martedì 20 settembre 2011

Commercio Equo e Meridionale



Ottimo articolo tratto dal Blog di Michele Nigro


ovvero
Come realizzare la vera secessione
Si sente spesso parlare, soprattutto a sproposito, di “secessione” da parte di personaggi politici discutibili, bavosi e grotteschi che usano lo spauracchio minaccioso della divisione tra nord e sud solo ed esclusivamente per motivi populistici e non certamente politici. Una vera e propria secessione, in pectore, non la vuole nessuno: soprattutto non la vogliono quei politici-imprenditori vestiti di verde che la tirano fuori durante i comizi per eccitare l’elettorato. Molti credono che secessione sia sinonimo di “nuova cortina di ferro“; pensano che ci si riferisca alla costruzione di una moderna linea Gustav con tanto di guardia padana armata fino ai denti e a sua volta controllata a vista da una altrettanto agguerrita sentinella della Lega Sud pronta a difendere il Nuovo Regno delle Due Sicilie dalla calata dei Nibelunghi. Niente di tutto questo, tranquilli.
SOLO NOI MERIDIONALI POSSIAMO INSEGNARE AI PADANI COSA SIGNIFICA FARE UNA VERA SECESSIONE! Una “secessione dal basso” – parafrasando Gramsci – ovvero dal Sud.
Una secessione culturale e commerciale
La vera secessione è e deve essere un’altra: dovremmo avere il coraggio e la costanza, noi meridionali troppo spesso utilizzati in chiave comica nelle varie pubblicità create dalle major televisive del Nord (come se fossimo i giullari della corte televisiva italiana), di attuare l’unica, vera, realistica, non-violenta, intelligente e proficua secessione. “Giullari della pubblicità”, i vari napoletani, calabresi e siciliani usati durante certi spot commerciali, che hanno l’ingrato compito di aprire “canali linguistici” tra il produttore settentrionale e l’ “indigeno” del meridione da ‘evangelizzare’, consumisticamente parlando. Un richiamo ipocrita a una fantomatica Unità d’Italia, a una “fratellanza inter-dialettale”, che serve solo quando bisogna diffondere un nuovo marchio o una nuova idea commercialmente redditizia e che non deve conoscere confini.
Impariamo a leggere le etichette
La cosiddetta “spesa”, quella che fanno le casalinghe, i padri di famiglia o anche gli acquirenti single, purtroppo è diventata, come già è successo a tante altre attività dell’umano vivere, un momento veloce, nevrotico, privo di qualità. La corsa contro il tempo è un imperativo che non risparmia nemmeno uno dei momenti più importanti della nostra vita: la scelta del cibo che introdurremo nel nostro apparato digerente.
Dovremmo prenderci del tempo, invece, per leggere ATTENTAMENTE le etichette dei prodotti alimentari (e non solo di quelli) prima di metterli ciecamente nei nostri carrelli metallici quando andiamo al supermercato. Lo so: la maggior parte delle informazioni contenute sulle etichette, quelle che servono al consumatore per FARE LA DIFFERENZA, sono scritte in piccolo e la persona di una certa età con problemi di vista, come anche il giovane che va sempre di fretta e non è interessato a certi argomenti, non ha la pazienza per leggere le varie scritte microscopiche sul retro dei prodotti che acquista.

Bisognerebbe avere il coraggio di dire che queste informazioni non sono sacrificate per motivi di spazio sulla confezione ma semplicemente perché è necessario fornire una minore “comodità conoscitiva” al consumatore. E questo “oscuramento dei dati” dovrebbe rappresentare, invece, il contro-motivo per effettuare una lettura minuziosa delle etichette: anche a costo di andare in giro tra gli scaffali del nostro supermercato preferito, armati di lente d’ingrandimento.
Prodotto da…
Una volta vinta la “sfida ottica” lanciata dall’etichetta, andiamo alla ricerca del PRODUTTORE. Generalmente per sapere chi ha prodotto il cibo che intendiamo acquistare (mi limito all’esempio alimentare perché gli alimenti sono, come è facile intuire, i prodotti che maggiormente condizionano le nostre abitudini quotidiane in qualità di consumatori, ma come vedremo più avanti la scelta può e deve essere estesa a TUTTI gli altri prodotti, consumabili e non) basta andare alla ricerca sull’etichetta di diciture del tipo: “Prodotto da…”; “Prodotto e confezionato da…”. In altri casi troveremo solo il brand del produttore (ovvero il marchio) seguito dall’indirizzo civico dello stabilimento in cui avviene la produzione. Non dobbiamo confondere il Produttore con il Confezionatore e il Distributore: nella maggior parte dei casi le tre fasi della catena commerciale (produzione-confezionamento-distribuzione) sono affidate a tre figure distinte. A noi interessa “colpire” il Produttore. I “danni” sul Confezionatore e sul Distributore saranno una intuibile conseguenza.
Una volta individuata l’origine geografica del nostro prodotto, scegliamo se realizzare o meno la nostra piccola, silenziosa, apparentemente insignificante, SECESSIONE COMMERCIALE. Noi consumatori meridionali dovremmo scegliere in quel preciso istante se mettere o meno nel nostro carrello l’oggetto alimentare proveniente (cioè fabbricato, prodotto, realizzato, costruito, sfornato…) da una delle regioni appartenenti al meraviglioso, impeccabile, civilissimo, paradisiaco, trainante, incompreso, fiero territorio della cosiddetta Padania.
Il potere della scelta: un potere che abbiamo dimenticato perché un po’ alla volta siamo diventati come tante pecore belanti, senza dignità, senza cervello, senza storia, senza capacità di discernimento.
Non solo politica
Scegliere prodotti meridionali al posto di prodotti provenienti dalla Padania, non significa solo dare indirettamente una sorta di “schiaffo morale” a chi va dicendo in giro dalla mattina alla sera, in televisione o nei raduni campestri, di essere stanco di fare la parte del motore economico del paese, ma è soprattutto un modo, il più semplice e secondo me il più intelligente, per favorire lo sviluppo dell’economia di una zona d’Italia da sempre fanalino di coda della penisola. Dal momento che i padani sono stanchi di sopperire alle nostre mancanze in campo sociale, economico e ultimamente anche nell’ambito dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, cerchiamo noi meridionali di realizzare nei fatti e non solo a parole LA VERA SECESSIONE. Dimostriamo concretamente la nostra insofferenza in qualità di consumatori di prodotti provenienti dall’attivissima Padania.
Invece di acquistare, ad esempio, la pasta di qualche famoso e fin troppo pubblicizzato marchio del nord, noi meridionali dovremmo sforzarci di andare alla ricerca e comprare solo ed esclusivamente (vita natural durante) prodotti provenienti da pastifici del Sud… E gli esempi, lo capite benissimo da soli, potrebbero essere innumerevoli e non limitati al “prodotto pasta” o ad altri alimenti ma estendibili anche a tutti gli altri beni di consumo prodotti al Sud.
Qualcuno potrebbe giustamente obiettare dicendo: “E se si tratta di prodotti provenienti dal Sud ma fabbricati in stabilimenti di proprietà di investitori o di industriali del Nord?” In quel caso, amici miei, bisognerebbe dare la precedenza all’emergenza OCCUPAZIONE – visti i tempi! – e favorire altri lavoratori meridionali che altrimenti sarebbero costretti a emigrare o a rimanere disoccupati. Senza dimenticare contemporaneamente che favorire merce meridionale, prodotta da imprenditori meridionali, in territorio meridionale, significa anche invertire un certo andamento occupazionale di tipo “assistenzialistico” e agevolare la nascita e lo sviluppo di altre sedi lavorative nel Sud, da parte di industriali del Sud.
C’è poi anche una buona motivazione ecologico-produttiva: acquistare prodotti provenienti dalla Padania significa aver bisogno di trasporti lunghi (soprattutto su gomma), significa causare inquinamento dovuto ai mezzi di trasporto, significa un inutile spreco di energia in generale e un consumo di carburante in particolare… Di conseguenza aumento del prezzo sul prodotto finale. Un aumento pagato dal meridionale e incassato dall’insoddisfatto e razzista industriale padano che vota Lega Nord ma che non disdegna di mandare i propri prodotti nel tanto odiato Sud.
Perché dovremmo continuare ad agevolare questo sistema?
Io compro meridionale
Dagli spaghetti alla carta igienica, dalla lavatrice al materasso, dal libro alla bicicletta, dalle scarpe ai fazzoletti di carta per soffiarci il naso… Siamo da sempre convinti che ‘produzione’ sia sinonimo di ‘Nord Italia’, ma non è così. Questa errata convinzione nasce dalla disinformazione (e non solo in questo campo) del meridionale medio: pensiamo che esistano solo i prodotti che vediamo pubblicizzati sulle reti televisive e che intorno a questi ‘grandi marchi nordici’ esista il Vuoto. Ma, ripeto, così non è!

E la cosa che fa più rabbia è che sappiamo in cuor nostro che non è così: tuttavia, come tante pecore pigre, continuiamo a comperare i prodotti che ci sbattano sotto il naso tutti i giorni durante i cosiddetti “consigli per gli acquisti”. I veri consigli per gli acquisti dovrebbero, secondo me, somigliare alla encomiabile campagna pubblicitaria fatta dal movimento per il Commercio Equo e Solidale. Solo che bisognerebbe ribattezzare questa nuova azione pubblicitaria pro-Sud con il nome di Commercio Equo e Meridionale. Qualcuno c’ha provato molto seriamente a fare una cosa del genere e compiendo una ricerca meticolosa – come nel caso del gruppo “Briganti” - e invito tutti a leggere attentamente il seguente elenco in cui sono indicati moltissimi prodotti provenienti da realtà economiche meridionali.
Si tratta di un elenco, sicuramente incompleto – anche se in continuo aggiornamento proprio grazie al lavoro del gruppo “Briganti” - e che ognuno di noi potrà completare grazie alla personale esperienza in qualità di consumatore, di PRODOTTI MERIDIONALI facilmente reperibili nei nostri negozi sotto casa o nei supermercati del Sud. L’elenco, come dicevo, è sicuramente incompleto perché la realtà produttiva del Sud è più vasta di quanto si pensi, ma ci dà un’idea di come la pubblicità inganni quotidianamente l’ignaro consumatore meridionale. Capisco che in una società globalizzata, omologata e culturalmente diluita come la nostra, chiedere un tale sforzo discernente, una precisa scelta discriminante, è da pazzi! Ma è solo una questione di abitudine: così come “meccanicamente” chiudiamo a chiave la porta di casa quando usciamo anche se poi non ce lo ricordiamo, allo stesso modo dobbiamo sforzarci di disimparare vecchi schemi imposti dalla Pubblicità per acquisire NUOVE ABITUDINI che con il tempo diventano Cultura.
Da decenni politici ed elettori che inneggiano al federalismo fiscale, “campano” (nel senso di ‘vivere’) sull’ignoranza dei meridionali che, ulteriormente anestetizzati dalle tv commerciali di Berlusconi, hanno dimenticato ciò che sono e soprattutto ciò che hanno sotto casa!
Il mio non è uno “spottone” anti-settentrionalista: commetterei lo stesso errore di quei padani che apertamente critico in questo post. Molti meridionali hanno assicurato un futuro a se stessi e ai propri figli proprio grazie al lavoro offerto dalle grandi industrie del Nord. Ma credo anche che, considerando soprattutto l’attuale clima politico italiano, sia giunto il momento per noi meridionali di cambiare mentalità e di fare delle ben precise scelte economiche, commerciali e culturali.
Perché, per fare una bella “rivoluzione”, non è mai troppo tardi!



TRATTO DA: http://michelenigro.wordpress.com/2011/09/18/commercio-equo-e-meridionale/

mercoledì 7 settembre 2011

L’unità d’Italia: Pianificazione di una lunga rapina



L’Italia dei Borbone in Europa era una potenza Navale e mercantile, la
Capitanata con il Tavoliere delle Puglie era il granaio d’Italia, la Terra
d’Otranto rappresentava una produzione olivicola e viti vinicola che
soddisfava il fabbisogno nazionale, nella Terra di Lavoro e Terra di Bari
era concentrato il meglio dell’industria nazionale, le città di Napoli e
Palermo erano tra le più importanti in Europa. Napoli vantava diversi
primati quali i cantieri navali, acciaierie, oltre ad altri primati in Europa
in tutti i campi dello scibile umano. Il ducato rappresentava in Italia la
prima moneta per valore e per stabilità, basti sapere che la ricchezza del
Sud era stimata in un miliardo e duecento milioni di ducati, la
circolazione di monete in oro ed argento pari a 443,20 milioni di ducati
mentre negli altri stati complessivamente circolava meno della metà.
L’economia in generale era florida e la nascente industrializzazione ed il
capitalismo si svilupparono su regole certe, la tassazione addirittura
prevedeva solo due tasse; importantissima la prima forma di previdenza
per la pensione introdotta da Carlo III di Borbone nella seconda metà del
‘700 accantonando il 2% della paga.
A Carlo III e al Ministro Tanucci si devono le basi per una moderna
gestione della cosa pubblica, eliminò gli armigeri dei baroni e istituì la
guardia nazionale, si scontrò con giudici e notai per riformare giustizia e
cessione di beni regolate da leggi arcaiche.
Il regno di Piemonte versava in una grave crisi economica, il debito
pubblico alle stelle, tasse e imposte gravavano sulla parte più debole
della società; i Lombardi particolarmente i Milanesi non gradivano i
Savoia in quanto conoscevano le condizioni e l’avidità dei governanti e
lo stato sociale.
Le menzogne raccontate alla storia sostenevano che il male era il Sud che
i Savoia avrebbero liberato i popoli del Sud dal giogo dello straniero
dimenticando che anche la casa Savoia era straniera originaria di
Francia; tuttavia la classe politica dirigente filo massonica era coadiuvata
da ministri di origine per lo più Meridionale: Giuseppe Massari (nato a
Taranto) segretario di Cavour biografo di Vittorio Emanuele II, James
Lacaita (nato a Manduria) massone ufficiale di collegamento con i lord
inglesi poi senatore del Regno d’Italia, Liborio Romano (spergiuro
napoletano) ministro della difesa dei Borbone contribuì alla caduta del
Regno delle Due Sicilie scambiando il ritiro dell’esercito borbonico
all’avanzare delle truppe garibaldine per un posto di senatore nell’Italia
unificata.
La necessità dell’unificazione si ricerca nel ripianamento del grave
debito di casa Savoia per le guerre finanziate nel corso degli anni; essi
disponevano di un esercito guidato da inetti e servili in litigio perenne
per cui preferirono pagare pur di non ottenere l’ennesima sconfitta.
Lord Palmerston e Lord Gladstone due simpatici massoni diffusero
notizie false in tutta Europa denigrando il Regno delle Due Sicilie come
negazione di Dio; incaricarono i Savoia per la distruzione del Regno del
Sud.
Nel primo decennio post-unitario le condizioni del meridione
diventarono insostenibili e disastrose per la politica razzista, violenta ed
egoistica dei Savoia i quali fecero razzia di tutto, dal Banco di Sicilia al
Banco di Napoli, depredarono le casse comunali, chiese, fabbriche,
ferrovie, marina militare e mercantile, estesero la leva militare
obbligatoria a cinque anni distruggendo l’agricoltura e le famiglie che la
praticavano togliendo manodopera, scambiarono l’oro e l’argento del
ducato con carta straccia chiamata lira in uso fino a pochi anni fa.
Eroi del Sud chiamati spregiativamente dai falsi storici BRIGANTI si
ribellarono alla vessazione del nuovo Stato e alle violenze dell’esercito
pagando con la vita il coraggio di opporsi alle barbarie savoiarde.
Subirono lo stupro e la violenza delle persone più care, furono derubati
di tutti i beni e violentati nel fisico e nello spirito, addirittura una volta
massacrati i cadaveri venivano vilipesi con la decapitazione e
l’esposizione nei pressi di uffici comunali o porte del paese.
In realtà a differenza di quanto contenuto nei libri di storia o di quello
che si è voluto far credere, il brigantaggio nasce come fenomeno sociale,
a difesa dalle angherie e del proprio territorio natio così come ogni
uomo dotato di puro cuore farebbe.
Il coraggio, l’ardore di questi uomini del Sud fu spezzato con la
deportazione in veri e propri lager come quello di Fenestrelle in cui i
“terroni” depredati denigrati e martoriati diedero la propria vita.
Claudio Quarta




Tratto da:A.S.C.A.M. Associazione per lo Sviluppo della Cultura e dell'Arte Merinarum
Bollettino Marzo 2009