sabato 10 gennaio 2015

Il popolo napoletano ed i suoi figli

Il popolo partenopeo ha sempre saputo onorare i suoi figli. La riconoscenza e l'amore non sono mai mancati a chi alla città ha offerto con generosità la propria arte, a chi la città ha saputo dipingere con dedizione e senza pregiudizio. Abbiamo ancora negli occhi le immagini del popolo fiero, composto e commosso che saluta Pino Daniele per l'ultima volta, in una piazza divenuta chiesa e sotto un cielo anch'esso in lacrime. Ma Napoli non è nuova a simili manifestazioni. In questa rara foto del 1925, la città saluta ancora commossa, attonita e composta un altro grande suo figlio, Eduardo Scarpetta. Nella poesia che lasciò agli eredi come testamento, il commediografo scrive: "Appriess a me non voglio commediante pecchè so sempre fauze e cuollo stuorto, e cierti vvote vann' appriesso 'o muorto rerenne e rusecanne tutte quante. Voglio che appriess' a me sortanto vene 'o popolo che m'ha voluto bene!"

Francesca Di Pascale

giovedì 8 gennaio 2015

Aliano 2015: l’anno di Carlo Levi



“La Lucania mi pare più di ogni altro, un luogo vero, uno dei luoghi più veri del mondo. Qui ritrovo la misura delle cose le lotte e i contrasti qui sono cose vere, il pane che manca è un vero pane, la casa che manca è una vera casa, il dolore che nessuno intende un vero dolore (Carlo Levi)”

Oggi girando per Aliano, in provincia di Matera, sembra di sentire l’eco dei “capitoli” del libro di Levi, ogni angolo ed ogni casa del borgo creano una sensazione quasi favolistica di un corpo che diventa entità e ritrova il suo posto all’interno delle pagine di un libro.
veduta di Aliano

Tutti i luoghi descritti da Levi sono stati acquisiti dal Comune che ha creato un specie di paese-museo, non solo i luoghi simbolo ma anche tutti i documenti cartacei originali.
Un paese-museo che a gennaio del 2015, in occasione del quarantesimo anniversario della sua morte, ha aperto ufficialmente “l’Anno Leviano” che prevederà tantissime iniziative legate allo scrittore.
funerali di Carlo Levi ad Aliano

Era il 4 gennaio del 1975 quando moriva Carlo Levi chiedendo espressamente di essere seppellito “tra i suoi contadini” ad Aliano.
Spesso gli esseri umani vengono “folgorati”, durante il cammino della loro vita, da qualcosa di unico, stupendo ma anche misterioso e antico.
Carlo Levi incontrò nella sua vita la durezza delle leggi fasciste ed il confino, ma quasi come una “legge del contrappasso” di dantesca memoria, il regime, anziché creargli un danno, gli donò una nuova vita. E gli fece riscoprire la sua anima. Levi toccò con mano la cultura lucana, la sua gente e ne rimase appunto “folgorato”.
Oggi la “sua” Aliano è molto diversa, e nel contempo identica a quella che conobbe durante il confino.

Diversa nelle infrastrutture, anche se le strade sono ancora le stesse e i mezzi pubblici sono di meno di 80 anni fa; diversa nel fatto che al posto di muli e carretti ci sono automobili ed autocarri; diversa nelle tecnologie e  tecniche agricole e nel fatto che gli anziani adesso hanno il “passatempo/spegni cervello” della tv. E poi mentre allora la malaria era uno dei mali che affliggevano la Val D’Agri e i suoi abitanti, oggi sono le compagnie petrolifere che fanno ammalare ed hanno distrutto e continuano a distruggere quei paesaggi così belli da ispirare tutti i quadri dello scrittore.

Ma allo stesso tempo identica nella cultura; nella lontananza da uno Stato che è più un “patrigno crudele” che un “padre amoroso”; nell’emigrazione dei suoi migliori figli e negli usi e costumi.
Identica a quel romanzo, “Cristo si è fermato ad Eboli”, che ha acceso i riflettori su un popolo ed una terra che dopo l’unità d’italia (scritto volutamente in minuscolo) divenne una colonia del “nuovo stato” e che tuttora perdura. Identica in tutte le sfaccettature antropologiche che Levi trovò quando vi soggiornò.

la casa-museo di Carlo Levi

Quindi un anno pieno, ma soprattutto un anno in cui si respirerà, per i vicoli del paese, quell’identità lucana che ne crea l’indole. Quell’ identità spiegata così bene dallo scrittore Andrea Di Consoli, il quale parla di 3 distinti miti ispiratori: Carmine Donatelli Crocco, che rappresenta l’anima rabbiosa, vendicativa e ribellistica; Francesco Saverio Nitti che ritrae quella lucida concreta e razionalistica e infine Carlo Levi che esprime l’essenza lirica, mito-poetica e orfico-religiosa.
 

Valerio Rizzo






"[...]Infine la terza e ultima fu quella dei briganti: i contadini non avevano cannoni come "l'altra Italia" che li stava sottomettendo, ma avevano la rabbia dovuta alla povertà, all'emigrazione, all'ingiustizia sociale che il nuovo stato savoiardo stava perpetrando nelle terre meridionali - Carlo Levi -”