2012

La legge ammazza-terroni

Legge Pica
All'indomani dell'annessione delle Due Sicilie al nascente regno d'Italia, all'indomani dei plebisciti-farsa organizzati per dare una parvenza di legittimità alla conquista militare, all'indomani dell'inizio della fine, i popoli duosiciliani manifestarono il proprio dissenso verso il nuovo stato unitario e, quando il ruolo di colonia, che l'Italia voleva assegnare al "meridione liberato" divenne un prezzo troppo alto da pagare, uomini e donne impavidi imbracciarono le armi per difendere la propria terra dall'invasione "straniera", dando vita a quel movimento di resistenza che i conquistatori combatterono definendolo, con l'intento di svilirlo agli occhi dell'opinione pubblica, "Brigantaggio".

Il più noto provvedimento legislativo che lo stato italiano adottò per reprimere i fenomeni di resistenza fu la legge Pica del 15 agosto 1863. Presentata come "mezzo eccezionale e temporaneo di difesa" (difesa da chi? Dai cittadini che non riconoscono la legittimità dell’invasore occupante?), la legge fu, invece, più volte prorogata ed integrata da successive modificazioni e decreti attuativi, rimanendo in vigore fino a tutto il 1865.

Paradossalmente, il proponente di questo provvedimento fu proprio un "meridionale": il deputato abruzzese Giuseppe Pica, che, così come fecero tanti altri "meridionali", si asservì all'invasore per continuare ad occupare un seggio in parlamento.

Proclamazione dello stato d'assedio
La legge Pica seguiva, di circa dodici mesi, la proclamazione, da parte del governo, dello stato d'assedio nelle province meridionali, avvenuta nell'estate del 1862. In pretica, lo stato italiano, per mantenerne il controllo, occupava militarmente i territori delle Due Sicilie, che altrimenti sarebbero sicuramente tornati ad essere uno stato indipendente.

Con lo stato d'assedio si era voluto concentrare il potere nelle mani dell'autorità militare al fine di reprimere l'attività di resistenza armata: coloro i quali venivano catturati con l'accusa di brigantaggio, fossero essi sospettati di essere ribelli o parenti di ribelli, potevano essere passati per le armi dall'esercito, senza formalità di alcun genere. Esercito e bersaglieri avevano licenza di ammazzare chiunque non gli andasse a genio! Per contro, coloro che riuscivano ad evitare il plotone di esecuzione non potevano più essere processati dai tribunali militari e divenivano soggetti alla giustizia ordinaria, che, in base alle variazioni apportate, nel 1859, al codice penale piemontese, non prevedeva più l'applicazione della pena di morte per i reati politici. La legge Pica, dunque, sospendendo, in sostanza, la garanzia dei diritti costituzionali contemplati dallo statuto Albertino, aveva l'obiettivo di colmare questo "vuoto", sottraendo i sospettati di brigantaggio ai tribunali civili in favore di quelli militari. Il parlamento italiano approvò la legge con la convinzione che attraverso di essa nessun partigiano duosiciliano sarebbe sfuggito all morte o, quanto meno, al carcere.

Le province infette
In applicazione della legge Pica, con Regio decreto del 20 agosto 1863, venivano individuate le province definite come "infestate dal brigantaggio", che erano: Abruzzo Citeriore (odierna provincia di Chieti e parte della provincia di Pescara) , Abruzzo Ulteriore II (odierna provincia dell’Aquila e parte della provincia di Rieti), Basilicata, provincia di Benevento, Calabria Citeriore (odierna provincia di Cosenza), Calabria Ulteriore II (province di Crotone, Catanzaro e Vibo), Capitanata (provincia di Foggia), Molise, Principato Citeriore (provincia di Salerno), Principato Ulteriore (provincia di Avellino) e Terra di Lavoro (odierna provincia di Caserta e area meridionale delle province di Frosinone e Latina). Non ebbero l'onore di essere incluse in questa lista: l'Abruzzo Ulteriore I (odierna provincia di Teramo e parte della provincia di Pescara), la provincia di Napoli (dove il controllo sulla popolazione era assicurato dalla nascente camorra foraggiata dallo stato), Calabria Ulteriore I (odierna provincia di Reggio - anche qui valeva un discorso simile a quello fatto per Napoli) e, solo inizialmente, le sette province siciliane (poichè non interessate dalle insorgenze di carattere legittimista, ma che ben presto verranno ugualmente interessate dal provvedimento).

Per legge, dunque, il nuovo stato fu scpaccato in due: il centro-nord, dove vigeva lo Statuto albertino, e le Due Sicilie, dove i diritti costituzionali dei cittadini erano "momentaneamente sospesi". La legge fu, infatti, adottata in deroga agli articoli 24 e 71 dello Statuto: tali articoli garantivano, rispettivamente, il principio di uguaglianza di tutti i sudditi dinanzi alla legge e la garanzia del giudice naturale connessa al divieto di costituire tribunali speciali.

Sottomissione e sterminio
Con la legge Pica, venivano istituiti sul territorio i tribunali militari, ai quali passava la competenza in materia di reati di brigantaggio. Il nuovo corpo normativo stabiliva che poteva essere qualificato come brigante (e, dunque, giudicato dalla corte marziale) chiunque fosse stato trovato armato in un gruppo di almeno tre persone. Veniva concessa la facoltà di istituire delle milizie volontarie per la caccia ai briganti ed erano stabiliti dei premi in danaro per ogni brigante arrestato o ucciso. Ne conseguì che pastori e contadini, che spesso si muovevano portando indosso strumenti di difesa come pugnali o coltelli a serramanico, divennero d'un sol colpo criminali passibili delle severe condanne previste dal complesso normativo connesso alla legge Pica.

Le pene comminate ai condannati andavano dall'incarcerazione, ai lavori forzati, alla fucilazione. Veniva punito con la fucilazione chiunque avesse opposto resistenza armata all'arresto, mentre coloro che non si opponevano all'arresto potevano essere puniti con i lavori forzati a vita o con i lavori forzati a tempo, salvo, però, maggiori pene, applicabili nel caso in cui costoro fossero stati riconosciuti colpevoli di altri reati. Coloro che prestavano aiuti e sostegno di qualsiasi genere ai briganti potevano essere, invece, puniti con i lavori forzati a tempo o con l'incarcerazione. Veniva punito con la deportazione chiunque si fosse unito, anche momentaneamente, ai gruppi qualificati come bande brigantesche. Erano, invece, previste delle attenuanti per coloro i quali si fossero presentati spontaneamente alle autorità. Veniva, infine, introdotto anche il reato di eccitamento al brigantaggio.

Nelle province che lo stato definì "infette", venivano istituiti i Consigli inquisitori (i cui componenti erano il Prefetto, il Presidente del Tribunale, il Procuratore del Re e due cittadini della Deputazione Provinciale) che avevano il compito di stendere delle liste con i nominativi dei briganti individuando così i sospetti che potevano essere messi in stato d'arresto o, in caso di resistenza, uccisi: l'iscrizione nella lista, infatti, costituiva di per sé prova d'accusa. In sostanza, veniva introdotto il criterio del sospetto: in base al quale divenne possibile per i "liberali" avanzare accuse senza fondamento, per consumare vendette private, per liberarsi degli oppositori politici, per accrescere i prorpi profitti... per ammazzare il "terrone scomodo"!

La legge, per di più, aveva effetto retroattivo: in altre parole, era possibile applicare la legge Pica anche per reati contestati in epoca antecedente la promulgazione della legge stessa.

La Sicilia
Attraverso le successive modificazioni, la legge Pica fu estesa anche alla Sicilia, pur essendo assente sull'isola il grande brigantaggio legittimista che caratterizzava le province napoletane. In particolare, l'obiettivo del governo era combattere il fenomeno della renitenza alla leva militare: divennero, infatti, perseguibili i renitenti, i loro parenti e, persino, i loro concittadini (attraverso l'occupazione militare di città e paesi). Alla sospensione dei diritti costituzionali, dunque, si accompagnavano misure come la punizione collettiva per i reati dei singoli e il diritto di rappresaglia contro i villaggi: veniva introdotto il concetto di "responsabilità collettiva" (sic)! Venivano adoperati metodi da colonialismo!

Chi si oppose fu ignorato
Già durante la fase di discussione, fu subito chiaro che la nuova legge avrebbe dato adito ad errori ed arbitri di ogni sorta: il senatore Ubaldino Peruzzi, infatti, notò come il provvedimento fosse «la negazione di ogni libertà politica». Al pugno di ferro prospettato dalla Destra storica, il Senatore Luigi Federico Menabrea rispose, invece, con una proposta totalmente alternativa. Il Menabrea, come soluzione al malcontento popolare e alle insurrezioni che seguirono l'annessione delle Due Sicilie al Regno d'Italia, propose di stanziare 20 milioni di lire per la realizzazione di opere pubbliche al Sud. Il piano del Menabrea, però, non ebbe alcun seguito, poiché il parlamento italiano preferì il pugno di ferro, preferì investire nell'impiego delle forze armate, preferì sterminare chi ad esso si opponeva.

Nonostante la scelleratezza del provvedimento legislativo fosse stata apertamente denunciata, la legge fu ugualmente approvata, e immediatamente dagli stessi contemporanei furono riconosciuti gli abusi e le iniquità a cui essa diede adito. Nella seduta parlamentare del 29 aprile 1862, il senatore Giuseppe Ferrari affermava: «Non potete negare che intere famiglie vengono arrestate senza il minimo pretesto; che vi sono, in quelle province, degli uomini assolti dai giudici e che sono ancora in carcere. Si è introdotta una nuova legge in base alla quale ogni uomo preso con le armi in pugno viene fucilato. Questa si chiama guerra barbarica, guerra senza quartiere. Se la vostra coscienza non vi dice che state sguazzando nel sangue, non so più come esprimermi».

Allo stesso modo, nel 1864, Vincenzo Padula scriveva: «Il tempo che si dà la caccia ai briganti è una vera pasqua per gli ufficiali, civili e militari; e l'immoralità dei mezzi, [...], ha corrotto e imbruttito. Si arrestano le famiglie dei briganti, ed i più lontani congiunti; e le madri, le spose, le sorelle e le figlie loro, servono a saziare la libidine, ora di chi comanda, ora di chi esegue quegli arresti».

Esiti
La legge Pica non faceva alcuna distinzione tra comuni delinquenti, partigiani, contadini, collaborazionisti veri o presunti. Essa, fra fucilazioni, morti in combattimento ed arresti, eliminò da paesi e campagne circa 14.000 briganti o presunti briganti: per effetto della legge e del complesso normativo ad essa connesso, fino a tutto il dicembre 1865, si ebbero 12.000 tra arrestati e deportati, mentre furono 2.218 i condannati. Nel solo 1865, furono 55 le condanne a morte, 83 ai lavori forzati a vita, 576 quelle ai lavori forzati a tempo e 306 quelle alla reclusione ordinaria. Questi dati, desunti dai pochi documenti ufficiali sfuggiti agli archivi militari, lasciano presupporre una sottostima del reale numero delle vittime. In generale, la guerra civile eufemisticamente definita "lotta al Brigantaggio", impegnò un significativo "contingente di pacificazione": inizialmente esso constava di centoventimila unità, quasi la metà dell'allora esercito unitario, poi scese, negli anni successivi, prima, a novantamila uomini e, poi, a cinquantamila.

Nel 1865, la legge Pica fu abrogata: nonostante il suo rigore, le iniquità e le violenze, essa non riuscì a portare i risultati che il governo si era prefissi, non riuscì ad annichilire le insorgenze indipendentiste: i briganti, infatti, non furono piegati e le loro attività insurrezionali perdurarono negli anni successivi al 1865, protraendosi fino al 1870.

AnTuDo
ANimus TUus DOminus
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