domenica 24 giugno 2012

La storia nascosta di Nicola Romeo, fondatore dell' Alfa



Vi siete mai chiesti perchè l'Alfa si chiama Romeo??
Il perchè sta nel fatto che un imprenditore napoletano, precisamente di Sant'Antimo, l'ing. Nicola Romeo, acquistò l'Alfa, che era un'azienda automobilistica fallimentare, fecendola diventare quella che è adesso.
Ancora risuonano le storiche parole di Henry Ford che disse, agli inizi del '900: "quando passa un' Alfa Romeo mi tolgo il cappello".
Ma nessuno invece è a conoscenza di un'altra storia! Una storia che include in se tutta la "tragedia" che il Sud vive dal giorno in cui fummo annessi al regno d'italia (scritto volutamente in minuscolo).
E questa storia si inserisce anche e prepotentemente nella famosa frase del primo governatore della banca d'italia, Carlo Brombini, che nel 1862 affermò: "il Mezzogiorno non dovrà più essere in grado di intraprendere".
Grazie ad uno studioso, Carmine De Marco, autore del libro "La conquista e la colonizzazione del Meridione d’Italia", è emerso il motivo per cui un imprenditore napoletano decise di acquistare un'azienda fallita. Più che per libera scelta, infatti, fu costretto...
Di seguito riporto il testo di un'intervista a Carmine De Marco di Angelo Picariello che è tratto da una testimonianza di un erede dell'ing. Nicola Romeo:

«La vicenda emblematica di come l’industria meridionale, fiorente fino a 150 anni fa, in special modo quella metalmeccanica, già da mezzo secolo fosse stata abbandonata a sé stessa per privilegiare quella del Nord. L’ingegner Nicola Romeo, ricordiamolo, era un geniale imprenditore metalmeccanico che aveva diversi, importanti stabilimenti nella zona Napoli. Licenziatario per la costruzione di camioncini di trasporto truppe della francese Darracq, allo scoppio della Prima guerra offrì allo Stato italiano il suo prodotto a prezzo vantaggioso, ma si sentì rispondere che esso acquistava solo prodotto nazionale. Cioè del Nord. Così accettò di rilevare l’A.L.F.A (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili), che aveva i suoi stabilimenti a Portello, presso Milano, ed era in liquidazione. Finita la guerra, nel 1918, fu inizialmente cambiato il nome della società in "Società Anonima Ing. Nicola Romeo e Co.". Ma si sa che i napoletani sono buoni di cuore: infatti Romeo non infierì, e al termine di una lunga vertenza con i vecchi proprietari dell’Alfa, non mise sullo scudetto il Vesuvio, ma lasciò il biscione milanese. E tutti oggi si lamentano per l’Alfa-Sud di Pomigliano, poi passata alla Fiat, "regalata" ai meridionali "sfaticati" dai generosi industriali settentrionali».

CLICCA QUI PER LEGGERE TUTTO L'ARTICOLO DI ANGELO PICARIELLO

sabato 23 giugno 2012

La sconcertante storia dell' azienda materana Anthill



Vi ricordate le parole di Carlo Brombini, primo governatore della Banca d'Italia, del 1862?
Disse testuali parole: "Il Mezzogiorno non dovrà più essere in grado di intraprendere".
Beh, pensando a queste parole vi racconterò la storia di Anthill!!

ANTHILL era una cordata di imprenditori di MATERA che parteciparono alla gara d'appalto per l'acquisto della compagnia telefonica BLU.
Ma la Anthill fu esclusa dalla gara nonostante avesse tutte le carte in regola per partecipare!! Ricordo ancora che ci furono tantissimi politici dell'epoca che avversarono la ANTHILL primi fra tutti Casini e Gasparri (leggete qui: http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/45000/43681.xml?key=casini&first=961&orderby=0)!!
Ma nonostante le avversioni del governo a guida FI-UDC-LEGA-AN (siamo nel 2002) i CAPARBI IMPRENDITORI LUCANI continuarono per la loro strada finquando lo STATO disse un secco NO!!!!
Ora ricordate come è iniziato questo post??? "Il Mezzogiorno non dovrà più essere in grado di intraprendere"......

SE VOLETE INFORMARVI SULLA STORIA LEGGETE I LINK RIPORTATI QUI DI SEGUITO

http://www.notizie-online.it/content/view/16913/41/ [Telefonia, il consorzio materano Anthill torna alla carica]

http://www.repubblica.it/online/economia/umts2/stampa/stampa.html [Umts, Anthill al contrattacco
"Pronti a far annullare la gara"]

http://www.wallstreetitalia.com/article/11920/tlc-anthill-ricorre-contro-l-esclusione-dall-umts.aspx [TLC: ANTHILL RICORRE CONTRO L'ESCLUSIONE DALL'UMTS]

http://www.soldionline.it/notizie/azioni-italia/anthill-esclusa-dalla-gara-per-le-licenze-umts [Anthill esclusa dalla gara per le licenze UMTS]

venerdì 22 giugno 2012

Mameli ha letteralmente RUBATO l' inno

Riportiamo un interessantissimo articolo uscito su  La Stampa un paio di anni fa....

L'Inno rubato da Mameli

La polizia lasciava fare? Voglio dire: irruzioni nei caffè…?
Dopo il 30 ottobre «toute la population était dans la rue» scrive Costanza. Benché gli assembramenti fossero stati proibiti, le polizie avevano avuto istruzioni di lasciar fare. Gruppi di moderati, coordinati da Roberto d'Azeglio, andavano in giro a prevenire incidenti, vigilando specialmente sulle sedi dei gesuiti e della legazione austriaca. Un ordine auto-gestito.
Le ronde.
Chiedevano infatti, e lo consideravano un elemento di libertà, la Guardia civica, proprio come a Roma. Problemi di ordine pubblico ce n'erano soprattutto a teatro, dove gli spettacoli non si potevano portare a termine perché alla minima battuta vagamente interpretabile in senso patriottico, e magari scritta dall'autore senza intenzione, il pubblico scattava in piedi, partivano i cori e gli sventolii dei drappi. «Si previene il Pubblico che resta assolutamente proibita qualsiasi clamorosa dimostrazione, come pure di cantare inni, introdurvi bandiere, fischiare o prolungare gli applausi da interrompere il corso delle rappresentazioni»: così, inutilmente, la direzione del Regio, la vigilia di Natale.

Che bandiere agitavano?
L'azzura coccarda di Savoia e il tricolore. Il tricolore era fonte di risse. Non piaceva a Carlo Alberto e alcuni patrioti lo consideravano un vessillo di schiavitù.

Perché?
Perché l'aveva inventato Napoleone, del quale era corretto dire che avesse reso l'Italia schiava… Però Napoleone, mentre faceva schiava l'Italia, aveva pure reso possibile la nascita della "Repubblica Cisalpina…" o della "Repubblica Cispadana…". Il tricolore simboleggiava Napoleone o le repubbliche? Avevano ragione questi e quelli.

E "Fratelli d'Italia"?
Aldo Mola ha dimostrato che non è di Mameli, ma del padre Canata. L'inno è troppo colto per essere di quell'ignorantello di Goffredo. Vi si allude alla repressione austriaca in Galizia, all'episodio del Balilla festeggiato con le luminarie nel '46… Sarebbe stato composto negli stessi giorni in cui Goffredo scriveva alla madre «Mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla» (15 ottobre 1847, da Novi Ligure, dove era in attesa della visita di leva).

E questo padre Canata si sarebbe fatto scippare l'inno?
Mameli morì a vent'anni nella difesa della Repubblica romana. Come sputtanarlo a quel punto? Canata - un prete giobertiano, un cattolico liberale - si sfogò senza far nomi in certi versetti: «A destar quell'alme imbelli / meditò robusto un canto; / ma venali menestrelli / si rapian dell'arpe il vanto…». Michele Novaro ricevette il testo rubato da Mameli in casa di Lorenzo Valerio e, al momento di musicarlo, era così emozionato che rovesciò la lucerna danneggiando l'originale. Che infatti non c'è più. Lo cantarono per la prima volta a Genova, durante le manifestazioni di quel dicembre. Faceva arrabbiare i reazionari allo stesso modo di "Bandiera rossa" sessant'anni dopo.

Come mai proprio a Genova?
Il re era rimasto a Genova per tutto il mese di novembre (siamo sempre al novembre del 1847, in cui si preparava il primo numero del "Risorgimento"). A Genova c'era addirittura più fermento che a Torino. Costanza racconta che i genovesi, scordandosi completamente il vecchio odio per Torino e il Piemonte, s'inginocchiarono addirittura a centinaia davanti a Carlo Alberto, gridando: «Maestà, amnistia per i fratelli esigliati», al che il re piangendo rispose: «Ci penso, figli, ci penso». Aggiunge Costanza: «Tout le monde pleurait».

Chi è "Costanza"?
Costanza d'Azeglio, moglie di Roberto e cognata di Massimo. Era la sorella di Cesare Alfieri. Aveva l'unico figlio Emanuele diplomatico a Pietroburgo. Gli scriveva le novità. Raccontò anche dell'accoglienza trionfale riservata al re alla fine del mese, al rientro a Torino, e dell'agitazione generale che non cennava a placarsi. «On parle, on va, on remue, on aborde, on se réunit» nonostante che il governo (anzi «le Gouvernement») implorasse: «Più di canti, più di suoni, or bisogno più non ho».

È un’epoca in cui si parla solo in versi.
Ci interessa Genova. Traduciamo Costanza: «A Genova succedono fatti gravi, che imbarazzano il Governo e rattristano quelli che credono la forza consistere solo nell'unione e nella legalità. Ci sono in questa città dei partiti che, senza essere abbastanza forti per prendere il sopravvento, mettono in agitazione l'opinione pubblica. Una frazione è costituita dai mazziniani. Costoro sostengono solo quello che il popolo può ottenere con la violenza e detestano qualunque concessione fatta dall'alto; un'altra frazione è formata dai patrizi che sognano il ritorno di cose impossibili; poi i gesuiti, che resistono a qualunque misura di modernizzazione; quindi le spie, che istigano ai tumulti, spedite qui dalle potenze straniere. A questi si deve aggiungere una quantità di forestieri, gente accecata, sbandati, che si ingaggia a buon mercato ed è pronta a tutto. Costoro nei giorni scorsi sono stati mandati a far cagnara contro i gesuiti, i quali son sempre pronti a mettersi di traverso sulla via nuova che il governo intende intraprendere. Una contestazione formidabile, si parla niente di meno che di dar fuoco ai conventi…».

gda@vespina.com

TRATTO DA LA STAMPA



lunedì 18 giugno 2012

Li chiamarono briganti

Film completo e integrale Li chiamarono Briganti 1999 diretto da Pasquale Squitieri, buona visione a tutti!!

domenica 10 giugno 2012

Henry Lennox: Le carceri meridionali durante il regime sabaudo

Tristemente note sono le lettere scritte nel 1851 dal politico conservatore inglese William Gladstone, nelle quali egli, dicendo di aver visitato alcuni penitenziari napoletani, raccontava di essere rimasto scioccato dalle condizioni in cui versavano i detenuti. Per Gladstone, lo stato borbonico si presentava in una terribile situazione sociale; in particolare egli si espresse con tali dure parole:

« Non descrivo severità accidentali, ma la violazione incessante, sistematica, premeditata delle leggi umane e divine; la persecuzione della virtù, quand'è congiunta a intelligenza, la profanazione della religione, la violazione di ogni morale, sospinte da paure e vendette, la prostituzione della magistratura per condannare uomini i più virtuosi ed elevati e intelligenti e distinti e culti; un vile selvaggio sistema di torture fisiche e morali. Effetto di tutto questo è il rovesciamento di ogni idea sociale, è la negazione di Dio eretta a sistema di governo. »

L'austero William Ewart Gladstone.Nonostante le accuse di Gladstone suscitarono immediatamente forti dubbi ed ebbero diversi tentativi di confutazione in Italia ed in Europa, i suoi assunti ebbero larga eco in tutto il continente, contribuendo enormemente al sentimento antiborbonico e filorisorgimentale.

Già nel 1852, però, Gladstone ritrattò alcune delle sue affermazioni ed ammise di essere stato in parte abbindolato; nel 1863, rivelò in parlamento di aver costruito le proprie dichiarazioni sulla base delle tesi sostenute da alcuni degli esponenti liberali napoletani. Infine, tornato a Napoli tra il 1888 e il 1889, confessò di non essere mai stato in alcun carcere e di aver scritto le due missive dietro incarico di lord Palmerston, confermando, quindi, che i suoi assunti erano basati sulle affermazioni dei politici antiborbonici.

Molto poco noto, invece, è un discorso tenuto il giorno 8 maggio 1863, da un altro politico inglese, Henry Lennox, che denunciò al parlamento britannico, la terribile condizione in cui versavano i penitenziari meridionali in seguito all'Unità d'Italia.

Nel 1863, Lord Henry Lennox, per sua stessa ammissione, convinto sostenitore di Vittorio Emanuele II di Savoia, visitò, autorizzato dal Generale La Marmora, alcune carceri campane e, fatto ritorno in patria, espose le impressioni ricavate dalla sua visita alla camera dei comuni. Ciò che il politico britannico si trovò davanti agli occhi, lo spinse a dubitare della veridicità delle decantate condizioni di giustizia e libertà in cui avrebbe dovuto versare lo Stato unitario. Egli criticò aspramente il nuovo governo sottolineando come qualsiasi voce dissidente fosse immediatamente messa a tacere attraverso un sistema di arresti arbitrari che contemplavano l'incarcerazione senza processo.

« Nel sud del regno, è stato inaugurato un sistema di sangue, al quale deve essere posto un limite. »
(Cavendish Bentinck, deputato inglese, in un suo intervento alla camera dei comuni l'8 maggio 1863.)

Caricatura di Lennox, disegnata da Carlo Pellegrini per il periodico britannico Vanity Fair nel 1870.Per il carcere partenopeo di Santa Maria Apparente, Lennox dovette constatare che, in quel penitenziario, erano reclusi, da oltre 18-24 mesi, uomini, ritenuti rivoluzionari, che erano stati arrestati ed imprigionati senza mai aver subito un interrogatorio, senza mai essere stati processati e senza che fosse stato loro formalizzato alcun capo d'imputazione. Egli notò come molti detenuti "politici", più che avere l'aspetto di pericolosi rivoluzionari, apparissero come sventurati di umili condizioni e spesso in là con gli anni; riportò inoltre, che le numerose petizioni che richiedevano lo svolgimento dei processi per questi detenuti, una volta inviate a Torino, venivano puntualmente ignorate.

La situazione registrata al carcere della Concordia apparve, agli occhi del Lennox, ben più grave: gli accusati di reati politici erano detenuti in condizioni promiscue con i criminali comuni, tra i quali vi era, finanche, un omicida; tra i detenuti politici, invece, vi erano anche religiosi, anch'essi prelevati dai propri domicili ed imprigionati senza processo e imputazione di capo d'accusa. Nelle carceri femminili, invece, le donne accusate di reati politici erano detenute promiscuamente con le prostitute e le criminali comuni. Della visita al penitenziario femminile di Santa Maria ad Agnone, Lennox riporta il caso delle sorelle Francesca, Carolina, e Raffaella Avitabile, detenute da 22 mesi perché accusate di aver esposto alla finestra della loro abitazione il vessillo delle Due Sicilie.

Spostatosi su Salerno, invece, le condizioni dei detenuti apparvero drammatiche. Il direttore del carcere riferì di un sovraffollamento del suo penitenziario: il numero dei detenuti, 1359 persone, era più che doppio rispetto alla capacità massima della struttura (650 detenuti); ciò aveva comportato lo scoppio di una epidemia di febbre tifoide, che, solo nell'ultima settimana, aveva ucciso, oltre che diversi detenuti, anche il medico della prigione ed un secondino. In una prima cella erano stipate oltre 25 persone, tra civili sospettati di reati politici, religiosi e delinquenti comuni. In un altro locale, trascorrevano la loro intera giornata, fatta salva l'ora d'aria in cortile, 157 uomini, sempre promiscuamente detenuti. Squallore e sporcizia, ancora, erano evidenti in un altro stanzone che conteneva 230 prigionieri in misere condizioni: gli abiti di costoro erano talmente logori, che taluni di essi rasentavano la nudità. A parere di Lennox, il cibo portato ai prigionieri era tale che, in Inghilterra, non sarebbe stato dato in pasto neanche agli animali.

Con circa 1200 prigionieri, anche il carcere della Vicaria era sovraffollato, contenendo circa il doppio dei detenuti di cui era capace, dei quali molti erano ancora in attesa di processo. Il grosso di essi era stipato in 5 stanzoni intercomunicanti in pessime condizioni di igiene. Inoltre, non veniva garantito il necessario grado di sicurezza, poiché, rispetto alla mole di detenuti, il personale di sorveglianza era insufficiente.

Lennox, sostenendo che l'Italia unita doveva la sua esistenza all'Inghilterra, affermò che all'Inghilterra era necessario denunciare tali barbare atrocità: un intervento di Londra avrebbe evitato che la condizione delle popolazioni meridionali, vittime di feroci crudeltà e sovraccaricate da una pesante imposizione fiscale, peggiorasse ulteriormente; avrebbe evitato che una splendida terra fosse lasciata in preda al peggior dispotismo e alle più esasperante sofferenze. In particolare egli invitò Gladstone, che fu così pronto a riferire delle carceri borboniche, a non restare immobile e a farsi portatore anche delle istanze di questi detenuti. Naturalmente ciò non avvenne mai.

Per approfondire: Italy in 1863. Speech Delivered by Lord Henry Gordon Lennox.

AnTuDo
[Bart]

mercoledì 6 giugno 2012

La Strage di Pontelandolfo


All'alba del 14, Pontelandolfo è circondata. Dopo che un plotone, accompagnato dal De Marco, ha contrassegnato le case dei liberali collaborazionisti da salvare, i bersaglieri entrati in Pontelandolfo fucilano chiunque capiti a tiro: preti, uomini, donne, bambini. Le case sono saccheggiate e tutto il paese dato alle fiamme e raso al suolo. Tra gli assassini vi sono truppe ungheresi che compiono vere e proprie atrocità. I morti sono oltre mille. Per fortuna alquanti abitanti sono riusciti a scampare al massacro trovando rifugio nei boschi.
Nicola Biondi, contadino di sessant’anni, è legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri. Costoro ne denudano la figlia Concettina di sedici anni, e la violentano a turno. Dopo un'ora la ragazza, sanguinante, sviene per la vergogna e per il dolore. Il soldato piemontese che la stava violentando, indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alza e la uccide. Il padre della ragazza, che cerca di liberarsi dalla fune che lo tiene legato al palo, è fucilato anche lui dai bersaglieri. Le pallottole spezzano anche la fune e Nicola Biondi cade carponi accanto alla figlia. Nella casa accanto, un certo Santopietro; con il figlio in braccio, mentre scappa, è bloccato dai militari, che gli strappano il bambino dalle mani e lo uccidono.
da uno scritto di ANTONIO PAGANO

giovedì 31 maggio 2012

BELLISSIMO, DA LEGGERE E DIFFONDERE


Il tifone dopo la tempesta – La vera storia dell’Unità d’Italia

Mi sa che quel che butti dalla porta, ti rientra poi dalla finestra….
così fu, che dopo essermi commossa al sentir declamare l’Inno di Mameli da Roberto Benigni a SanRemo, e dopo aver votato (:-P) ed esultato per la vittoria della bellissima canzone di Roberto Vecchioni… mi sento dire dal mio compagno di merende “Leggiti un pò stò libro…”, “Perchè?… ah” leggo il titolo “Terroni.. perchè? Che roba è? Sarà sulle solite cose… la mafia, l’arretratezza, ecc…”. “Leggi, leggi…” diceva lui. Quel giorno, lui, l’uomo che non mostra mai una lacrima e un’emozione era stato sconvolto tutto il giorno. E non capivo perchè.
Per un libro? Cose da pazzi, pensavo. E cominciai a leggere…
La lettura di questo libro per me è stata come una discesa agli inferi, una graduale, inesorabile, implacabile discesa nel fuoco dell’inferno; io che ero pronta a stendere al balcone il tricolore, io che, forse un pò presuntuosamente, ho sempre creduto di avere una certa cultura e di conoscere la storia… ho scoperto che non sapevo un cazzo. A metà libro non cel’ho fatta più: son scoppiata a piangere a dirotto, scossa da singhiozzi talmente violenti da non riuscire a fermarmi (non che mi ci voglia molto a piangere per la verità… ahahah, ma in questo caso lo ricordo ancora con ardore quel momento… mai un libro – nemmeno 1984 di Orwell!!!! – mi aveva scosso alle fondamenta in questo modo). Perchè? Perchè all’improvviso scopro che tutte le belle storielle e favolette che ricordavo con orgoglio – è il mio periodo storico preferito – sul Risorgimento non solo scopro che sono false, ma che son state anche mistificate ad arte e fatte imparare sistematicamente a scuola (perchè sui bambini è facile aver presa demagogica…) con tanto di romanzate versioni letterarie (vedi Cuore di De Amicis, o le varie versioni filmiche…)… all’inizio tu dici “No, non è possibile…”… poi passi al “Bè, ok, ammettiamo che sia vero, però…”, poi al “Basta… più di così non si può…”. E pagina dopo pagina, riga dopo riga scopri invece che sì, peggio ancora e ancor più peggio si può.
No, la cosa che non mi ha sconvolto di più non è stato scoprire le empietà degne dei peggiori nazisti perpetrate, taciute e mai rivendicate, no, nemmeno scoprire le reali trame e sete di potere che soggiacevano alle “leggendarie” gesta dei “cosiddetti” eroi, e neanche scoprire che in realtà eravamo la terza potenza economica e industriale dopo Francia e Inghilterra e che sicuramente, anche se certo i contadini non son mai stati contenti di sottostare ai latifondisti ecc, non avevamo bisogno nè di essere liberati, nè stavamo peggio che in Piemonte, Francia, Inghilterra ecc; no, nemmeno scoprire quanto era ricco il regno delle due Sicile, e che servì quella ricchezza a rimpinguare le casse in rosso dei Savoia e far partire le industrie del nord che (a detta degli austriaci, che le trovavano infruttuose per gli investimenti fatti)stentava a decollare; neanche scoprire con precisione chirurgica quali e quante leggi da 150 anni a questa parte sono state fatte apposta prima per punire e sottomettere, poi per sfruttare e mantenere sottomessi, in virtù di una millantata superiorità dei vincitori, i meridionali e renderli terroni. Neppure scoprire le strategie di deportazione che volevano infliggerci. No, niente di tutto questo mi ha sconvolto più della consapevolezza di esser stata ingannata: nei cosiddetti libri di storia (cioè della storia scritta dai vincitori) non c’è spazio per il milione di vittime, tra civili, soldati e affini, morti o impazziti dalla barbarie dell’invasore, nè per spiegare quel movimento politico di Resistenza armata che fu il “Brigantaggio” (e già il fatto che chi si sia ribellato in nome della libertà sia stato chiamato “brigante” la dice lunga…) o le terribili rappresaglie, a più riprese, molto più spietate e incivili di quanto fu poi fatto dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale….
Ero furiosa, scandalizzata, incredula. Centocinquantanni in cui la storia ci grida in faccia che i meridionali non sono mai stati considerati italiani, non dalla più parte; avevo il sospetto, intuivo, ma mai come ora ho visto con così lampante chiarezza: ci hanno considerato sempre una colonia. Rifletteteci: cosa facevano i Romani? Andavano in un posto, lo mettevano a ferro e fuoco dicendo che era in nome della “luce”, il progresso, che esportavano, lo chiamavano provincia, e poi lo usavano come borsellino monetario e umano, cioè per riscuotere tasse e uomini da mandare in altre gloriose imprese. O no? E cosa ha fatto l’Italia da 150 anni ad oggi? Riscuote le tasse (in questo siamo tutti italiani, eh…), gli uomini da mandare a morire in qualche parte del mondo… ma quando si è trattato di costruire scuole, strade, autostrade, ferrovie, porti (tutti insieme, le cosiddette “infrastrutture”…), investire nelle fabbriche del sud… allora no. Allora non siamo italiani come gli altri, siamo di serie B, veniamo dopo… veniamo sempre dopo…
Ci accusano di non esser in grado di far nulla al sud, che non abbiamo voglia di lavorare, di svilupparci… e io dico a un imprenditore del nord: vieni nel sud a partire da zero, e vediamo se tu ci riesci, senza agevolazioni fiscali (che al nord a più riprese hanno e hanno avuto), senza infrastrutture adeguate, a combattere con la mafia da una parte e lo stato dall’altra… e anzi, scopri addirittura (IL COLMO!!!!) che avevamo industrie coi Borbone e che poi i Savoia ci hanno chiuso, per non avere concorrenza intestina con le industrie del nord, che hanno attuato strategie legislative ed economiche per strozzare in tutti i modi tutto ciò che c’era di produttivo al sud, per favorire l’economia del nord…
Scopri tutto questo, completo di citazioni, rimandi bibliografici, fonti e testimonianze e ti chiedi… ma come abbiamo fatto? Come abbiamo fatto a sopravvivere? Oggi guardo la crisi e penso: se noi che siam partiti da sottozero siamo riusciti, con la forza della disperazione e il sacrificio di generazioni, a far cmq qualcosa e rimanere a galla, mentre l’imprenditoria settentrionale, con tutti i vantaggi che ha avuto e i soldi che ci avevano fregato, e le infrastrutture e il resto… se nonostante tutto adesso stanno annaspando pure loro… mi chiedo: chi ha fatto cosa? vale più il nostro galleggiare “da soli”, o il loro, nonostante tutto “annaspare”?
cioè: capire le ragioni storiche e le vere modalità con cui si decise di fare questa nazione, che no, non eravamo noi i cafoni e gli inetti, ma fummo resi così dalla barbarie del vincitore (perchè di una guerra civile si trattò), scoprire che non è che siamo noi gli inetti e gli incapaci, ma nonostante tutto, anzi, siamo capaci, grazie al nostro ingegno, la creatività, la nostra atavica capacità di arrangiarci anche con poco, capaci dicevo di colmare questo divario insopportabile tra due Italie che, ipocrite, fanno finta di essere una!
E’ radicalmente mutata la mia visione di me stessa come meridionale, della mia terra, della mia nazione, della mia storia e della mia identità…
L’unica cosa a cui pensavo mentre leggevo era “Devono sapere tutti… tutti… una cosa così grossa non può restar nascosta ancora a lungo…” e ho contattato quanti indirizzi potevo contattare sulla posta elettronica, poi su Facebook, e poi a Turi nel mio Paese… adesso scopro che non sono sola: oltre un milione di copie vendute di “Terroni” in tutt’Italia, gente che si cerca su Facebook o in giro, gente che si sta svegliando e no, non ci sta più ed esser ancora “terrona”. Abbiamo sopportato più che a sufficienza… partiamo dalla verità storica, rivendichiamo ciò che ci è stato tolto nella memoria per riacquistare una coscienza da tempo perduta, per tornare a far crescere una terra che ha molto e può dare moltissimo… la verità, dice la Bibbia, vi renderà liberi.
Per concludere riporto una citazione trovata in uan trascrizione di un’intervista a Pino Aprile: “Per liquidare un popolo si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun’ altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa per loro un’altra storia.” Milan Kundera
.
ps. ovviamente, un libro non fa primavera… studiare, capire, approfondire a 360 gradi.
per riferimenti bibliografici: Terroni, Pino Aprile
Controstoria dell’Unità d’Italia, Gigi Di Fiore (lo consiglio, perchè ancora più puntuale di Terroni, e ancora più scandalosamente sconvolgente)
La Briganta, MR Cutrufelli
La conquista del sud, Carlo Alianello (uno dei più determinanti “revisionisti”, stimatissimo studioso, che fu consulente storico per Luchino Visconti nella trasposizione cinematografica del Gattopardo)

TRATTO DA:
http://terronia.wordpress.com/2011/03/19/il-tifone-dopo-la-tempesta-la-vera-storia-dellunita-ditalia/

AUTRICE:
ANGELA: http://terronia.wordpress.com/author/smemorina/

mercoledì 30 maggio 2012

"Area depressa, dunque, il Mezzogiorno?" No, colonia!


In molti conoscono gli scritti di Nicola Zitara sulla condizione di colonia interna cui il "mezzogiorno" è stato assoggettato a seguito dell'annessione al Piemonte e della nascita del Regno D'Italia, prima, e della Repubblica Italiana, poi. Ma quanti hanno letto la vibrante denuncia pubblica del deputato Giorgio Amendola in merito al processo di colonizzazione imposto al "mezzogiorno" nel dopoguerra?
Ve ne proponiamo uno stralcio


"Area depressa, dunque, il Mezzogiorno?
Questo è il termine assunto e non a caso nella relazione governativa.
Noi abbiamo respinto l’applicazione al Mezzogiorno di questa terminologia di origine keynesiana.[……]
Lo sviluppo della teoria delle aree depresse coincide con gli sforzi compiuti dai gruppi capitalistici monopolisti per cercare nuove zone di espansione interne ed esterne che garantiscano un maggiore saggio di profitto. E’ un processo di colonizzazione, in definitiva, che si verrebbe ad operare dove l’azione statale, sul piano tecnico ed economico, ma anche su quello politico e militare, precorre i tentativi espansionistici dei gruppi monopolistici, la cui azione finanziaria è fortemente intrecciata con quella dello Stato. [……]
Naturalmente le aree depresse così "valorizzate" restano colonizzate, ossia private di ogni possibilità di un proprio autonomo sviluppo economico, di una liberazione delle popolazioni dalle loro condizioni di miseria e di un miglioramento del loro tenore di vita . Esse vengono invece sottoposte al giogo di quelle forze monopolistiche che in collegamento allo Stato ne hanno operato la cosiddetta valorizzazione.
Il Mezzogiorno non può essere considerato come una zona depressa. Per superficie e popolazione, esso è un terzo di tutto il paese. La sua popolazione si accresce con continuità dal 1861 ad oggi, anche se non riesce  a trovare un impiego nella produzione. E le regioni meridionali hanno dietro di sè una storia millenaria.
Esso respinge, pertanto, il concetto di colonizzazione, che è intimamente legato a quello di area depressa. Ed invece il termine area depressa è usato non a caso nella relazione governativa. La via per la soluzione della questione meridionale non e quella di un intervento dall’esterno o dall’alto, a mezzo di un ente speciale che, sotto la copertura di un’azione tecnica, aprirebbe la  strada all’espansione di gruppi monopolistici anche stranieri. La via è un’altra: quella di permettere alle stesse popolazioni meridionali di operare il rinnovamento e il progresso economico di quelle regioni e promuovere lo sviluppo delle forze produttive rimuovendo, con una svolta della politica dello Stato italiano verso il Mezzogiorno, e non solo con l’esecuzione di determinate opere pubbliche, le cause di carattere politico e sociale che hanno, dal 1862 in poi, determinato il formarsi di una questione meridionale."
 
Stralcio dell’intervento del Deputato Giorgio Amendola (Discussione  dei  disegni  di  legge:  Istituzione della Cassa  per opere straordinarie di pubblico  interesse nell’Italia meridionale (Cassa per  il  Mezzogiorno, n° 1170)
Atti parlamentari – Camera dei Deputati – Seduta pomeridiana del 20 giugno 1950


Francesca Di Pascale

martedì 29 maggio 2012

La Costituzione della Repubblica Itagliana



Una pagina Facebook (http://www.facebook.com/pages/La-Costituzione-della-Repubbica-Itagliana/121126634629507) ha riscritto i 12 articoli principali della costituzione italiana rapportandola al presente e alla storia degli ultimi 150 anni.
Di seguito vi riportiamo i 12 articoli.


Art. 1:
L'Italia è una Plutocrazia, fondata sul lavoro al nord a la disoccupazione al sud.
La sovranità non appartiene al popolo, ma a individui o gruppi finanziari che, grazie all'ampia disponibilità di capitali, sono in grado d'influenzare in maniera determinante gli indirizzi politici dei rispettivi governi.

Art.  2:
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo padano, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3:
Non tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e non tutti sono eguali davanti alla legge, in particolar modo gli omosessuali, i musulmani, i rifugiati politici, gli extracomunitari, i poveri e i meridionali.
La Repubblica non ha rimosso gli ostacoli di ordine economico e sociale che contribuiscono a mantenere la disuguaglianza tra cittadini del nord e cittadini del sud, impedendo il pieno sviluppo del Mezzogiorno e l'effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, dei cittadini meridionali che non sono collusi con la criminalità organizzata e non sono servi dei partiti tosco-padani.

Art. 4:
La Repubblica riconosce solo ai cittadini del nord il diritto al lavoro e promuove solo al nord le condizioni che rendono effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione solo se concorre al progresso economico del nord.

Art. 5:
La Repubblica, una e indivisibile, non rispetta l’autonomia locale della Sicilia e della Sardegna e non ha mai riconosciuto quella della Napolitania; delega, nel Mezzogiorno, i servizi che dipendono dallo Stato alla criminalità organizzata; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze di individui o gruppi finanziari che, grazie all'ampia disponibilità di capitali, sono in grado d'influenzare in maniera determinante gli indirizzi politici del governo.

Art. 6:
La Repubblica tutela le minoranze linguistiche ma non tutela la lingua napoletana e siciliana, patrimonio dell’Unesco.

Art. 7:
Lo Stato e la Chiesa cattolica non sono indipendenti, dal momento che le modificazioni dei Patti Lateranensi, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Art. 8:
Tutte le confessioni religiose non sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, solo se non recano turbamento al cittadino padano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze previa approvazione della Lega Nord

Art. 9:
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica delle regioni del nord, e non è delegato alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico del Mezzogiorno.

Art. 10:
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge razziale Bossi-Fini.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, è clandestino nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge Bossi-Fini.

Art. 11:
L'Italia non ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che consenta lo sfruttamento delle risorse energetiche locali, comprese quelle delle province meridionali appartenute all’ex regno delle Due Sicilie (ora colonie dell’Itaglia del Nord); promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.


Art. 12:
La bandiera della Repubblica è il tricolore, bandiera giacobina dell'unità d'italia, stendardo simbolo della carboneria, della giovane italia e della massoneria: bianco, rosso e verde, perché bianco e rosso sono due dei tre colori della bandiera francese; il verde al posto del blu francese perché il verde è il colore dell’albero della libertà, simbolo del diritto dei popoli alla libertà di sfruttare i popoli più deboli.

Complimenti agli autori e invitiamo tutti ad iscriversi e a diffondere la pagina.Tratto da:http://www.facebook.com/pages/La-Costituzione-della-Repubbica-Itagliana/121126634629507

sabato 26 maggio 2012

NOI NON SIAMO TERRONI!

“Il termine Brigante è un termine la cui accezione è negativa di per sé ed è stato affibbiato a chi brigante non era.
Terrone, invece, è un termine dall’accezione originale non negativa, ma il cui significato è stato piegato e solo allora è stato poi affibbiato alle persone.
Quindi chi usa terrone lo usa in quanto lo prende in eredità da chi gliel’ha affibbiato dopo averne cambiato il significato e non lo fa usando l’originale accezione. Si sta quindi piegando a identificarsi con una falsa identità creata dal colonizzatore, dato che, alquanto ovvio, non lo avrebbe mai usato in caso contrario, visto che non tutti sono terroni nell’originale accezione, la quale non costituisce identità alcuna.
Mentre chi si auto-definisce Brigante lo fa con la cognizione di causa di chi sa che quell’appellativo fu dato ai patrioti della propria terra e lo fa quindi con l’animo di chi sente patriota nel cuore.
Insomma, due casi completamente diversi.” Vincenzo Russo

http://ilnapolitano.com/post/13629290883/il-termine-brigante-e-un-termine-la-cui-accezione

giovedì 24 maggio 2012

Storie di razzismo antimeridionale. Una testimonianza di una meridionale trapiantata in Veneto



«Che importa che muoia: tanto è un terrone!»
AVEVO anagraficamente ventisette anni, ma scarsa esperienza della realtà: avevo sempre studiato.
Per questo, quando sono entrata, proveniente da Lecce, in una scuola superiore di San Donà di Piave ho impiegato un po’ di tempo a capire.
Io tenevo le mie lezioni di lettere, ero stimata dai miei alunni e dai loro genitori, ma quando mi recavo a supplire in classi diverse dalle mie, in cui non avevo “l’arma” del voto facevo fatica a farmi ascoltare.
Non era soltanto questo: le mie entrate e le mie uscite erano accompagnate da risatine.
Non mi pareva di essere ridicola: certo non ero alta, portavo gli occhiali, ma sapevo il fatto mio.
Ero aliena da ogni pregiudizio giacché, a causa dell’asma della mia sorellina, fin dagli anni cinquanta, la mia famiglia aveva sempre frequentato le Dolomiti: Faé di Longarone, Laggio, Auronzo.
Avevamo molto sofferto per la tragedia del Vajont in cui avevamo perduto amici e conoscenti.
Bambina ero venuta da turista nel Veneto e, conseguita la laurea, tornavo per lavorarci: mi sembrava logico e normale. Non ero forse italiana tra italiani?
Probabilmente a causa di questa buona fede impiegai un po’ di tempo a capire le risatine. Lo capii quando, passando per il corridoio, durante un intervallo, sentii un “Concettina, ah Concettina” pronunciato con un accento che voleva scimmiottare quello di un immaginario meridione.
Restai molto colpita dalla scoperta di essere una terrona e di essere oggetto di scherno.
Mi tornò in mente di quando un mio cuginetto, colpito a sei anni da un tumore al cervello- erano gli anni 50- era stato portato a Milano per essere curato; era stato poi ricondotto a casa dove morì implacabilmente per il brutto male.
Ricordo che i genitori, nonostante il dolore della perdita atroce, raccontavano a noi famigliari che un medico di quell’ospedale di Milano aveva detto ad un collega, riferendosi al loro piccolo e alla sua incurabile malattia: “Che importa che muoia: tanto è un terrone!”
Nel corso della mia permanenza nel Veneto, dove ho messo su famiglia, ci sono stati presidi che mi hanno elogiata dicendomi che ero di “sangue buono” nonostante le origini.
Altri che hanno affermato nei collegi dei docenti che da Roma in giù regna l’ignoranza più completa.
Ho appreso tanti luoghi comuni sul Meridione che hanno piano piano costruito questa leggenda nera di cui io ero parte: sono stata intimamente umiliata.
Il massimo della vicinanza umana l’ho percepita in frasi come: “Tu, però, sei diversa! E poi oramai sei Veneta!”
Poi è venuta la Lega e la situazione è peggiorata ulteriormente: il pregiudizio strisciante è diventato aperto insulto e razzismo.
Le trasmissioni delle radio o delle televisioni locali, i siti di queste organizzazioni sono spaventose per il nazileghismo di cui grondano.
Ora ho sessant’anni, sono andata in pensione, osservo con minore sofferenza questo fenomeno doloroso.
Da questo nasce il mio desiderio di dire agli italiani attenzione: là dove voi credete di votare per un dirigente liberista come Berlusconi o per un politico conservatore come Fini, in realtà date forza ad una formazione ed una mentalità- il leghismo- che vorrebbe epurare il sud e, per ora, lo riempie di insulti e di minacce di morte.
Pensate bene quando voterete: questa destra non è la destra di nazioni come la Francia o la Germania.
E’ una destra che vomita odio e per la quale il concetto di identità è sempre più circoscritto.
Non c’è verso di far comprendere che il sud non è rappresentato soltanto da Mastella e Cuffaro.

Concetta Centonze

San Donà di Piave (VE)


PUOI VEDERE LA FONTE DELLA TESTIMONIANZA QUI

 

 

martedì 22 maggio 2012

Siracusa 1837

Dopo aver imperversato in Europa, nell'aprile del 1837, il colera si diffuse a Napoli e, nel successivo mese di giugno, in Sicilia. In quegli anni, anche nell'ambiente medico, erano assai poco chiare l'origine e le modalità di propagazione della malattia: "i medici erano divisi tra epidemisti e contagionisti". Secondo l'ipotesi del contagio, il colera si sarebbe propagato attraverso il miasma, descritto, dai medici che sostenevano tale tesi, come una "specie di fumetto", emesso dal malato, che, quindi, si propagava nell'ambiente, aggredendo e contagiando gli altri individui. La diffusione del colera in interi quartieri o città, invece, era spiegata, sempre dai contagionisti, con la propagazione, sul territorio, di una sorta di nuvola infetta, composta dalla somma dei miasmi di più individui. Un tentativo di confutare le tesi contagioniste fu fatto direttamente dal sovrano Ferdinando II. A Napoli, infatti, si erano verificati momenti di tensione dovuti alla fantasiosa teoria secondo la quale il "contagio" fosse causato da un veleno che era stato portato in città e diffuso attraverso il pane. Il sovrano, così, si recò a piedi nei vicoli della capitale "a stretto contatto con il suo popolo […] e mangiò con essi il calunniato pane".

Anche in Sicilia, attecchì l'ipotesi che il male sarebbe stato provocato da un veleno, ma la teoria fu abilmente sfruttata dai liberali per fini politici o per perseguire dei fini strettamente personali. Voci sediziose, intatti, approfittando di paure inconsce ed autosuggestione, diffusero la notizia che tale veleno sarebbe stato portato e diffuso dal governo borbonico. In conseguenza di ciò, si verificarono diversi tumulti in varie zone dell'isola; i più gravi si ebbero a Siracusa. Nella città aretusea, infatti, i disordini degenerarono in una vera e proprio caccia all'uomo: molti siracusani vennero accusati di essere degli "avvelenatori" e furono massacrati dai loro stessi concittadini; mentre le autorità comunali disposero l'arresto di altri sospettati ed istituirono una commissione di cittadini "probi e preparati" con il compito di giudicare gli accusati.

Cattedrale di Siracusa.


Tra i membri di tale commissione, vi era l'avvocato Mario Adorno, acceso carbonaro nel 1820 e tra i più tenaci propugnatori della teoria del veleno. Questi stese un lungo proclama da leggere alla cittadinanza radunata in piazza della Cattedrale. Nel documento, si confermava l'ipotesi dell'avvelenamento quale origine del colera e causa delle tante morti, specificando anche che la sostanza adoperata era il nitrato di arsenico. Il 21 luglio, il proclama fu controfirmato dal sindaco Pancali, acquisendo, così, valore di ufficialità. In conseguenza di ciò, il 24 luglio 1837, dalle autorità comunali, fu proclamato lo stato d'assedio, la polizia fu disarmata e fu disposto l'arresto delle autorità governative: le abitazioni di costoro furono saccheggiate dal popolo in rivolta, mentre gli stessi arrestati furono giustiziati in piazza della Cattedrale.

Su iniziativa di un gruppo di liberali, fu costituito un comitato di salute pubblica, che, in seguito, avrebbe dovuto trasformarsi in un vero e proprio governo provvisorio. Da un lato, infatti, i liberali, per ottenere consensi ed assicurarsi il sostegno popolare, richiedevano il ripristino di una entità statuale indipendente in Sicilia; dall'altro lato, gli stessi fomentatori della rivolta non nascondevano i loro veri intenti, tutt'altro che indipendentisti, inalberando il tricolore italiano. Sempre su iniziativa liberale, poi, venne diffuso un bando nel quale si sosteneva che a spargere il veleno nell'isola fossero stati i Borbone.

Nelle ore successive, arrivò, prontamente, la risposta governativa: il maresciallo Del Carretto fu inviato a Siracusa, al fine di ripristinare l'ordine pubblico. Giunto nella città aretusea, questi diffuse un bando rivolto alla cittadinanza in cui intimava i facinorosi a tornare nella legge e nell'ordine e dispose la formazione di diverse commissioni militari. L'azione del Del Carretto portò alla condanna alla pena capitale di ottanta individui, tra cui lo stesso Adorno, che in sede dibattimentale, si difese, argomentando per un'ora e mezza e ribadendo le sue convinzioni circa la tesi del veleno. Nei mesi successivi, con un Atto Sovrano, Ferdiando II amnistiò tutti i popolani che si erano lasciati coinvolgere nella rivolta, ma non concesse il real perdono ai capi politici e a coloro i quali si erano macchiati di "reati non politici" (furti, saccheggi, omicidi). Per costoro, le pene furono comunque ridotte, mentre per tutte le condanne a morte, l'esecuzione fu sospesa, poiché il sovrano volle che i singoli casi fossero sottoposti alla sua attenzione.

Approfittando della disperazione causata dalla tragedia del colera, il movimento liberale e filounitario, per perseguire i propri fini politici, aveva strumentalizzato la popolazione di Siracusa inducendola a commettere efferati delitti contro altri siracusani. Gli eventi del 1837 si possono configurare come un triste prologo alle vicende che, nel 1860, portarono alla conquista sabauda e all'inizio, per le nostre Terre, della attuale condizione di colonia.


  • Bibliografia:
Giacinto Libertini (a cura di), Raccolta Rassegna Storica dei Comuni, Frattamaggiore, Istituto di Studi Atellani, 2010, Volume 10 – Anni 1984-88.


AnTuDo
[Bart]

sabato 19 maggio 2012

Rivolte popolari a carattere antiunitario in Principato Citra

In Principato Citra, le prime insurrezioni armate a carattere antiunitario ed indipendentista scoppiarono nell'autunno-inverno del 1860, in concomitanza con le grandi sollevazioni popolari che interessarono il Principato Ultra, la Terra di Lavoro ed il Molise.
I primi comuni ad insorgere furono San Gregorio Magno, Buccino, Ricigliano e Valva, nonostante, il 23 settembre 1860, il governatore della provincia, Giovanni Matina, avesse intimato la consegna, entro le ventiquattro ore dalla pubblicazione dell'ordinanza, "di armi, munizioni e oggetti materiali da guerra qualsiensi, già appartenenti all'esercito borbonico". I trasgressori sarebbero stati giudicati dal consiglio di guerra. L'ordine del governatore fu ignorato da molti.

Difatti, il successivo 24 ottobre, un folto gruppo di popolani armati penetrò nel municipio di San Gregorio Magno: i ribelli si introdussero nelle stanze dove si stavano svolgendo le votazioni del plebiscito d'annessione al Regno d'Italia e, dopo aver messo in fuga i presenti, asportarono le urne. Lo stesso giorno, a Buccino, "una moltitudine di contadini", brandendo scuri, roncole e schioppi, marciò sul paese. A Palomonte, gli insorti penetrarono nella sede comunale mettendola a soqquadro. A Ricigliano, il 21 ottobre, verso il tramonto, i popolani assaltarono il posto di guardia dei "nazionali" requisendo diversi fucili. Gli insorti, così, penetrarono nella cancelleria comunale, portarono via le urne e le schede elettorali, appiccando il fuoco alla stanza. Ricigliano rimase sotto l'amministrazione dei ribelli per cinque giorni; l'arrivo di militi da fuori paese riportò la cittadina in mano alle forze filosabaude. La notte del 23 ottobre, un gruppo di ex militari dell'Esercito delle Due Sicilie, originari di Valva, Calabritto e Quaglietta, entrò nell'abitato di Valva, disarmò gli esponenti liberali e assunse il governo della cittadina. All'alba del giorno successivo, un centinaio di guardie nazionali, provenienti da Contursi, avviò la controffensiva. Dopo una tenace resistenza, gli insorti ebbero la peggio. Riconquistato il paese, i nazionali, ai quali si unirono alcuni banditi in precedenza schierati con i ribelli, lo saccheggiarono, non risparmiando neanche il castello, dal quale furono asportate opere d'arte e oggetti di valore.

Il 13 gennaio 1861, una folla tumultuante, guidata dal sacerdote Donato Maria Verrioli, disarmò la guardia nazionale di Acerno, prendendo il controllo del paese. Il 31 marzo 1861, al grido di "abbasso Vittorio Emanuele", fu distrutto un busto di gesso del monarca sabaudo posto nella cancelleria comunale di Furore. Il comune di Serre insorse il 7 luglio 1861: durante la sommossa popolare, i rivoltosi si scagliarono contro i liberali del paese. Per tale episodio insurrezionale, la Corte di Assise di Salerno comminò quattro condanne a 16 anni di lavori forzati e due condanne a 10 anni di carcere. La popolazione di Salvitelle insorse la sera del 27 luglio 1861. Inneggiando a Francesco II, i popolani requisirono armi in casa del sindaco e del comandante dei nazionali. La rivolta fu sedata dalle truppe sabaude provenienti da Sala: una trentina di ribelli fu tratta in arresto.

Nel gennaio 1863, a Montecorvino Rovella, furono inalberate 4 bandiere del Regno delle Due Sicilie in contrada Scavata. Inoltre, su diversi muri del paese furono affissi cartelli con la scritta:

          « Viva Francesco II, col perdono il popolo ravveduto lo aspetta. »

Come conseguenza di tali atti di ribellione, furono ordinati, dalle autorità liberali, perquisizioni domiciliari a tappeto, al fine di individuare e punire i responsabili.


Glossario:
  • Principato Citra: Con capoluogo Salerno, era una antichissima provincia del Regno istituita nel 1273. Durante il Regno delle Due Sicilie, occupava, grossomodo, il territorio dell'odierna provincia di Salerno: nel 1861, infatti, il circondario di Montoro (Montoro Superiore, Montoro Inferiore) e il circondario di Calabritto (Caposele, Calabritto, Quaglietta, Senerchia) passarono alla provincia di Avellino.
  • Guardia nazionale: era una forza armata sorta subito dopo l'Unità d'Italia, composta da elementi delle famiglie liberali ed utilizzata per mantenere il controllo dei comuni delle province meridionali e reprimere la resistenza dei briganti.
  • Posto di guardia: sede dei militi della Guardia nazionale.

Fonte:
  • Clodomiro Tarsia. Briganti Salernitani, Vol. 1 - Il Mattino. 18 ottobre 2011.

[bart]

Il Leghismo e le Due Sicilie:


























Il Leghismo e le Due Sicilie:
C'è una sterminata letteratura sull'argomento Napoli, Sicilia e Due Sicilie: appunti di viaggio, memoires, relazioni, analisi, quadri, musiche. Prelati, condottieri, artisti, gentiluomini, ambasciatori, dame, cavalieri hanno lasciato copiose testimonianze.
Non ho letto tutto, ma posso dire di aver letto abbastanza.
Mentre i toni sono uniformemente entusiastici sui luoghi, sulle bellezze , sulla magnificenza degli edifici e delle chiese, sui teatri, sui salotti, sulle feste, sugli opifici, sulla musica, vi sono dissonanze notevoli sull'organizzazione della società...
Ecco, sembrerebbe che il viaggiatore proveniente dal nord abbia sempre colto l'Alterità di questa società, a volte rimanendone soggiogato, a volte ripudiandola con veemenza. Come mai questo?
Io credo che il solco sia antico: Napoli e "il Sud" non partecipano dell'Europa carolingia e costruiscono un modello di civiltà, diverso da quello carolingio.
La società "napolitana" è orizzontale: una millefoglie o un multistrato. Come preferite.
i movimenti sono per lo più orizzontali, quasi mai verticali.
Un povero diavolo di Londra, Parigi o Vienna magari mangia molto meno, ma, apparentemente partecipa alla RES. A Napoli no. Come a Bisanzio, ad esempio.
La "cosa napolitana" è fatta di consuetudini, contiguità, ma ciascuna classe mantiene il suo status quo. Però si mangia. Tanto. La immobilità sociale consente margini immensi. Tutti sono più o meno contenti.
Poi l'invasione del 1860. L'inizio di un inferno, che tuttora dura.
L'idea di una MINORITA' storica delle due sicilie è chiaramente falsa ma è servita egregiamente a nascondere la rapina, i massacri e la colonizzazione post unitaria.
Tuttavia la tesi è stata "sposata" plebiscitariamente nel Nord, non solo in quanto "utile", ma perchè il nord non ha mai capito il "Sud" e, in realtà non ne avevca gli strumenti. Il Sud è stato vissuto come Alterità anche nelle sue migliori espressioni.
Persino un artista , proveniente da Napoli o dalla Sicilia, necessita di una leggittimazione internazionale prima di essere ben accetto a Milano.
Il Leghismo ( ma qui parlo del leghismo come ateggiamento mentale condiviso) è innanzitutto questo: difesa di un valore tribale di fronte all'infezione di una società complessa e dunque sovvertitrice e nemica.
C'è nel leghista un SINCERO odio , autentico e sorgivo, contro questi popoli vinti ma "invasori" con tutto il loro corredo di storia e di modi di essere.
Hanno ragione anche loro: una società monolitica non può permettersi il lusso del Dubbio.
Come se ne esce? Non se ne esce. Sono semplicemente due modelli di civiltà.
Inconciliabili.

venerdì 18 maggio 2012

Nel 1924 in vaste zone dell'ex Regno Duosiciliano la lingua parlata era ancora il Napoletano

Ecco cosa scriveva uno scrittore e linguista, Gerhard Rohlfs, sulla lingua parlata da Napoli a Taranto durante un suo viaggio del 1924:

" ...Il viaggiatore che, in uno scompartimento di III classe nel tragitto da Napoli a Taranto, presti attenzione alla conversazione dei contadini che salgono ad ogni stazione, si renderà subito conto che nel primo tratto – se si trascurano variazioni nell'intonazione e differenze locali minime – la base linguistica è sorprendentemente unitaria. Ma subito dopo la profonda valle del Platano, dalla stazione di Picerno in poi il quadro cambia. Improvvisamente arrivano all'orecchio del viaggiatore forme foniche che non si adattano assolutamente alla situazione osservata fino a quel momento... E così si continua anche dopo che il treno ha superato le stazioni di Tito e Potenza. Soltanto a partire da Trivigno queste caratteristiche scompaiono e, mentre il treno tra le brulle e selvagge montagne della valle del Basento si dirige verso il golfo di Taranto, ricompare improvvisamente la situazione linguistica che, appena due ore prima, era scomparsa così improvvisamente e in modo così inspiegabile..."

Quindi ancora agli inizi del '900 c'era una sostanziale unità linguistica nell'ex regno Duosiciliano, dove l'unità linguistica viene ad interrompersi è perchè da Tito fino a Vaglio di Lucania si parla il dialetto gallo-italico che deriva da immigrazioni del '500 dal Monferrato! Altra prova che le Due Sicilie erano ricche altrimenti non emigravano da noi i polentun!
 Ma subito dopo Trivigno e scendendo verso la valle del Basento fino ad arrivare a Metaponto e poi a Taranto, nuovamente la lingua parlata era quella Napoletana!
Ricordatevi sempre che noi non abbiamo bisogno di inventarci storie e legende come fanno oltrepò, noi siamo un popolo unito culturalmente da 700 anni!
Solo l'avvento della lingua del colonizzatore e con l'introduzione della tv come "scuola" di massa ha fatto in modo che tutti parlassero l'italiano, ma almeno fino al 1950 la lingua madre erano i vari dialetti delle varie città e regioni!

LA STRATEGIA DELLA DISTRAZIONE DELLE MASSE (attribuita a Noam Chomsky)



La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica.



  • 1- “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).


  • 2 - Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

  • 3 - La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

  • 4 - La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

  • 5 - Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
  • 6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

  • 7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori" (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

  • 8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

  • 9 - Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

  • 10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

giovedì 17 maggio 2012

Ritorno alla mitica "Napoletana"



Il rito del caffè ha accompagnato tutta la nostra storia.
Si lasciava bollire l'acqua con il caffè in infusione ma, poi, era necessario separare i fondi dall'infuso.
Il problema fu risolto con l'invenzione della caffettiera.
La Caffettiera Napoletana fece la sua comparsa a Napoli nel 1691 inventata da un certo Du Belloy. In breve tempo, si impose sul mercato locale ed estero. Era prodotta dai maestri lattonieri di uno dei vicoli più celebri di Napoli, la “Rua Catalana”, che ne fecero la loro attività principale.
Il vicolo esiste ancora oggi al centro di Napoli, tra via Medina e via Depretis; ma i maestri lattonieri non producono più la mitica Napoletana. Nel 1933 il piemontese Bialetti brevettò la Moka che sostituì totalmente la "Napoletana" nell'uso domestico.
Poichè a me queste storie non piacciono, dato che mi "puzzano" di "colonialismo tosco-padano", oggi ho inaugurato la mia "Napoletana" da una-due tazze. Devo dire che il risultato mi ha sorpreso, soprattutto trattandosi del primo utilizzo della caffettiera. Il caffè era ottimo, diverso in modo piacevole, più aromatico, dal gusto rotondo e nient'affatto "sciaquato".
Morale della favola: la "Napoletana" mi ha convinta, in tutto e per tutto.
L'unico problema resta quello di trovare un'azienda che la produca a Napoli o al sud, poichè - contraddizione massima -, non trovando di meglio, ho dovuto acquistare una "Napoletana" prodotta a Collegno, Torino...... e questo non va bene, per niente!!!!! (FDP)

Appello di un Emigrante



Permettetemi di lanciare un appello da questo incredibile forum che ho appena scoperto. Sono un emigrante e come tale voglio appellarmi a TUTTI gli emigranti sparsi nel mondo di comprare nel vostro paese d' adozione prodotti RIGOROSAMENTE del Sud. Siamo una forza incredibile e possiamo fare una differenza enorme per tutte le regioni da cui proveniamo. Dalla Sicilia all' Abruzzo, sappiamo benissimo che produciamo delle cose fantastiche. Quindi un appello a tutti che seguono questo forum, dagli USA al Brasile all' Argentina. MERIDIONALI uniamoci. (Giuseppe De Falco)

mercoledì 16 maggio 2012

IL RAZZISMO SU FACEBOOK



Molteplice il target degli internauti: su Facebook si può incappare tanto nel gruppo ostile allo straniero in generale, quanto a quello “dedicato” ad un determinato popolo. Contro i musulmani vi sono circa 100 gruppi, 300 quelli rivolti contro gli zingari. Numeri elevati anche per le pagine rivolte a marocchini, rumeni, cinesi ed ebrei.

Ma a condurre la classifica, a quota 400, sono i gruppi anti-terroni e anti-napoletani: uno dei razzismi più antichi, con il quale si dimostra che per la condivisione di un'identità non è sufficiente nemmeno la cittadinanza e la convivenza nello stesso territorio politico. Anzi, quanto più la compresenza è imposta con coercizione e violenza, tanto più il razzismo interviene per ristabilire quelle distanze azzeratesi nello spazio fisico.

Brano tratto da Terroni di Pino Aprile

Noi non sappiamo più chi fummo. Ed è accaduto come agli ebrei travolti dall'Olocausto: molti scampati ai lager cominciarono a domandarsi se il male che li aveva investiti non fosse in qualche modo meritato.

Quando il danno è intollerabile, cercare una colpa, pur assurda, inesistente, che lo renda comprensibile (non giustificabile), diventa una via per non perdere la ragione.

Ed è accaduto che i meridionali abbiano fatto propri i pregiudizi di cui erano oggetto. E che, per un processo d'inversione della colpa, la vittima si sia addossata quella del carnefice. Succede quando il dolore della colpa che ci si attribuisce è più tollerabile del male subìto.

Così, la resistenza all'invasore, agli stupri, alla perdita dei beni, della vita, dell'identità, del proprio paese, è divenuta "vergogna".

Una mia cugina, dopo sei mesi al Nord, tornò per le ferie estive. Era cambiata: vestiva in modo più appariscente, esibiva un accento non suo, roteava stizzosamente le spalle, il mento puntuto e alto. Parlava malissimo dei meridionali, con astio rovente e ridicolo. < ma cosa " fanno" di così terribile? > le chiese mia madre, incuriosita. Lei tacque per lo stupore, si guardò intorno, come a cercare una risposta. Era sorpresa, o ci parve, dalla stupidità della domanda: c'era bisogno di una ragione per parlar male dei meridionali? Così, poverina, se ne uscì con una frase, lei "settentrionale da sei mesi", che la bollò per sempre, in famiglia < sporcano i monumenti >. Cosa le fosse accaduto, lo capii molto più tardi. < la lega è piena  di meridionali figli > <sono i  più convinti > Anche quella mia cugina è leghista. Perchè?

Chi emigra, abbandona una comunità e una terra che figurano deboli e perdenti e mira a radicarsi in un altrove che appare forte e vincente: l'emigrato non appartiene più alla sua gente, e non ancora all'altra (così crede). In cerca di identità, non può che scegliere, lui sradicato e sospeso, la più forte. E questa sua nuova appartenenza è tanto più certa, quanto maggiore è la distanza che frappone fra ciò che era e ciò che vuole essere.

Quando il carnefice ti toglie tutto, l'unico punto di riferimento che ti rimane è il carnefice. Lo imiti