martedì 28 ottobre 2014

La Mela Annurca


Foto tratta da La Festa della Mela Annurca 2011

La Melannurca Campana o Mela Annurca è un frutto tipico campano.
Presenta due varietà:
“La Caporale” rossa con puntini bianchi, ha una polpa dolce e più morbida
“La Sergente” di un colore tra il giallo ed il verde, ha una buccia striata e la polpa dal sapore più acerbo e duro.

La sua storia è molto antica, alcune fonti riportano la prima coltivazione circa 2000 anni fa e ne sono testimonianza i numerosi dipinti, che le ritraggono, trovati nelle ville romane di Ercolano e Pompei.
Altre fonti letterarie, invece, tra tutte il
Naturalis Historiadi Plinio il Vecchio, riportano il luogo di origine di questo prelibato frutto nella zona di Pozzuoli con il nome di “mala orcula”.
Le origini del nome però sono ancora avvolte nel mistero, se da un lato Plinio le collega al Lago d’Averno chiamato “orco” e da qui “orcula”, da un altro l’etimologia del nome viene fatta derivare dal latino "indulcàre" riferito soprattutto alla modalità con cui vengono portate a maturazione.
Il nome però è stato modificato durante il corso dei secoli trasformandolo in “orbiculà” e “orcole” nel 1500 per mano dello scrittore Giovan Battista Della Porta. Poi dal ‘600 fino all’800 ci sono numerose testimonianze letterarie che riportano il nome di "anòrcola" e "annòrcola" fino a giungere all’attuale nome coniato nel 1876 da Giuseppe Antonio Pasquale nel suo “Manuale di Arboricoltura” in cui viene denominata “annùrca”.

Dopo questa breve ma doverosa introduzione sull’origine del nome, vediamo cosa rende uniche queste mele.
La loro unicità infatti sta nel metodo antichissimo e tuttora utilizzato per portarle a maturazione,
le mele vengono raccolte ancora acerbe, e posizionate per terra su teli o telai idonei, detti “melai” formati da paglia incrociata,  per la fase di "arrossamento" e quindi di maturazione, questi melai vengono posizionati sotto il sole per un massimo di 15 giorni.
Oggi la loro coltivazione non è più relegata alle zone flegrea e vesuviana ma è diffusa in quasi tutta la Campania.


Il Brigante Lucano



lunedì 30 giugno 2014

Il gesto delle corna: antico, moderno e rock

Comunissimo, nella nostra millenaria cultura, è il gesto delle corna.
Esso consiste nel sollevare verso il cielo l’indice ed il mignolo.
Questo gesto è apotropaico poiché, nel suo significato più comune, ha come scopo quello di esorcizzare, scongiurare o allontanare il malocchio e la malasorte.
Il primo a presentare uno studio sociologico su questo gesto fu Andrea de Jorio, un archeologo ed etnologo originario di Procida che, nel 1832, ha messo in luce le similitudini della gestualità tra gli antichi ed i napoletani, descrivendo anche i diversi modi di fare le corna.
Il gesto delle corna è comunemente usato anche per dare conto di un reale o presunto tradimento. Il coniuge tradito è cornuto. Questo significato riconduce, in modo immediato, alla storia del Minotauro, l’ibrido mezzo uomo e mezzo toro, concepito a seguito dell’infedeltà della regina di Creta Pasifae che innamoratasi del Toro di Creta, tradì Minosse rendendolo appunto cornuto.
I napoletani usano il gesto anche per definire il carattere di bambini particolarmente vivaci, precoci e furbi.
Un gesto così antico è al tempo stesso modernissimo, tanto da essere connaturato all’iconografia del rock.
Il primo ad utilizzare le corna su un palco, durante il concerto dei Balck Sabbath, e dunque in linea con i temi mistici ed esoterici del gruppo, fu Ronnie James Dio. Il musicista  dichiarò di aver appreso e imitato il gesto dalla nonna siciliana che lo utilizzava per allontanare il male. A partire da quel concerto del 1980 il gesto delle corna resta ad oggi, il più diffuso segno di riconoscimento tra i fans dell'heavy metal. 

Francesca Di Pascale



In foto: Ronnie James Dio

lunedì 23 giugno 2014

Sud e trasporti: ma non ce lo chiede l'Europa?!

È difficile arrivare al cuore del Sud Italia. Più scendi giù lungo lo stivale e più diventa complicato spostarsi, anche solo da un paese all'altro. Eppure la parola "infrastruttura" proietta automaticamente il pensiero a progetti grandiosi, mastodontici, alla Tav piuttosto che al ponte sullo stretto (e quanto è inflazionata questa parola!). La tv ha fatto credere agli italiani che sono tutti un po' più vicini e che il problema principale non sia arrivare da Roma a Reggio Calabria ma da Torino a Lione. I problemi si tende a considerarli risolti con grande facilità, un po' come quando per mesi, parlando con chi vive e respira lontano da Taranto, scoprivi quanto fossero convinti che i decreti salva Ilva avessero risolto il dramma della città. È la forza dei media, perché se di un problema smette di parlarne la tv viene considerato automaticamente risolto. O forse è solo l'estremo tentativo del cervello umano di autodifendersi dalla frustrazione.

Chi viaggia, però, gli occhi chiusi non può tenerli. Se vuoi da Taranto raggiungere la Calabria, o "puntare" il nord, il viaggio è troppo lungo per far finta di nulla. Non riesci più a bluffare con il tuo cervello. È quando tocchi con mano i problemi che non puoi più prendere in giro te stesso. Inizi a chiederti se nell'Italia delle frane, che scorre lungo il tuo finestrino, il più utile degli investimenti non possa essere nelle infrastrutture primarie, nelle strade, nelle ferrovie, negli aeroporti e nella messa in sicurezza del territorio. Che forse, prima di pensare a chi deve vincere le gare d'appalto per l'Expo di Milano, sia il caso di trovare un impiegato che tenga aperta la stazione ferroviaria di Crotone. È la più "tecnologica" del mondo, nel senso che esiste solo una macchinetta self service che stampa i biglietti (e che spesso è rotta...).

Vignetta di Salvatore Andrea Impagliazzo
Vignetta di Salvatore Andrea Impagliazzo

L'Italia che corre a due velocità lo fa anche sulle rotaie e la logica manageriale, forse la più corretta da un punto di vista economico, accentua ogni giorno di più le differenze. Al sud puoi trovare ancora treni alimentati a gasolio; in Calabria può capitarti di pagare il biglietto per un intercity e ritrovarti a tutti gli effetti su un regionale (così però il servizio lo garantisce lo Stato, la Regione non avrebbe le risorse). Se deve essere potenziata una tratta in funzione del numero di passeggeri giornalieri, diventa inevitabile che chi usufruisce già di un servizio efficiente possa ottenerne uno ancora migliore; chi, invece, rinuncia al trasporto pubblico perché stanco di viaggi estenuanti, è destinato a vedere tagliate le tratte e chiuse le stazioni. Ma chi dovrebbe invertire questa tendenza? Chi dovrebbe limitare l'incidenza dell'economia in scelte che prima di tutto sono sociali e stregiche? Sicuramente la politica. Scegliere di far arrivare o meno la gente al sud non può essere deciso guardando solo i numeri. Se fosse così le istituzioni democratiche non servirebbero più, 4-5 economisti potrebbero da soli muovere i fili dell'intero Stato (sempre che non lo facciano già). Ed è incredibile che a ricordarlo all'Italia, seppure indirettamente, sia l'istituzione che per antonomasia viene additata come schiava degli economisti e nemica della politica: l'Europa.

C'è un passaggio nella "pagellina" consegnata da Bruxelles al Governo italiano che è passato inosservato ai più (chissà perché). Si è focalizzata l'attenzione esclusivamente sugli appunti relativi al debito e ai dati economici, importanti ma non esaustivi di tutto ciò che in realtà chiede l'Unione Europea. Nel documento, infatti, si fa riferimento anche ai trasporti e alle disuguaglianze nord-sud nonostante, nel complesso, gli investimenti a livello italiano risultino ancora considerevoli. Così si legge (tratto da Il fattoquotidiano.it, 2 giugno 2014): "ll settore presenta ancora importanti debolezze. La lunghezza della rete rapportata al numero di abitanti è tra le più basse dell’Unione mentre il tasso di utilizzo è tra i più alti. A dispetto di un tasso di investimento infrastrutturale sopra la media Ue, in alcune regioni – in particolare al Sud – rimangono colli di bottiglia. E la soddisfazione dei consumatori è tra le più basse dell’Unione”. Quando la politica abdica al proprio ruolo è l'economia a prendere il sopravvento ed il risultato è che si perde il controllo dello sviluppo, o del non sviluppo, di un intero Paese. Sono gli affari a decidere dove deve crescere un fiore e dove no, non più una strategia pianificata e l'Unione Europea ci ricorda che dovrebbe essere il contrario.

Eppure non è stato sempre così. Fu una scelta politica la realizzazione della Salerno-Reggio Calabria. Un progetto controverso che ha palesato tutte le contraddizioni di questa malandata Italia; un costo enorme e lavori, di fatto, ancora non conclusi. Qull'autostrada, però, con tutti i suoi limiti, è stata indispensabile per quella seppur minima crescita del sud. Pensate cosa sarebbe stato del meridione senza quell'importante opera; pensate alle conseguenze di un isolamento totale della Sicilia e della Calabria dal resto d'Italia. Nonostante i costi, nonostante tutto, nessuno di buon senso riterrebbe oggi che investire in una autostrada al sud sia stata una scelta sciagurata. Il problema è come lo si è fatto, non l'obiettivo finale. Eppure la SA-RC è stata frutto di una scelta politica tutt'altro che scontata e che andava contro chi tentava di imporre la legge dei numeri e della calcolatrice. Un territorio agricolo non ha bisogno di strade, diceva più di qualcuno. Un po' come chi oggi sostiene che un territorio con pochi passeggeri (ma con un potenziale straordinario se il servizio fosse decente) non ha bisogno dei treni.

Eppure pensate a quante maggiori risorse economiche sarebbero giunte a Taranto se, in occasione del concerto dell' 1 maggio, centinaia di persone che volevano raggiungere il capoluogo ionico non si fossero sentite rispondere che usare i mezzi pubblici sarebbe stata una impresa (tanto per fare un piccolo ma significativo esempio). La battaglia politica dei parlamentari del sud per realizzare la SA-RC, guidati dall'allora Ministro ai Lavori Pubblici Giacomo Mancini, ha permesso di unire il Paese. Oggi nessuno batte i pugni sui tavoli per salvare le tratte ferroviarie che di anno in anno vengono ridotte da e per il meridione. Eppure anche questo ci chiederebbe l'Europa.

Gianluca Coviello

lunedì 19 maggio 2014

"Ad esempio, Io resto a sud...ed il Sud riparte da Napoli"


“Ad esempio, Io resto a sud – Il rapporto tra economia e territorio attraverso acquisto e consumo consapevole”. 
Il tema racchiuso in questo titolo, a noi Briganti, è estremamente caro. Fin da quando, leggendo le considerazioni di Zitara in merito, abbiamo compreso l’importanza rivoluzionaria che i nostri consumi avrebbero potuto assumere se orientati “verso sud”, abbiamo intrapreso una vera e propria battaglia sul Comprasud in tutte le sue estensioni.
Perciò, proprio a questo tema, abbiamo dedicato il convegno di sabato 17 maggio all’Hotel Ramada di Napoli, con la espressa volontà di ribadire tutti i progressi fatti in quattro anni, di valutare tutto quanto è ancora necessario fare e di ascoltare alcuni tra i protagonisti principali della battaglia del Comprasud, ovvero, gli imprenditori.

All’impresa è stata dedicata la parte centrale del convegno con gli interventi di estremo interesse di Bruno Zarzaca che ha aperto un ristorante “Amico Bio Spartacus Arena” all’interno del complesso archeologico dell’Arena di Santa Maria Capua Vetere, di Giuseppe Sciretta di I-sud che ci ha illustrato il progetto innovativo www.i-sud.it che condivide con Nicola Cristhian Rinaldi, Dario Scalella che ci ha parlato dei suoi elicotteri biposto fatti a Napoli, Piero Meo autore dei progetti  Comprassieme e Checksud. Tutti, pur trasmettendo grande passione per il proprio lavoro e per la propria terra hanno evidenziato le difficoltà che è necessario superare quotidianamente per “fare impresa da sud”. Sullo stesso aspetto si è incentrato l’intervento di Diego Giovinazzo, segretario generale di Confimpresa Campania, partner dell’evento assieme ad I-sud, che ci ha spiegato come rompere i vincoli che ci impediscono di intraprendete.

Alla lettura dei graditissimi saluti di Francesco Tassone ai convenuti, segue l'intervento di Marco Esposito, segretario di Unione Mediterranea. Il giornalista ha sottolineato il fatto che noi stiamo compiendo una rivoluzione che si concretizza nella nostra possibilità di scelta che possiamo utilizzare quando compriamo un prodotto e quando eleggiamo chi deve rappresentarci. Nando Dicè, presidente di Insorgenza Civile, ha compiuto un parallelismo tra il Comprasud ed il disastro ambientale deIl’llva di Taranto, invitandoci ad essere costantemente “arrabbiati” perché il sistema Italia, l’Impresa Italia, è creata contro di noi.
Di estremo interesse, il contributo di Antonio Di Gennaro, agronomo che ci ha parlato della nostra agricoltura e della Terra dei fuochi, termine che, ha sottolineato, non dovrebbe più essere utilizzato. Di Gennaro ha affermato: "Noi produciamo un'agricoltura di qualità che vendiamo all'estero e che vendiamo bene. Nel tranello della verdura avvelenata siamo caduti soprattutto noi. I campionamenti fatti a tappeto non hanno rilevato una sola partita fuori norma. COOP compra qui le fragole e le porta in Germania e non può sbagliare. Eppure in tv passo un messaggio negativo sui nostri prodotti che sono, invece, i migliori al mondo"

Un piccolo momento ludico ci è stato offerto dal musicista Pietro De Luca Bossa che ci ha presentato il suo ultimo lavoro dal titolo “Sovversione Irrimediabile” in cui cita alcune frasi celebri di Carmine Crocco.
Un “fuori programma” molto apprezzato, è stato l’intervento di Mauro Squillante, mandolinista nonché socio dell'associazione Briganti, che ci ha raccontato del suo atto di amore verso la nostra terra e la nostra cultura: riportare in vita l'uso e lo studio del mandolino napoletano, l'unico strumento che accanto al nome ha l'indicazione della provenienza. Grazie al suo costante impegno, il mandolino divenuto uno strumento desueto è tornato a diffondere il suo incantevole suono in tante scuole di musica sparse nel nostro sud.

I lavori del convegno si sono conclusi con i saluti di Vittorio Terracciano di Confimpresa Campania, anche lui socio dell’associazione Briganti, agli intervenuti.

I convenuti hanno avuto la possibilità di gustare i taralli artigianali gentilmente offerti dall’azienda “Il Tarallificio del Pozzo” di Rocchetta Sant’Antonio (FG) avviata da due ragazzi che hanno deciso di lasciare il nord per fare impresa nella propria terra, di acquistare le originalissime t-shirt identitarie di Napoli Tà-Ttà che fa cultura del territorio, di assaggiare il vino e l’olio biologico dell’azienda Chimenti di Sannicardo (BA), di nutrirsi di cultura presso lo stand di Editore Mediterraneo.

Il convegno ci ha arricchiti molto in termini di conoscenza e di esperienza, con i suoi  oltre 100 partecipanti e i 760 contatti streaming, tuttavia, il momento che maggiormente abbiamo fatto nostro e che ci ha nutriti di più dal punto di vista umano è stato l’assemblea dell’associazione Briganti che si è tenuta al mattino. Abbiamo avuto modo di conoscere una piccola rappresentanza dei nostri associati con i quali ci siamo confrontati sulle attività svolte e con i quali abbiamo valutato le iniziative future. I soci ci hanno offerto il loro patrimonio di esperienze di vita spesso vissuta lontano dalla propria terra e ci hanno invogliato con il loro entusiasmo e la loro fiducia ad andare avanti e a crescere in numero per essere sempre più incisivi nella tutela dei nostri territori. A ciascuno di loro va il nostro più sentito ringraziamento e l’assicurazione che quello di sabato 17 a Napoli, è stato solo il primo di una lunga serie di incontri che ci vedranno coinvolti assieme a accomunati dalla passione per la nostra terra.

Briganti 
Associazione Briganti

venerdì 11 aprile 2014

COLONIA INTERNA



"Ogni colonia basa il suo perdurare sull'esistenza
di una broghesia in loco, che rappresenta il tramite
con la metropoli colonialista"
Nicola Zitara

sabato 15 marzo 2014

BIBLIOGRAFIA SULLA VERA STORIA DEL RISORGIMENTO


in continuo aggiornamento.....

* "Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d'Italia (1815-1818"
Antonio Lucarelli, Milano, Longanesi, 1982
* "Il brigantaggio politico delle Puglie dopo il 1860 - Il sergente Romano"
Antonio Lucarelli, Milano, Longanesi, 1982
* "Carmine Crocco Donatelli. Un Brigante guerrigliero"
Antonio De Leo Antonio, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 1983
* "Briganti e senatori"
Alberico Bojano, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1997.
* "Briganti e piemontesi: alle origini della questione meridionale"
Aldo De Jaco, Rocco Curto Editore, 1998
* "A sud del Risorgimento"
Antonio Boccia, Napoli, Tandem, 1998
* "La Sicilia e il brigantaggio"
Luigi Capuana, Carlo Ruta (a cura di) Messina, Edi.bi.si., 2005
* "Dopo Teano: Storie d'amore e di briganti"
Aldo De Jaco, Lacaita, 2001
* "Il brigantaggio meridionale: cronaca inedita dell'Unità d'Italia"
Aldo De Jaco, Editori Riuniti, 1969
* "La chiamarono Unità d'Italia..."
Antonio Grano, Napoli, 2009
* "Il brigante Secola. La sanguinosa rivolta nel Fortore post-unitari"
Antonio Bianco, Benevento, Il Chiostro, 2011
* "I panni sporchi dei Mille"
Angela Pellicciari,(Liberal Edizioni)
* "I Savoia e il massacro del Sud"
Antonio Ciano, Grandmelò
* "Due Sicilie, 1830 – 1880"
Antonio Pagano – Capone, 2002
* "La conquista del Sud: Il Risorgimento nell'Italia Meridionale"
Carlo Alianello, Milano, Edilio Rusconi, 1994
* "Controstoria dell'Unità d'Italia, ribellione popolare e repressione militare 1860-1865"
Carlo Coppola, Lecce, MCE Editore 2003
* "Il Mezzogiorno e l'unità d'Italia"
Carlo Scarfoglio, Parenti Firenze
* "Il Brigantaggio nel Salento"
Carlo Coppola, Matino, Tipografie S. Giorgio, 2005
* "Storia d'Italia"
Denis Mack Smith, Roma-Bari, Giuseppe Laterza e figli, 2000
* "Il potere di punire e perdonare. Banditismo e politiche criminali nel Regno di Napoli in età moderna"
Francesco Gaudioso, Galatina, Congedo, 2006
* "Eroi e briganti"
Francesco Saverio Nitti, Milano, Longanesi, 1946
* "La stangata"
Francesco Del Vecchio (2001) Ed. Libellula
* "I Lager dei Savoia"
Fulvio Izzo (1999), Ed. Controcorrente
* "Regno delle Due Sicilie- tutta la verita"
Gustavo Rinaldi
* "Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio"
Giordano Bruno Guerri
* "Brigantaggio, proprietari e contadini nel Sud (1799-1900)"
Gaetano Cingari, Reggio Calabria, Editori Riuniti 1976
* "Garibaldi,l'avventuriero, il massone, l'opportunista"
Gustavo Rinaldi, ed. Controcorrente
* "Il Brigantaggio dal 1860 al 1865"
Giuseppe Bourelly, Venosa, Osanna, 1987
* "La bugia risorgimentale. Il Risorgimento italiano dalla parte degli sconfitti"
Gerlando Lentini
* "1860 - La stangata"
* "1861 Pontelandolfo e Casalduni. Un massacro dimenticato"
Gigi Di Fiore – Grimaldi & C. ed. 1998
* "I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli"
Gigi Di Fiore
* "Gli ultimi giorni di Gaeta. L'assedio che condannò l'Italia all'Unità"
Gigi Di Fiore
* "Controstoria dell'Unità d'Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento"
Gigi Di Fiore, Ed. Rizzoli
* "Indietro Savoia! Storia controcorrente del Risorgimento italiano"
Lorenzo Del Boca, Ed. Piemme
* "Maledetti Savoia"
Lorenzo Del Boca, Ed. Piemme
* "Donne contro: le brigantesse streghe dell’Appennino"
Maria Procino, in «SLM- Sopra il livello del mare» Rivista dell’Istituto Nazionale della montagna, n. 28, 2006
* "L'unità truffaldina"
Nicola Zitara, liberamente scaricabile in formato HTML o RTF
* "Il Sud e l'unità d'Italia"
Giuseppe Ressa e Alfonso Grasso, (e-book)
* "La Storia Proibita -Quando i Piemontesi invasero il Sud-"
vari autori, Ed. Controcorrente, Napoli 2001
* "L'Unità d'Italia: nascita di una colonia"
Nicola Zitara
* "Tutta l'ègalitè"
Nicola Zitara, estratto dalla rivista Separatismo
* "Memorie di quand'ero italiano"
Nicola Zitara
* "Negare la negazione"
Nicola Zitara
* "L'invenzione del Mezzogiorno"
Nicola Zitara,
* "Contro la questione meridionale"
Carlo Capecelatro, Savelli, Roma
* "L'unità d'Italia: guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud"
M. R. Cutrufelli, , Bertani Editore, Verona
* "Don Josè Borges, generale catalano e guerrigliero borbonico, Diario di guerra"
Josè Borjes, Valentino Romano (a cura di) Bari, Adda, 2003
* "Mezzogiorno, emigrazione di massa e sottosviluppo"
Mario Iaquinta, Luigi Pellegrini Editore, 2002
* "Terroni"
Pino Aprile, Piemme 2010
* "Brigantesse. Donne guerrigliere contro la conquista del Sud"
Valentino Romano, Napoli, Crontrocorrente, 2007
* "Il Brigantaggio da Fra’ Diavolo a Crocco"
Marc Monnier, Lecce, Capone
* "Briganti e musica popolare dal nord al Sud"
Pierluigi Moschitti, Gaeta, Sistema Bibliotecario Sud Pontino
* "Il "brigantaggio" politico nella Marca pontificia ascolana dal 1798 al 1865"
Timoteo Galanti, Sant'Atto di Teramo, Edigrafital, 1990
* "Stefano Pelloni detto il passatore: cronache popolari"
Massimo Dursi, Giulio Einaudi Editore, 1963
* "Storia del brigantaggio dopo l’Unità"
Franco Molfese, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1966
* "Brigantaggio e Risorgimento - Legittimisti e Briganti tra i Borbone e i Savoia"
Giovanni De Matteo, Napoli, Alfredo Guida Editore, 2000
* "Il brigantaggio politico nel brindisino dopo l'Unità"
Vincenzo Carella, Fasano, Grafischena, 1974
* "Il rovescio della medaglia: storia inedita del brigante Stefano Pelloni detto il Passatore"
Leonida Costa, , Fratelli Lega, 1976
* "Cronache del Brigantaggio Meridionale (1806-1815)"
Francesco Barra, Salerno, S.E.M., 1981
* "I fuochi del Basento"
Raffaele Nigro, Milano, Camunia, 1987
* "Carmine Donatelli Crocco, La mia vita da brigante"
Valentino Romano (a cura di) Bari, Adda, 2005
* "Carmine Donatelli Crocco,Come divenni brigante"
Mario Proto (a cura di) - Autobiografia, Manduria, Lacaita, 1995
* "Una storia siciliana fra Ottocento e novecento. Lotte politiche e sociali, brigantaggio e mafia, clero e massoneria a Barrafranca e dintorni"
Salvatore Vaiana, Barrafranca, Salvo Bonfirraro editore, 2000
* "Briganti, arrendetevi!: Ricordi di un antico bersagliere"
Ferdinando Mirizzi, Venosa, Osanna, 1996
* "Brigantaggio, repressione e pentitismo nel Mezzogiorno preunitario"
Francesco Gaudioso,Galatina, Congedo, 2002
* "Calabria ribelle. Brigantaggio e sistemi repressivi nel Cosentino (1860-1870)"
Francesco Gaudioso, Milano, FrancoAngeli, 1996
* "Il banditismo nel Mezzogiorno moderno tra punizione e perdono"
Francesco Gaudioso, Galatina, Congedo Editore, 2001
* "Dossier Brigantaggio. Viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità"
Francesco Mario Agnoli, Napoli, Controcorrente, 2003
* "La Capitanata fra briganti e piemontesi"
Giovanni Saitto, Edizioni del Poggio, 2001
* "La repressione del brigantaggio a Canicattì e dintorni da Francesco Bonanno a Cesare Mori"
Salvatore Vaiana, pubblicato in "Canicattì nuova", Canicattì, 2002.
* "Josè Borjes,La mia vita tra i Briganti"
Tommaso Pedio (a cura di), Manduria, Lacaita
* "Con Dio e per il Re. Diario di guerra del generale legittimista"
Josè Borjes, Napoli, Controcorrente, 2005
* "La guerra cafona: Il brigantaggio meridionale contro la Stato unitario"
Salvatore Scarpino, Milano, Boroli Editore, 2005
* "Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri"
Raffaele Nigro, Milano, Rizzoli Editore, 2006
* "Il Regno perduto"
Antonio Ballarati, Napoli, Edizioni Iuppiter, 2012
* " Dieci anni di storia nascosta"  Michele Bisceglie, Falco Editore, 2011
* "Napoli sfregiata. Frammenti di vita e di strada 1860-1864" Luigi Iros, Tullio Pironti Editore, 2011




domenica 9 marzo 2014

Uno, nessuno e centomila

Costruirono per noi un’identità da inetti, inadeguati, reietti; facendoci credere, per troppo tempo, di essere ciò che non siamo. Ma questa identità c’è stata sempre stretta, sempre sul punto di entrare in crisi: una crisi di identità, che, finalmente, è scoppiata, una crisi di identità che genera consapevolezza.

Essere Briganti è un modo di sentire, di vivere la vita, di vedere il Mondo. È qualcosa che ti scorre nelle vene, che ti attraversa l'anima, che forgia la tua identità, che ti riempie d’orgoglio e senso d'appartenenza. Essere Briganti è radicazione, passione, amore. Essere Briganti è voglia di riscatto per una Terra, che fu crogiolo di popoli e diversità, e per le sue genti, eredi di una cultura millenaria.

Essere Briganti è un privilegio, un onore e una responsabilità.


io l'8 tutti i giorni!

Generose come la nostra terra.
Profonde come i nostri mari.
Fiere come le nostre montagne.
Siate rispettose, ma pretendete
altrettanto.
Siate forti, vive, coraggiose,
orgogliose.
Non smettete mai di credere in
ciò che desiderate, in cui credete.
Non permettete mai che
nessuno decida al posto vostro,
che prevalichi le vostre idee e le
vostre convinzioni, i vostri sogni.
Siate libere. Siete Brigantesse.
Io L'8 tutti i giorni!

Daniela Alemanno


















Oggi un pensiero a tutte le donne uccise dalla bestia mafiosa



















Per buona parte del '900 la coltivazione del tabacco fu fonte di ricchezza e sostentamento per tante famiglie di contadini del Salento. Oggi non ce n’è quasi più traccia. L’ultima fabbrica, la Manifattura Tabacchi di Lecce, ha chiuso il 1 gennaio del 2011. Nella prima metà del secolo scorso – e anche oltre – il lavoro era in gran parte manuale e per la foglia del tabacco c’era bisogno di mani esperte, veloci, abili e fini, come quelle delle donne e dei bambini. Tanto più che le donne e i bambini potevano essere pagati molto di meno e sfruttati molto di più degli uomini…
"Tabacchine”, le lavoratrici del tabacco, una categoria molto sfruttata ma per ciò stesso anche molto attiva e combattiva. Fin dal 1925, all’inizio dell’era fascista, si ha già notizia di una manifestazione delle tabacchine a Trepuzzi, dove un corteo di 500 operaie sfilò per il paese protestando. A Tricase il 25 maggio del 1935 una manifestazione di lavoratori del tabacco venne repressa nel sangue (cinque morti, tre donne e due uomini) dai fascisti e dalla forza pubblica. A Lecce, nel 1944, con il paese ed il mondo ancora in guerra, le tabacchine di nuovo scesero in piazza contro il caporalato, per rivendicare salari sufficienti per vivere, per il rinnovo e l’applicazione dei contratti nazionali e per sussidio di disoccupazione: la polizia sparò e tre tabacchine rimasero uccise. Si aprì allora una stagione di lotte molto lunga che culminò nello sciopero generale del 1961 che ebbe come epicentro il paese di Tiggiano, in provincia di Lecce.

Fonte : www.antiwarsongs.org
















Donne derise, oltraggiate, disprezzate,
incarcerate, massacrate, dimenticate.
Donne che hanno imbracciato il fucile,
donne che hanno condiviso la vita della macchia,
donne che hanno nascosto e aiutato i loro uomini.
Donne del Sud che hanno scritto
una pagina proibita di storia.
Spose, madri, sorelle, amanti:
donne meridionali, donne dei briganti,
guerrigliere.
BRIGANTESSE

(Valentino Romano)

sabato 8 marzo 2014

La nascita del debito pubblico italiano

Nel 1861, all’atto dell’unificazione, il 57% o forse il 64% del debito pubblico totale dell’Italia era di origini sabaude, mentre l’incidenza del passivo che derivava dal Regno delle Due Sicilie era insignificante. A differenza dei Savoia, i Borbone avevano l’avversione per bilanci in rosso e le tasse. Il deficit italiano, oggi stratosferico, è cominciato allora. Dal 1861 al 1896 il Regno d’Italia già creava un milione di debito pubblico al giorno, nelle lire di quel periodo

Vito Tanzi (Mola di Bari, 1935) direttore del Dipartimento di Finanza Pubblica del Fondo Monetario Internazionale


lunedì 3 marzo 2014

Si parla del Sud. Ma in termini diversi.

Presentazione de “Il Sud Puzza,storia di vergogna ed d'orgoglio” di Pino Aprile, con la partecipazione di Fernando Blasi aka Nandu Popu dei Sud Sound System.
2 marzo 2014, Vignacastrisi (LE)


Si parla del Sud. Ma in termini diversi.

E’ un popolo che si guarda attorno, poi indietro e poi ancora attorno e alla fine dice:
“non più!”

Le storie delle nostre sconfitte oltrepassano la vergogna (che spesso è più imposta che reale) e diventano orgoglio di riprendere la propria terra.

Ieri a Vignacastrisi si è parlato di un Sud che rinasce, solo e con le proprie forze.
Perché quel posto migliore che tutti desideriamo sta nascendo qui!


Daniela Alemanno


[Si ringrazia Sara Rizzello Joker per le foto]

mercoledì 19 febbraio 2014

Lamezia Terme (CZ): intitolazione parco a Peppino Impastato alla presenza del fratello Giovanni

Lo scorso giovedì 13 febbraio, il parco urbano ex Centralità Locale di contrada Scinà è stato ufficialmente intitolato a Peppino Impastato, alla presenza del fratello Giovanni.
Alle 9:30 nella sala riunioni del Comune di via Perugini si è tenuta l’iniziativa dal titolo “Le strade del sogno”, durante la quale i bambini hanno incontrato Giovanni Impastato. Sono intervenuti oltre al sindaco Gianni Speranza, Giovanni Impastato, in rappresentanza della Casa Memoria Peppino e Felicia Impastato, Fabio Butera, dell’Osservatorio sulla ‘ndrangheta; Antonio Borelli, dirigente del commissariato di Polizia di Lamezia Terme; moderatore Roberto De Sando, giornalista del Corriere della Calabria.
Alle 11.30, nel parco ex Centralità Locale in via Placido Rizzotto, si è tenuta la cerimonia di intitolazione del parco con la partecipazione di bambini, associazioni e cooperative che riutilizzano i beni confiscati alle mafie.
Alle 17.00, nell’aula magna del parco Peppino Impastato, ha avuto luogo un momento di incontro e riflessione tra operatori, cittadini e realtà locali sul tema della socializzazione del e nel nostro territorio in termini di protagonismo attivo, consapevole e positivo, dal titolo “Socializzare il territorio: noi ci siamo! Spazi in Dialogo”.
“Sono molto commosso - ha detto il sindaco Speranza - per la cerimonia di domani che si aggiunge ad altre già realizzate, come il ponte intitolato a Lea Garofalo e il viale a Placido Rizzotto. A maggio scorso sono stato a Cinisi nel giorno dell'anniversario dell'uccisione, da parte della mafia, di Peppino Impastato. In quell’occasione ho incontrato il fratello Giovanni, al quale ho chiesto di venire a Lamezia per l’ufficializzazione dell’intitolazione del parco urbano di contrada Scinà a Peppino, simbolo di una battaglia importante per la legalità e contro la mafia che nessuno di noi potrà mai dimenticare.

Poeti e scrittori meridionali del '900 cancellati dai programmi per i licei - PINO APRILE, AUTORE DI «TERRONI»: «UN MODO PER IGNORARCI»

Rivoluzione silenziosa della riforma Gelmini:
i grandi del XX secolo scompaiono dalle lezioni


Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera». Li avete riconosciuti? Ma certo. E come si potrebbero dimenticare i versi del siciliano Salvatore Quasimodo, uno dei padri dell'ermetismo, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1959? A rileggerle oggi quelle parole malinconiche ancora emozionano. Per non parlare di Uomo del mio tempo. «Sei ancora quello della pietra e della fionda uomo del mio tempo…», e così via. Capolavori in versi celebrati in tutte le antologie letterarie del Novecento, ad esempio da critici e storici della letteratura del calibro di Natalino Sapegno, tanto per limitarci a un nome soltanto. Eppure Quasimodo (e non solo lui) è scomparso definitivamente insieme a una pattuglia dei principali poeti e scrittori meridionali del Novecento dai programmi scolastici dei licei italiani e degli istituti superiori in genere. Intellettuali del calibro di Sciascia, Vittorini o Silone diventeranno illustri sconosciuti per gli studenti della generazione 2.0 Impossibile? No, vero, verissimo.

IL DOCUMENTO - La decisione è stata presa nel silenzio generale, e messa nero su bianco, nel 2010 da una commissione di esperti nominata dal ministro dell'Istruzione di allora Maristella Gelmini. Il documento ministeriale, partorito nei giorni della riforma, (ancora disponibile sul sito del Ministero dell'Istruzione) appare a tratti ancor più ermetico dei versi di Quasimodo. Ve ne proponiamo solo il titolo per intero: «Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali di cui all'articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, in relazione all'articolo 2, commi 1 e 3, del medesimo regolamento». In pratica sono le linee guida destinate ai docenti per il cosiddetto «curricolo»: serve a definire i fondamentali degli insegnamenti che il Miur (il Ministero dell'istruzione dell'Università e della ricerca scientifica) ritiene strategici per gli studenti delle scuole superiori.

I «SOLITI» CLASSICI - Nelle indicazioni «imprescindibili» per la letteratura del quinto anno gli esperti ministeriali si mantengono sul classico e nel periodo tra Ottocento e Novecento inseriscono Pascoli, D'Annunzio, Verga e Pirandello, autori giustamente definiti «non eludibili». Ma la sorpresa arriva al XX secolo. Qui chiarisce il papello ministeriale «il percorso della poesia, che esordirà con le esperienze decisive di Ungaretti, Saba e Montale, contemplerà un'adeguata conoscenza di testi scelti tra quelli di autori della lirica coeva e successiva (per esempio Rebora, Campana, Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto, …). Il percorso della narrativa, dalla stagione neorealistica ad oggi, comprenderà letture da autori significativi come Gadda, Fenoglio, Calvino, Primo Levi e potrà essere integrato da altri autori (per esempio Pavese, Pasolini, Morante, Meneghello…)». Stop. Nient'altro. E il povero Quasimodo? Dimenticato, forse. Ma, insieme al premio Nobel, l'oblio ministeriale ha mietuto - come dicevamo - altre vittime illustri: il salernitano Alfonso Gatto (A mio padre: «Se mi tornassi questa sera accanto, lungo la via dove scende l'ombra…»); oppure il materano Rocco Scotellaro («È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi, con i panni e le scarpe e le facce che avevamo»). E che dire poi in letteratura delle assenze del siciliano Leonardo Sciascia, dell'abruzzese Ignazio Silone, del potentino Leonardo Sinisgalli, del siracusano Elio Vittorini (ma anche del torinese Carlo Levi). Tutti «minori»non degni dell'attenzione ministeriale?

«COMPLOTTO» NORDISTA? - È indignato Pino Aprile, scrittore meridionalista, autore del fortunato «Terroni». Nel recente libro «Giù al Sud» ha dedicato un intero capitolo alla vicenda. Per lui non ci sono dubbi: «Su 17 poeti o scrittori del XX secolo, escludendo Verga e Pirandello assegnati all'Ottocento, non c'è un solo meridionale. C'è stato un netto rifiuto della cultura del Sud. Gli autori meridionali saranno confinati a realtà regionali, mentre la letteratura vera, quella che conta, sarà quella dell'Italia del Nord, vincente ed europea». Ma è davvero possibile credere a un complotto nordista tra i banchi di scuola, o le nuove indicazioni non sono, più banalmente, il risultato del grande dibattito che da anni divide i critici sulla letteratura del Novecento? Visto però che a pensar male qualche volta ci s'azzecca, c'è chi ha avanzato una richiesta ufficiale di «correzione», con un esposto all'attuale ministro Francesco Profumo. Ma anche al Capo dello Stato e ai presidenti di Camera e Senato. Semplicissima la richiesta: «Integrare le indicazioni didattiche con i nomi di Quasimodo, Gatto, Scotellaro e di altri intellettuali del nostro Sud e di regioni del Centro Italia poco rappresentate». L'appello arriva dal «Centro di documentazione della poesia del Sud» di Nusco, in Irpinia, dove ieri si è tenuto un convegno proprio sulla questione con la partecipazione di Aprile. Paolo Saggese, uno dei prof che (insieme con Alfonso Nannariello, Alessandro Di Napoli, Franca Molinaro, Peppino Iuliano) anima l'associazione, spiega di non voler alimentare «polemiche o battaglie di retroguardia. O, peggio ancora, una contrapposizioni Nord-Sud».

L'APPELLO - Al contrario l'appello, lanciato anche a tutte le scuole italiane, vuol essere un manifesto per l'unità culturale del Paese. «Perché — argomenta Saggese — una cultura nazionale veramente unitaria deve dare agli studenti la visione completa degli autori, includendo quelli del Sud. Invece con la Gelmini — aggiunge — è stata introdotta, non sappiamo quanto volontariamente, una visione decisamente nordista che tiene fuori almeno 15 regioni». Al ministro Profumo quindi l'ardua decisione. Ritroveremo Quasimodo tra gli autori del Novecento ritenuti «fondamentali» per gli studenti? Oppure, afflitti, dovremo condividere il suo Lamento per il Sud: «Ho dimenticato il mare, la grave conchiglia soffiata dai pastori siciliani, le cantilene dei carri lungo le strade (…) nell'aria dei verdi altipiani per le terre e i fiumi della Lombardia…Più nessuno mi porterà nel Sud….»

Roberto Russo
19 marzo 2012(ultima modifica: 20 marzo 2012)http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2012/19-marzo-2012/poeti-scrittori-meridionali-900-cancellati-programmi-licei-2003739529110.shtml

giovedì 14 novembre 2013

LA STRATEGIA DELLA DISTRAZIONE DELLE MASSE (attribuita a Noam Chomsky)



La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica.



  • 1- “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).


  • 2 - Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

  • 3 - La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

  • 4 - La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

  • 5 - Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
  • 6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

  • 7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori" (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

  • 8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

  • 9 - Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

  • 10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

venerdì 30 agosto 2013

8 aprile 1888, la strage di Bernalda

L'8 aprile del 1888, a Bernalda, nell'attuale provincia di Matera, ci fu una sommossa popolare contro l'introduzione, da parte dei piemontesi, della tassa di capitazione.
Tale tassa era anche chiamata del "fuocatico" ed era un'imposta applicata su ogni "fuoco" e cioè su ogni abitazione.
Come in molte altre occasioni, il governo piemontese non si fece scrupoli nel mandare l'esercito contro la popolazione e di far aprire il fuoco contro i cittadini. Ci furono 4 morti e decine di feriti.
Di seguito riportiamo integralmente l'articolo originale, di quel nefasto giorno del 8 aprile del 1888, del quotidiano "Le Matin" con la traduzione dal francese all'italiano.

(Foto diffusa da Cosimo Russo)


TRADUZIONE:

Un grave conflitto è esploso oggi a Bernalda, Circondario di Potenza, tra la forza pubblica e la popolazione a causa della tassa di capitazione.
I cittadini hanno urlato: abbasso il sindaco, abbasso le tasse.
I gendarmi sono stati costretti a fare fuoco. 4 cittadini sono stati uccisi, molti altri feriti
Sono stati feriti anche alcuni gendarmi. Le autorità hanno inviato a Bernalda rinforzi di truppa.
L ' ordine è stato ristabilito, ma il fermento persiste.

Le Matin, 10 aprile 1888

lunedì 15 luglio 2013

Craco, tra passato e presente

Durante il regno di Federico II, Craco è stato un importante centro strategico e militare: dal torrione quadrato e da altri avamposti situati fuoridall'abitato, come la Petrolla – luogo che, nel XIX secolo, pare sia statoutilizzato dai brigati come riparo – si controllava l'intera valle tra i fiumi Agri e Cavone.



Craco, veduta della "città fantasma".


Nel XV secolo, la città si espanse intorno a quattro palazzi:

Palazzo Maronna, situato vicino al torrione, con un bell'ingresso monumentale inmattoni e con un grande balcone terrazzato;
Palazzo Grossi, che sorge vicino alla ChiesaMadre, dotato di un alto portale architravato, privo di cornici, e con i pianisuperiori coperti da volte a vela e decorati con motivi floreali opaesaggistici racchiusi entro medaglioni. Parte delle finestre e dei balconi conservano ringhiere in ferro battuto;
Palazzo Carbone, edificio della fine del Quattrocento, dotato di un ingressomonumentale, fu rinnovato ed ampliato nel Settecento;
PalazzoSimonetti.


Palazzo Grossi, affresco.


Craco ha dato i natali a Nicola Onorati Columella (1764 -1822), insegnante di filosofia presso l'Università di Bologna e, poi, titolaredella cattedra di "Agraria e Scienze Veterinarie" all'Università di Napoli; scrisse numerose opere, tutte nel campo delle riforme agrarie e dellamedicina veterinaria.




Palazzo Grossi, affresco.


A causa di una frana di vaste proporzioni, nel 1963, Craco fu evacuata el'abitato trasferito a valle, in località Craco Peschiera. Allora il centrocontava oltre 2000 abitanti. La frana, che obbligatò la popolazione ad abbandonarele proprie case, sembra fosse stata provocata da lavori di infrastrutturazione, fogne e reti idriche, a servizio dell'abitato.


Palazzo Grossi, affresco.


Ogni anno, il BasiliJazz, festival jazz che si tiene in Basilicata e richiama artisti da tutto il mondo, ha tra le sue tappe anche Craco.



Immagini realizzate da Gianfranco Caruso.

Brevi Cenni sull'olivicoltura calabrese.

È usuale, per chiunque si trovi a percorrere le campagne calabresi – cosi come quelle pugliesi e campane, aggiungerei – imbattersi in enormi distese di uliveti e agrumeti. È cosi forte la loro presenza nei nostri territori, che sovente ci si immagina che si tratti di "vegetazione spontanea"... Nulla di più errato!

Alla stessa stregua delle case non finite, le in-finite distese di terreni ulivetati sono il risultato di secoli di trasformazioni del territorio, il prodotto ultimo di quanto la mano dell'uomo sia riuscita a creare nel corso dei secoli. Il territorio "meridionale" è stato, almeno sotto l'aspetto botanico, plasmato dalle sapienti mani dei contadini. Quanto fin qui detto, non rappresenta semplicemente una mera curiosità, bensì è la dimostrazione concreta, palese e che ancora oggi perdura (salvo la squallida compravendita di cui sono oggetto i nostri “monumenti naturali”, che, di tanto in tanto, seguendo le nordiche rotte, abbelliscono qualche villa sul lago di Como) di come le nostre piante o, meglio, i loro frutti, dessero la possibilità al nostro Stato, sin dalla seconda metà del XVII secolo (l’era del capitalismo commerciale), di inserirsi nelle logiche commerciali del Vecchio Continente, intercettando gli sviluppi e le trasformazioni del mercato internazionale. Partendo dal gelso e dalla rinomata produzione serica, si arrivò alla coltura degli ulivi e, infine, degli agrumi. A differenza di quanto avveniva per la produzione di cereali, la piantumazione di alberi di ulivo giovò al territorio, sia per la crescente domanda dovuta all'incremento demografico, sia per garantire maggiore stabilità ai terreni vessati dalle fragili condizioni idrogeologiche.In Calabria, o meglio nelle Calabrie, l'espansione olivicola si diffuse rapidamente, creando delle zone ad alta specializzazione, come le aree di Gioia Tauro e Rosarno, giungendo, poi, fino alle pendici dell'Aspromonte. Anche sul versante Ionico, a Rossano e Cirò, si è assistito ad una prepotente ascesa di questa pianta, forte, resistente e longeva. La produzione di olio si accrebbe così notevolmente che, già a fine '700, si giunse, in qualche caso, a sorpassare il tradizionale e secolare primato pugliese. Secondo alcune fonti, a quell'epoca, la produzione olearia calabrese, arrivò da sola a rappresentare il valore pari a un terzo di tutta la produzione olearia del Regno.


Vincent van Gogh, "Ulivi con cielo giallo e sole" – "Oliviers avec ciel jaune et soleil" (1889) Minneapolis Institute of Arts 92,7 x 73,7 cm – Olio su tela


L'enorme produzione olearia delle Calabrie, viene analizzata da uno studioso, il Grimaldi, nei suoi "Studi statistici sull'industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra II", Stabilimento Librario-Tipografico di Borel e Bompard, Napoli 1845.



«Coltivazione estesa ed utile alla Provincia è quella degli ulivi: fu essa derelitta durante il decennio dal 1806 al 1815 (decennio francese, n.d.r.) talché gli uliveti, in parte, furono distrutti, e, in parte, vennero altrettanti boschi. Dopo quell'epoca, rianimato il commercio, si cominciò ad aver cura degli antichi uliveti, si fecero piantagioni novelle, ed attualmente pressocché in ogni sito sono progresso. Menonché in 14 comuni, da per tutto nella Provincia vien coltivato l'ulivo, del quale abbondano maggiormente le qualità dette ogliarole e rotondelle, che danno abbondante olio, e le celline, di cui se ne ottoene meno, ma di mogliore qualità [...]. In generale, di esse non si ha molta cura e si abbandonano alla propria forza di vegetazione [...]. La concimazione negli uliveti non si pratica da per tutto, e si esegue o facendovi dimorare le mandrie o mettendo letame in fosse fatte ai piedi degli alberi o soesciandovi il lupino.Perloppiù i terreni olivetati essendo seminati, non si fanno pegli alberi che quei lavori d'aratro o di zappa necessari al sottoposto terreno; e gli altri in cui si semina, si zappano in inverno, ogni 3 a 6 anni [...]. La potatura si fa inverno, in taluni siti non si esegue, in altri si fa male [...].La raccolta delle olive si fa generalmente quando queste son perfettamente mature, eccetto pochissimi proprietari che la eseguono pria di giungere a tal punto. Il frutto in parte si raccoglie da terra ed il rimasto sull'albero si fa cadere perticando i rami.Oltre il danno che dal sistema di abbattere e di raccogliere mature olive ne viene, vi è l'altro che deriva di tenerle pria della raccolta per circa un mese ammonticchiate e premute in luoghi sovente umidi e bassi [...]. I molini e i frantoi da olive, detti, volgarmente, trappeti, son difettosi. In fatti, la mola è larga un palmo e mezzo e con taglio poco aguzzo, per cui oltre ad essere pesante e di lento moto, richiede molta fatica per essere mossa e la triturazione delle olive non è ben fatta.Il prodotto dell'olio è di 19.523 botti, cioè cantaja 107.287 e rotoli 57 e 1/3, ed è poco men che raddoppiato nell'ultimo decennio, poiché, pria del 1835, il medio prodotto era di 10.623 botti; il prezzo di ducati 55 la botte. Finalmente gli uliveti può ritenersi che occupano 312.368 moggia del territorio della provincia, e sono nella maggior parte nel distretto di Catanzaro e nella minore, in quel di Crotone».


Come si evince dallo studio del Grimaldi, dopo la fase d'arresto del commercio all'inizio del XIX secolo, dovuto alle Guerre Napoleoniche, la crescita riprese negli anni a venire. La Calabria iniziò ad esportare sempre più olio, non solo nelle altre province del Regno, ma anche e soprattutto nei principali paesi europei. Il prodotto finito, il risultato del duro lavoro dei contadini calabresi era ricercatissimo dalle industrie del Nord Europa, specialmente dai saponifici di Marsiglia e dalle industrie tessili inglesi. Il cloth oil, l'olio per i panni, come veniva chiamato nelle lande anglosassoni, era destinato non al consumo alimentare, bensì utilizzato per la lavorazione dei tessuti nelle fabbriche e per la lubrificazione dei macchinari. Quindi, i difetti dell'olivicoltura calabrese dell'epoca, anche se da un lato, considerato lo sbocco commerciale che trovava comunque il prodotto (creando una sorta di circolo vizioso per cui da parte degli olivicoltori non v'era necessità di migliorare la qualità del prodotto) poteva giovare all'economia, col passare del tempo rappresentò un limite, specie quando la concorrenza dei paesi del Mediterraneo come la Spagna e il Maghreb, si fece più serrata, decretando la fine della stagione del grande primato calabrese durata quasi un secolo; secolo che, comunque, permise all'olio delle Calabrie di ritagliarsi uno spazio come protagonista di uno dei più grandi mutamenti che la Storia dell'Umanità possa ricordare.

Carlo Capocasale



NELLA FOTO: Vincent van Gogh, "Ulivi con cielo giallo e sole" – "Oliviers avec ciel jaune et soleil" (1889) Minneapolis Institute of Arts 92,7 x 73,7 cm – Olio su tela

Raggioni- Per le mercanzie che s'immettono dall'Inghilterra in questo Regno di Napoli. Il ricatto inglese

Verso la fine del 600 il console inglese Davies, faceva notare ai governanti Napoletani come tutta l'area mediterranea fosse in grado di offrire prodotti simili a quelli del Regno a prezzi migliori.

I mercanti inglesi trovavano conveniente esportare l'olio d'oliva dalle piazze "meridionali" solo perchè vi potevano vendere i loro panni di lana, per la cui manifattura lo stesso olio era acquistato.Il documento, accluso al dispaccio del console George Davies del 20 dicembre 1689, in State Paper Foreign, ci evidenzia a pieno il ricatto commerciale inglese.



Raggioni- Per le mercanzie che s'immettono dall'Inghilterra in questo Regno di Napoli



[...] le quattro case Inglesi che risiedono a Napoli, per non esserci altre in tutto il Regno, immettono nella Regia dohana, saie, scotti,scottini, panni,piomho,salume e altri sorte di mercantie di droghi, e altro, e pagando li diritti per quella Regia Dohana,facciasi il conto, conforme alli libri di essa si può riconoscere, che importano da docati novantamila l'anno, le quali mercantie, prohibendosi, sono perduti per la Retia Dohana[...]. Il prezzo delle suddette robbe, che dette quattro Case immettono in Regno, non solo non esce dal Regno, comprando aglio, vino, feccia, grano, sete e altro, e perché il ritratto di dette mercantie che immettono, non basta a pagare il prezzo della robba che estrahono,sono necessitati far entrare il denari, conforme fanno, facendo le tratte, cosî in Livorno, com'in Genova e Venetia. Osservandosi dalli contratti fatti per le compre d'aglio, che il prezzo, la metá pagani in tante polize di loro debitori, e spesse volte un terzo, e del restante ne fanno le tratte per le suddette piazze; onde il denaro delle loro robbe, che immettono, si vede, non esce dal Regno, ma anco ne fanno entrare... E osservasi i libri de Mezzani di cambii, che non trovará, che queste quattro Case inglesi pigliano à cambio da nessuno negotiante, má sempre traheno, e con il trahere, calano li cambii, perché quando vi sono lettere de cambiiper fuori ogni uno sa, ch é causa di calare li cambii.

domenica 24 febbraio 2013

Le Edicole Sacre di Napoli

Da oggi inizia una nuova collaborazione con Briganti.Rosario Ciuccio, esperto e "scovatore" di opere d'arte ormai abbandonate e sconosciute, ci invia il suo primo "pezzo" dedicato alle Edicole Sacre di Napoli.



Il centro storico di Napoli, con i suoi 1700 ettari di superficie, è il più vasto d’Europa. Attraverso le sue cattedrali, i suoi reperti archeologici, le sue regge, le sue piccole - ma non per questo meno importanti - opere d’arte, racconta il viaggio di una città che ha visto ben diciassette dominazioni straniere, altrettante rivolte popolari, eruzioni vulcaniche, rivoluzioni e terremoti.
Vi parlerò in particolare di quelle piccole grandi opere d’arte che costellano ogni piazza, ogni angolo, ogni vicolo del centro della città, vi parlerò delle Edicole Sacre di Napoli.
Esse raccontano le vicende quotidiane di un popolo profondamente religioso: considerate per troppo tempo solo un fenomeno religioso secondario, tali strutture stanno ritornando lentamente alla ribalta della critica antropologica; finite nell’oblio, le loro radici sono da ricondurre all’epoca greca, per poi attraversare tenacemente le grandi persecuzioni cristiane e i tabù dei tribunali ecclesiastici.
Le edicole votive, nate sotto forma di devozioni private e popolari, sono molte centinaia: angeli, santi e madonne, dipinti in raffinate nicchie ovali, rettangolari a tempio, oppure vere e proprie sculture presenti in quello stesso punto, da tempi immemorabili. Molte di esse sono anche sproporzionatamente grandi, costituendo delle vere e proprie pseudo-cappelle, come ad esempio nel caso dell’Edicola del Salvatore in via Trinità Maggiore, nei pressi della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi a Monteoliveto. Il primo libro sull’argomento risale al 1978: Lo Spazio Sacro. Per un’analisi della religione popolare napoletana; un testo che elencò per lo più quelle aree sacre presenti nel popolare rione di Montesanto, non lontano dalla ben più famosa via Toledo.
Le Edicole votive possono essere esaminate da un punto di vista di differenziazioni sociali, ambientali, artistiche, nonché per l’avvicendarsi attorno ad esse, di credenze e superstizioni che possono essere ancor oggi percepibili nella cultura popolare napoletana. Eppure tutto questo non è bastato a far sì che le istituzioni prendessero seriamente a cuore la questione di questi gioielli dimenticati, veri e propri figli dell’Oro di Napoli. Quei gioielli che oggi, più che mai, rischiano di finire nel dimenticatoio considerato che, l’incuria, ne sta cancellando lentamente le tracce. Il Comune di Napoli non possiede ancora un adeguato piano di salvaguardia, tutela e fruizione di tali strutture che molto spesso portano anche la firma di artisti del calibro di Mattia Preti e Luca Giordano; nonostante quei numerosi avvisi e rimproveri da parte dell’Unesco, in quanto ogni singola pietra del centro storico di Napoli è un patrimonio da salvaguardare e tutelare, non solo per i napoletani, non solo per gli italiani, ma per l’umanità intera. Il centro storico di Napoli è stato a tal proposito dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità nell’oramai lontano 1995, con la seguente motivazione:
“Si tratta di una delle più antiche città d'Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti. I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell'Europa e aldilà dei confini di questa.”
Parole che dovrebbero essere prese alla lettera, parole che dimostrano che ogni singola chiesa, castello, reggia, edicola sacra di una città vecchia di 3000 anni, è un testimone di civiltà, arte e cultura da preservare ai posteri.




Rosario Ciuccio


venerdì 18 gennaio 2013

Dite solo che siamo 50.000




Briganti nasce il 15 febbraio del 2010 e tra non molto compirà tre anni.
Non potevamo ricevere, per il compleanno della pagina, regalo più gradito da tutti voi del raggiungimento dei 50.000 iscritti!
In principio, non avremmo mai immaginato di poter conseguire questi risultati: 50.000 iscritti? Un miraggio!
Poi, abbiamo visto il vostro numero aumentare sempre più in un rapporto di arricchimento e di crescita reciproci, per noi preziosissimo.
Dopo l’ingiustificato blocco della pagina, del mese scorso, abbiamo temuto di aver perso questo rapporto e di non poter proseguire il cammino condiviso verso il riscatto della nostra terra.
Alla fine, la pagina ci è stata “restituita” e come capitato tutte le altre volte in cui abbiamo incontrato delle difficoltà – e vi assicuriamo che è accaduto in questi tre anni – superarle ci ha resi più forti e determinati di prima, anche grazie al vostro sostegno ed aiuto.
La strada da percorrere è ancora lunga, certo, ma la distanza non ci spaventa, perché la percorreremo assieme a tutti voi.
Grazie Guagliu’
Grazie Picciòtti
Grazie Uagliù
Grazie Vagnoni
Grazie Figjioli
Grazie Briganti

mercoledì 26 dicembre 2012

La squadra di "scugnizzi" del P.G.S. Stabia e Briganti

Da ragazzino pensavo che se un Sacerdote piemontese aveva deciso di istituire opere di misericordia e di carità per gli scugnizzi del sud già a fine ottocento, ciò confermava che le problematiche sociali per i giovani dei nostri luoghi esistevano da sempre (come mi confermavano anche i libri sui quali studiavo).
Poi ho scoperto che Don Bosco già molto tempo prima aveva i suoi scugnizzi; solo che erano ragazzini piemontesi e si chiamavano “gugnin”, ed erano un’enormità per le vie di Torino, viste le condizioni di miseria e degrado in cui versava il popolo savoiardo.
E’ infatti da questo termine piemontese “gugnin” (monello) che deriva il napoletano “scugnizzo”.
Tuttavia, aver capito che i libri di scuola mi stavano imbrogliando, mi ha fatto anche apprezzare la figura di questo Santo, che ha amato e si è impegnato tutta la vita per ogni ragazzo come se fosse l’unico; “gugnin” o “scugnizzi”, bianchi o neri, ricchi o poveri che fossero erano tutti i Ragazzi di Don Bosco.
Oggi sono un volontario dell’associazione P.G.S. Stabia. Siamo quel che resta dell’ex oratorio salesiano San Michele di Castellammare di Stabia.
La nostra attività di volontariato sociale è rivolta al recupero di minori (e spesso anche adulti) a rischio dei nostri quartieri, in particolare del centro storico e di Scanzano, in collaborazione con la Parrocchia del SS.Salvatore a noi vicina.
Tale attività è ispirata alla vita, alle parole e alle opere di San Giovanni Bosco, ed al Suo fiducioso, smisurato e infinito amore per i giovani.
I RAGAZZI DI DON BOSCO a Castellammare oggi sono tanti, anzi troppi,ma sono bellissimi; e sono ovunque ma li incontra solo chi li vede; e sono maleducati ma per salutarti ti saltano addosso e ti danno un bacio; e non vanno a scuola ma non è mai stata una scuola fatta per loro; e se è vero come diceva Don Bosco che “… chi sa di essere amato ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Non basta amare i giovani; occorre che loro si accorgano di essere amati”.
In qualità di volontari della P.G.S. Stabia promuoviamo lo “Sport come vettore di regole da trasferire anche in altri contesti, come unico terreno fertile dove i ragazzi disagiati con modelli sbagliati possono trovare un confronto con ragazzi di diversa estrazione sociale”.
Perché in altri campi, come la scuola, ragazzi provenienti da famiglie indigenti o di stampo delinquenziale finiscono per subire ogni giorno confronti frustranti e vengono sempre più ghettizzati. Questa frustrazione sfocia spesso in un complesso di inferiorità che a sua volta si trasforma in rabbia e violenza, unico atteggiamento conosciuto perché sperimentato sulla propria pelle in strada e, ancor peggio, in casa.
Lo sport, invece, riporta ad un confronto sullo stesso livello ragazzi diversi per provenienza, ceto sociale e possibilità economiche, ridona fratellanza, condivisione e accettazione.
Questi ragazzi vivono quotidianamente il disagio della loro diversità sin da piccoli, subendola in modo particolare nel vedersi negata la possibilità di sentirsi alla pari degli altri anche nel gioco (diritto essenziale ed inalienabile di ogni bambino). Crescendo, la presa di coscienza di tale diversità assume dimensioni enormi ai loro occhi, perché filtrata anche attraverso tutto ciò che il mondo mediatico (pubblicità, cinema, televisione etc…) e le sue (nostre) false necessità sembra voglia regalare a tutti tranne che a loro.
Questa amara consapevolezza li fa sentire perdenti in tutto: scuola(a che vale studiare? L’unico modo che ho di avere quello che ha il mio compagno è di prendermelo con la forza!); sport (non sarò mai in grado di affrontare chi si può allenare tre volte la settimana su un campo vero e con un preparatore vero, se per tirare calci ad un pallone devo aspettare che il marciapiede si liberi dalle macchine), etc…
Il nostro scopo è quello di farli sentire alla pari con gli altri, e l’unico campo sul quale il confronto con gli altri non li penalizza è quello sportivo.
Il confronto e l’integrazione con ragazzi appartenenti a realtà sociali diverse sarebbe impossibile in campo culturale, scolastico, familiare o anche solo verbale.
Lo sport è l’unico territorio dove la competizione parte alla pari perché basata sul gioco e la voglia di divertirsi. In campo non bisogna dare spiegazioni sul perchè “…mamma non ti accompagna a scuola?, …. tuo padre dov’è? , …. perché piangi?, … perché bestemmi?”, etc.. ; in campo affronti il tuo avversario giocando come lui, come tutti gli altri bambini della tua età.
Solo allora ti sembra di respirare aria pulita; di avere degli amici; che il goal che hai fatto tu non lo avrebbe saputo fare nessun’altro; che forse vali quanto gli altri o ci potresti riuscire; che è vero che anche tu sei amato da qualcuno.
Solo allora cominci a credere che anche il tuo comportamento può aiutare a mantenere pulite le strade della tua città; che alcuni dei tuoi nuovi amici ti possono accettare per quello che sei perché tu vali più di quello che ti hanno fatto credere; che se a scuola impari a leggere, scrivere e parlare bene puoi cercarti un lavoro decente; che il goal che hai fatto non ti porterà a giocare da professionista , ma sarà un ricordo dolce, che durerà per sempre, incancellabile dalla memoria come lo è ogni momento di gioia vera; che è giusto amare perché tutti siamo amati.

Quest’anno non siamo riusciti a trovare nessun benefattore che volesse sponsorizzarci pagando i kit sportivi, quindi anche se “stamm’a disperate” , come tutti i poveri abbiamo la libertà. Infatti ci troviamo liberi di stampare sulle maglie ciò che vogliamo.
Per il gruppo di ragazzi che seguo io, ho scelto BRIGANTI e sono felice e orgoglioso che mi abbiano dato il consenso.

Purtroppo non potrò mai pretendere che i ragazzi capiscano l’importanza storica e il drammatico significato di ciò che portano scritto sul petto (anzi, paradossalmente, a molti di loro dovrò spiegare che non li sto autorizzando a delinquere), ma continuo a pensare che nessuno più di loro è figlio della nostra storia, e ne è inconsapevole ma vero portavoce.

Essere non è avere. Essere è fare. Viviamo in un’epoca, però, dove il verbo fare viene trasformato continuamente in farsi (farsi la macchina, farsi il telefonino, farsi il vestito, etc…).
Ma la verità è che siamo ciò che facciamo, non ciò che ci facciamo.
Chi vuole fare con noi, può aiutarci tramite i BRIGANTI.

“ Mi basta sapere che siete giovani, perché io vi ami assai!”
Don Bosco.

Un volontario dell’associazione P.G.S. Stabia di Castellammare di Stabia.