lunedì 15 luglio 2013

Craco, tra passato e presente

Durante il regno di Federico II, Craco è stato un importante centro strategico e militare: dal torrione quadrato e da altri avamposti situati fuoridall'abitato, come la Petrolla – luogo che, nel XIX secolo, pare sia statoutilizzato dai brigati come riparo – si controllava l'intera valle tra i fiumi Agri e Cavone.



Craco, veduta della "città fantasma".


Nel XV secolo, la città si espanse intorno a quattro palazzi:

Palazzo Maronna, situato vicino al torrione, con un bell'ingresso monumentale inmattoni e con un grande balcone terrazzato;
Palazzo Grossi, che sorge vicino alla ChiesaMadre, dotato di un alto portale architravato, privo di cornici, e con i pianisuperiori coperti da volte a vela e decorati con motivi floreali opaesaggistici racchiusi entro medaglioni. Parte delle finestre e dei balconi conservano ringhiere in ferro battuto;
Palazzo Carbone, edificio della fine del Quattrocento, dotato di un ingressomonumentale, fu rinnovato ed ampliato nel Settecento;
PalazzoSimonetti.


Palazzo Grossi, affresco.


Craco ha dato i natali a Nicola Onorati Columella (1764 -1822), insegnante di filosofia presso l'Università di Bologna e, poi, titolaredella cattedra di "Agraria e Scienze Veterinarie" all'Università di Napoli; scrisse numerose opere, tutte nel campo delle riforme agrarie e dellamedicina veterinaria.




Palazzo Grossi, affresco.


A causa di una frana di vaste proporzioni, nel 1963, Craco fu evacuata el'abitato trasferito a valle, in località Craco Peschiera. Allora il centrocontava oltre 2000 abitanti. La frana, che obbligatò la popolazione ad abbandonarele proprie case, sembra fosse stata provocata da lavori di infrastrutturazione, fogne e reti idriche, a servizio dell'abitato.


Palazzo Grossi, affresco.


Ogni anno, il BasiliJazz, festival jazz che si tiene in Basilicata e richiama artisti da tutto il mondo, ha tra le sue tappe anche Craco.



Immagini realizzate da Gianfranco Caruso.

Brevi Cenni sull'olivicoltura calabrese.

È usuale, per chiunque si trovi a percorrere le campagne calabresi – cosi come quelle pugliesi e campane, aggiungerei – imbattersi in enormi distese di uliveti e agrumeti. È cosi forte la loro presenza nei nostri territori, che sovente ci si immagina che si tratti di "vegetazione spontanea"... Nulla di più errato!

Alla stessa stregua delle case non finite, le in-finite distese di terreni ulivetati sono il risultato di secoli di trasformazioni del territorio, il prodotto ultimo di quanto la mano dell'uomo sia riuscita a creare nel corso dei secoli. Il territorio "meridionale" è stato, almeno sotto l'aspetto botanico, plasmato dalle sapienti mani dei contadini. Quanto fin qui detto, non rappresenta semplicemente una mera curiosità, bensì è la dimostrazione concreta, palese e che ancora oggi perdura (salvo la squallida compravendita di cui sono oggetto i nostri “monumenti naturali”, che, di tanto in tanto, seguendo le nordiche rotte, abbelliscono qualche villa sul lago di Como) di come le nostre piante o, meglio, i loro frutti, dessero la possibilità al nostro Stato, sin dalla seconda metà del XVII secolo (l’era del capitalismo commerciale), di inserirsi nelle logiche commerciali del Vecchio Continente, intercettando gli sviluppi e le trasformazioni del mercato internazionale. Partendo dal gelso e dalla rinomata produzione serica, si arrivò alla coltura degli ulivi e, infine, degli agrumi. A differenza di quanto avveniva per la produzione di cereali, la piantumazione di alberi di ulivo giovò al territorio, sia per la crescente domanda dovuta all'incremento demografico, sia per garantire maggiore stabilità ai terreni vessati dalle fragili condizioni idrogeologiche.In Calabria, o meglio nelle Calabrie, l'espansione olivicola si diffuse rapidamente, creando delle zone ad alta specializzazione, come le aree di Gioia Tauro e Rosarno, giungendo, poi, fino alle pendici dell'Aspromonte. Anche sul versante Ionico, a Rossano e Cirò, si è assistito ad una prepotente ascesa di questa pianta, forte, resistente e longeva. La produzione di olio si accrebbe così notevolmente che, già a fine '700, si giunse, in qualche caso, a sorpassare il tradizionale e secolare primato pugliese. Secondo alcune fonti, a quell'epoca, la produzione olearia calabrese, arrivò da sola a rappresentare il valore pari a un terzo di tutta la produzione olearia del Regno.


Vincent van Gogh, "Ulivi con cielo giallo e sole" – "Oliviers avec ciel jaune et soleil" (1889) Minneapolis Institute of Arts 92,7 x 73,7 cm – Olio su tela


L'enorme produzione olearia delle Calabrie, viene analizzata da uno studioso, il Grimaldi, nei suoi "Studi statistici sull'industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra II", Stabilimento Librario-Tipografico di Borel e Bompard, Napoli 1845.



«Coltivazione estesa ed utile alla Provincia è quella degli ulivi: fu essa derelitta durante il decennio dal 1806 al 1815 (decennio francese, n.d.r.) talché gli uliveti, in parte, furono distrutti, e, in parte, vennero altrettanti boschi. Dopo quell'epoca, rianimato il commercio, si cominciò ad aver cura degli antichi uliveti, si fecero piantagioni novelle, ed attualmente pressocché in ogni sito sono progresso. Menonché in 14 comuni, da per tutto nella Provincia vien coltivato l'ulivo, del quale abbondano maggiormente le qualità dette ogliarole e rotondelle, che danno abbondante olio, e le celline, di cui se ne ottoene meno, ma di mogliore qualità [...]. In generale, di esse non si ha molta cura e si abbandonano alla propria forza di vegetazione [...]. La concimazione negli uliveti non si pratica da per tutto, e si esegue o facendovi dimorare le mandrie o mettendo letame in fosse fatte ai piedi degli alberi o soesciandovi il lupino.Perloppiù i terreni olivetati essendo seminati, non si fanno pegli alberi che quei lavori d'aratro o di zappa necessari al sottoposto terreno; e gli altri in cui si semina, si zappano in inverno, ogni 3 a 6 anni [...]. La potatura si fa inverno, in taluni siti non si esegue, in altri si fa male [...].La raccolta delle olive si fa generalmente quando queste son perfettamente mature, eccetto pochissimi proprietari che la eseguono pria di giungere a tal punto. Il frutto in parte si raccoglie da terra ed il rimasto sull'albero si fa cadere perticando i rami.Oltre il danno che dal sistema di abbattere e di raccogliere mature olive ne viene, vi è l'altro che deriva di tenerle pria della raccolta per circa un mese ammonticchiate e premute in luoghi sovente umidi e bassi [...]. I molini e i frantoi da olive, detti, volgarmente, trappeti, son difettosi. In fatti, la mola è larga un palmo e mezzo e con taglio poco aguzzo, per cui oltre ad essere pesante e di lento moto, richiede molta fatica per essere mossa e la triturazione delle olive non è ben fatta.Il prodotto dell'olio è di 19.523 botti, cioè cantaja 107.287 e rotoli 57 e 1/3, ed è poco men che raddoppiato nell'ultimo decennio, poiché, pria del 1835, il medio prodotto era di 10.623 botti; il prezzo di ducati 55 la botte. Finalmente gli uliveti può ritenersi che occupano 312.368 moggia del territorio della provincia, e sono nella maggior parte nel distretto di Catanzaro e nella minore, in quel di Crotone».


Come si evince dallo studio del Grimaldi, dopo la fase d'arresto del commercio all'inizio del XIX secolo, dovuto alle Guerre Napoleoniche, la crescita riprese negli anni a venire. La Calabria iniziò ad esportare sempre più olio, non solo nelle altre province del Regno, ma anche e soprattutto nei principali paesi europei. Il prodotto finito, il risultato del duro lavoro dei contadini calabresi era ricercatissimo dalle industrie del Nord Europa, specialmente dai saponifici di Marsiglia e dalle industrie tessili inglesi. Il cloth oil, l'olio per i panni, come veniva chiamato nelle lande anglosassoni, era destinato non al consumo alimentare, bensì utilizzato per la lavorazione dei tessuti nelle fabbriche e per la lubrificazione dei macchinari. Quindi, i difetti dell'olivicoltura calabrese dell'epoca, anche se da un lato, considerato lo sbocco commerciale che trovava comunque il prodotto (creando una sorta di circolo vizioso per cui da parte degli olivicoltori non v'era necessità di migliorare la qualità del prodotto) poteva giovare all'economia, col passare del tempo rappresentò un limite, specie quando la concorrenza dei paesi del Mediterraneo come la Spagna e il Maghreb, si fece più serrata, decretando la fine della stagione del grande primato calabrese durata quasi un secolo; secolo che, comunque, permise all'olio delle Calabrie di ritagliarsi uno spazio come protagonista di uno dei più grandi mutamenti che la Storia dell'Umanità possa ricordare.

Carlo Capocasale



NELLA FOTO: Vincent van Gogh, "Ulivi con cielo giallo e sole" – "Oliviers avec ciel jaune et soleil" (1889) Minneapolis Institute of Arts 92,7 x 73,7 cm – Olio su tela

Raggioni- Per le mercanzie che s'immettono dall'Inghilterra in questo Regno di Napoli. Il ricatto inglese

Verso la fine del 600 il console inglese Davies, faceva notare ai governanti Napoletani come tutta l'area mediterranea fosse in grado di offrire prodotti simili a quelli del Regno a prezzi migliori.

I mercanti inglesi trovavano conveniente esportare l'olio d'oliva dalle piazze "meridionali" solo perchè vi potevano vendere i loro panni di lana, per la cui manifattura lo stesso olio era acquistato.Il documento, accluso al dispaccio del console George Davies del 20 dicembre 1689, in State Paper Foreign, ci evidenzia a pieno il ricatto commerciale inglese.



Raggioni- Per le mercanzie che s'immettono dall'Inghilterra in questo Regno di Napoli



[...] le quattro case Inglesi che risiedono a Napoli, per non esserci altre in tutto il Regno, immettono nella Regia dohana, saie, scotti,scottini, panni,piomho,salume e altri sorte di mercantie di droghi, e altro, e pagando li diritti per quella Regia Dohana,facciasi il conto, conforme alli libri di essa si può riconoscere, che importano da docati novantamila l'anno, le quali mercantie, prohibendosi, sono perduti per la Retia Dohana[...]. Il prezzo delle suddette robbe, che dette quattro Case immettono in Regno, non solo non esce dal Regno, comprando aglio, vino, feccia, grano, sete e altro, e perché il ritratto di dette mercantie che immettono, non basta a pagare il prezzo della robba che estrahono,sono necessitati far entrare il denari, conforme fanno, facendo le tratte, cosî in Livorno, com'in Genova e Venetia. Osservandosi dalli contratti fatti per le compre d'aglio, che il prezzo, la metá pagani in tante polize di loro debitori, e spesse volte un terzo, e del restante ne fanno le tratte per le suddette piazze; onde il denaro delle loro robbe, che immettono, si vede, non esce dal Regno, ma anco ne fanno entrare... E osservasi i libri de Mezzani di cambii, che non trovará, che queste quattro Case inglesi pigliano à cambio da nessuno negotiante, má sempre traheno, e con il trahere, calano li cambii, perché quando vi sono lettere de cambiiper fuori ogni uno sa, ch é causa di calare li cambii.