lunedì 30 giugno 2014

Il gesto delle corna: antico, moderno e rock

Comunissimo, nella nostra millenaria cultura, è il gesto delle corna.
Esso consiste nel sollevare verso il cielo l’indice ed il mignolo.
Questo gesto è apotropaico poiché, nel suo significato più comune, ha come scopo quello di esorcizzare, scongiurare o allontanare il malocchio e la malasorte.
Il primo a presentare uno studio sociologico su questo gesto fu Andrea de Jorio, un archeologo ed etnologo originario di Procida che, nel 1832, ha messo in luce le similitudini della gestualità tra gli antichi ed i napoletani, descrivendo anche i diversi modi di fare le corna.
Il gesto delle corna è comunemente usato anche per dare conto di un reale o presunto tradimento. Il coniuge tradito è cornuto. Questo significato riconduce, in modo immediato, alla storia del Minotauro, l’ibrido mezzo uomo e mezzo toro, concepito a seguito dell’infedeltà della regina di Creta Pasifae che innamoratasi del Toro di Creta, tradì Minosse rendendolo appunto cornuto.
I napoletani usano il gesto anche per definire il carattere di bambini particolarmente vivaci, precoci e furbi.
Un gesto così antico è al tempo stesso modernissimo, tanto da essere connaturato all’iconografia del rock.
Il primo ad utilizzare le corna su un palco, durante il concerto dei Balck Sabbath, e dunque in linea con i temi mistici ed esoterici del gruppo, fu Ronnie James Dio. Il musicista  dichiarò di aver appreso e imitato il gesto dalla nonna siciliana che lo utilizzava per allontanare il male. A partire da quel concerto del 1980 il gesto delle corna resta ad oggi, il più diffuso segno di riconoscimento tra i fans dell'heavy metal. 

Francesca Di Pascale



In foto: Ronnie James Dio

lunedì 23 giugno 2014

Sud e trasporti: ma non ce lo chiede l'Europa?!

È difficile arrivare al cuore del Sud Italia. Più scendi giù lungo lo stivale e più diventa complicato spostarsi, anche solo da un paese all'altro. Eppure la parola "infrastruttura" proietta automaticamente il pensiero a progetti grandiosi, mastodontici, alla Tav piuttosto che al ponte sullo stretto (e quanto è inflazionata questa parola!). La tv ha fatto credere agli italiani che sono tutti un po' più vicini e che il problema principale non sia arrivare da Roma a Reggio Calabria ma da Torino a Lione. I problemi si tende a considerarli risolti con grande facilità, un po' come quando per mesi, parlando con chi vive e respira lontano da Taranto, scoprivi quanto fossero convinti che i decreti salva Ilva avessero risolto il dramma della città. È la forza dei media, perché se di un problema smette di parlarne la tv viene considerato automaticamente risolto. O forse è solo l'estremo tentativo del cervello umano di autodifendersi dalla frustrazione.

Chi viaggia, però, gli occhi chiusi non può tenerli. Se vuoi da Taranto raggiungere la Calabria, o "puntare" il nord, il viaggio è troppo lungo per far finta di nulla. Non riesci più a bluffare con il tuo cervello. È quando tocchi con mano i problemi che non puoi più prendere in giro te stesso. Inizi a chiederti se nell'Italia delle frane, che scorre lungo il tuo finestrino, il più utile degli investimenti non possa essere nelle infrastrutture primarie, nelle strade, nelle ferrovie, negli aeroporti e nella messa in sicurezza del territorio. Che forse, prima di pensare a chi deve vincere le gare d'appalto per l'Expo di Milano, sia il caso di trovare un impiegato che tenga aperta la stazione ferroviaria di Crotone. È la più "tecnologica" del mondo, nel senso che esiste solo una macchinetta self service che stampa i biglietti (e che spesso è rotta...).

Vignetta di Salvatore Andrea Impagliazzo
Vignetta di Salvatore Andrea Impagliazzo

L'Italia che corre a due velocità lo fa anche sulle rotaie e la logica manageriale, forse la più corretta da un punto di vista economico, accentua ogni giorno di più le differenze. Al sud puoi trovare ancora treni alimentati a gasolio; in Calabria può capitarti di pagare il biglietto per un intercity e ritrovarti a tutti gli effetti su un regionale (così però il servizio lo garantisce lo Stato, la Regione non avrebbe le risorse). Se deve essere potenziata una tratta in funzione del numero di passeggeri giornalieri, diventa inevitabile che chi usufruisce già di un servizio efficiente possa ottenerne uno ancora migliore; chi, invece, rinuncia al trasporto pubblico perché stanco di viaggi estenuanti, è destinato a vedere tagliate le tratte e chiuse le stazioni. Ma chi dovrebbe invertire questa tendenza? Chi dovrebbe limitare l'incidenza dell'economia in scelte che prima di tutto sono sociali e stregiche? Sicuramente la politica. Scegliere di far arrivare o meno la gente al sud non può essere deciso guardando solo i numeri. Se fosse così le istituzioni democratiche non servirebbero più, 4-5 economisti potrebbero da soli muovere i fili dell'intero Stato (sempre che non lo facciano già). Ed è incredibile che a ricordarlo all'Italia, seppure indirettamente, sia l'istituzione che per antonomasia viene additata come schiava degli economisti e nemica della politica: l'Europa.

C'è un passaggio nella "pagellina" consegnata da Bruxelles al Governo italiano che è passato inosservato ai più (chissà perché). Si è focalizzata l'attenzione esclusivamente sugli appunti relativi al debito e ai dati economici, importanti ma non esaustivi di tutto ciò che in realtà chiede l'Unione Europea. Nel documento, infatti, si fa riferimento anche ai trasporti e alle disuguaglianze nord-sud nonostante, nel complesso, gli investimenti a livello italiano risultino ancora considerevoli. Così si legge (tratto da Il fattoquotidiano.it, 2 giugno 2014): "ll settore presenta ancora importanti debolezze. La lunghezza della rete rapportata al numero di abitanti è tra le più basse dell’Unione mentre il tasso di utilizzo è tra i più alti. A dispetto di un tasso di investimento infrastrutturale sopra la media Ue, in alcune regioni – in particolare al Sud – rimangono colli di bottiglia. E la soddisfazione dei consumatori è tra le più basse dell’Unione”. Quando la politica abdica al proprio ruolo è l'economia a prendere il sopravvento ed il risultato è che si perde il controllo dello sviluppo, o del non sviluppo, di un intero Paese. Sono gli affari a decidere dove deve crescere un fiore e dove no, non più una strategia pianificata e l'Unione Europea ci ricorda che dovrebbe essere il contrario.

Eppure non è stato sempre così. Fu una scelta politica la realizzazione della Salerno-Reggio Calabria. Un progetto controverso che ha palesato tutte le contraddizioni di questa malandata Italia; un costo enorme e lavori, di fatto, ancora non conclusi. Qull'autostrada, però, con tutti i suoi limiti, è stata indispensabile per quella seppur minima crescita del sud. Pensate cosa sarebbe stato del meridione senza quell'importante opera; pensate alle conseguenze di un isolamento totale della Sicilia e della Calabria dal resto d'Italia. Nonostante i costi, nonostante tutto, nessuno di buon senso riterrebbe oggi che investire in una autostrada al sud sia stata una scelta sciagurata. Il problema è come lo si è fatto, non l'obiettivo finale. Eppure la SA-RC è stata frutto di una scelta politica tutt'altro che scontata e che andava contro chi tentava di imporre la legge dei numeri e della calcolatrice. Un territorio agricolo non ha bisogno di strade, diceva più di qualcuno. Un po' come chi oggi sostiene che un territorio con pochi passeggeri (ma con un potenziale straordinario se il servizio fosse decente) non ha bisogno dei treni.

Eppure pensate a quante maggiori risorse economiche sarebbero giunte a Taranto se, in occasione del concerto dell' 1 maggio, centinaia di persone che volevano raggiungere il capoluogo ionico non si fossero sentite rispondere che usare i mezzi pubblici sarebbe stata una impresa (tanto per fare un piccolo ma significativo esempio). La battaglia politica dei parlamentari del sud per realizzare la SA-RC, guidati dall'allora Ministro ai Lavori Pubblici Giacomo Mancini, ha permesso di unire il Paese. Oggi nessuno batte i pugni sui tavoli per salvare le tratte ferroviarie che di anno in anno vengono ridotte da e per il meridione. Eppure anche questo ci chiederebbe l'Europa.

Gianluca Coviello