venerdì 22 giugno 2012

Mameli ha letteralmente RUBATO l' inno

Riportiamo un interessantissimo articolo uscito su  La Stampa un paio di anni fa....

L'Inno rubato da Mameli

La polizia lasciava fare? Voglio dire: irruzioni nei caffè…?
Dopo il 30 ottobre «toute la population était dans la rue» scrive Costanza. Benché gli assembramenti fossero stati proibiti, le polizie avevano avuto istruzioni di lasciar fare. Gruppi di moderati, coordinati da Roberto d'Azeglio, andavano in giro a prevenire incidenti, vigilando specialmente sulle sedi dei gesuiti e della legazione austriaca. Un ordine auto-gestito.
Le ronde.
Chiedevano infatti, e lo consideravano un elemento di libertà, la Guardia civica, proprio come a Roma. Problemi di ordine pubblico ce n'erano soprattutto a teatro, dove gli spettacoli non si potevano portare a termine perché alla minima battuta vagamente interpretabile in senso patriottico, e magari scritta dall'autore senza intenzione, il pubblico scattava in piedi, partivano i cori e gli sventolii dei drappi. «Si previene il Pubblico che resta assolutamente proibita qualsiasi clamorosa dimostrazione, come pure di cantare inni, introdurvi bandiere, fischiare o prolungare gli applausi da interrompere il corso delle rappresentazioni»: così, inutilmente, la direzione del Regio, la vigilia di Natale.

Che bandiere agitavano?
L'azzura coccarda di Savoia e il tricolore. Il tricolore era fonte di risse. Non piaceva a Carlo Alberto e alcuni patrioti lo consideravano un vessillo di schiavitù.

Perché?
Perché l'aveva inventato Napoleone, del quale era corretto dire che avesse reso l'Italia schiava… Però Napoleone, mentre faceva schiava l'Italia, aveva pure reso possibile la nascita della "Repubblica Cisalpina…" o della "Repubblica Cispadana…". Il tricolore simboleggiava Napoleone o le repubbliche? Avevano ragione questi e quelli.

E "Fratelli d'Italia"?
Aldo Mola ha dimostrato che non è di Mameli, ma del padre Canata. L'inno è troppo colto per essere di quell'ignorantello di Goffredo. Vi si allude alla repressione austriaca in Galizia, all'episodio del Balilla festeggiato con le luminarie nel '46… Sarebbe stato composto negli stessi giorni in cui Goffredo scriveva alla madre «Mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla» (15 ottobre 1847, da Novi Ligure, dove era in attesa della visita di leva).

E questo padre Canata si sarebbe fatto scippare l'inno?
Mameli morì a vent'anni nella difesa della Repubblica romana. Come sputtanarlo a quel punto? Canata - un prete giobertiano, un cattolico liberale - si sfogò senza far nomi in certi versetti: «A destar quell'alme imbelli / meditò robusto un canto; / ma venali menestrelli / si rapian dell'arpe il vanto…». Michele Novaro ricevette il testo rubato da Mameli in casa di Lorenzo Valerio e, al momento di musicarlo, era così emozionato che rovesciò la lucerna danneggiando l'originale. Che infatti non c'è più. Lo cantarono per la prima volta a Genova, durante le manifestazioni di quel dicembre. Faceva arrabbiare i reazionari allo stesso modo di "Bandiera rossa" sessant'anni dopo.

Come mai proprio a Genova?
Il re era rimasto a Genova per tutto il mese di novembre (siamo sempre al novembre del 1847, in cui si preparava il primo numero del "Risorgimento"). A Genova c'era addirittura più fermento che a Torino. Costanza racconta che i genovesi, scordandosi completamente il vecchio odio per Torino e il Piemonte, s'inginocchiarono addirittura a centinaia davanti a Carlo Alberto, gridando: «Maestà, amnistia per i fratelli esigliati», al che il re piangendo rispose: «Ci penso, figli, ci penso». Aggiunge Costanza: «Tout le monde pleurait».

Chi è "Costanza"?
Costanza d'Azeglio, moglie di Roberto e cognata di Massimo. Era la sorella di Cesare Alfieri. Aveva l'unico figlio Emanuele diplomatico a Pietroburgo. Gli scriveva le novità. Raccontò anche dell'accoglienza trionfale riservata al re alla fine del mese, al rientro a Torino, e dell'agitazione generale che non cennava a placarsi. «On parle, on va, on remue, on aborde, on se réunit» nonostante che il governo (anzi «le Gouvernement») implorasse: «Più di canti, più di suoni, or bisogno più non ho».

È un’epoca in cui si parla solo in versi.
Ci interessa Genova. Traduciamo Costanza: «A Genova succedono fatti gravi, che imbarazzano il Governo e rattristano quelli che credono la forza consistere solo nell'unione e nella legalità. Ci sono in questa città dei partiti che, senza essere abbastanza forti per prendere il sopravvento, mettono in agitazione l'opinione pubblica. Una frazione è costituita dai mazziniani. Costoro sostengono solo quello che il popolo può ottenere con la violenza e detestano qualunque concessione fatta dall'alto; un'altra frazione è formata dai patrizi che sognano il ritorno di cose impossibili; poi i gesuiti, che resistono a qualunque misura di modernizzazione; quindi le spie, che istigano ai tumulti, spedite qui dalle potenze straniere. A questi si deve aggiungere una quantità di forestieri, gente accecata, sbandati, che si ingaggia a buon mercato ed è pronta a tutto. Costoro nei giorni scorsi sono stati mandati a far cagnara contro i gesuiti, i quali son sempre pronti a mettersi di traverso sulla via nuova che il governo intende intraprendere. Una contestazione formidabile, si parla niente di meno che di dar fuoco ai conventi…».

gda@vespina.com

TRATTO DA LA STAMPA



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