Da ragazzino pensavo che se un Sacerdote piemontese aveva deciso di istituire opere di misericordia e di carità per gli scugnizzi del sud già a fine ottocento, ciò confermava che le problematiche sociali per i giovani dei nostri luoghi esistevano da sempre (come mi confermavano anche i libri sui quali studiavo).
Poi ho scoperto che Don Bosco già molto tempo prima aveva i suoi scugnizzi; solo che erano ragazzini piemontesi e si chiamavano “gugnin”, ed erano un’enormità per le vie di Torino, viste le condizioni di miseria e degrado in cui versava il popolo savoiardo.
E’ infatti da questo termine piemontese “gugnin” (monello) che deriva il napoletano “scugnizzo”.
Tuttavia, aver capito che i libri di scuola mi stavano imbrogliando, mi ha fatto anche apprezzare la figura di questo Santo, che ha amato e si è impegnato tutta la vita per ogni ragazzo come se fosse l’unico; “gugnin” o “scugnizzi”, bianchi o neri, ricchi o poveri che fossero erano tutti i Ragazzi di Don Bosco.
Oggi sono un volontario dell’associazione P.G.S. Stabia. Siamo quel che resta dell’ex oratorio salesiano San Michele di Castellammare di Stabia.
La nostra attività di volontariato sociale è rivolta al recupero di minori (e spesso anche adulti) a rischio dei nostri quartieri, in particolare del centro storico e di Scanzano, in collaborazione con la Parrocchia del SS.Salvatore a noi vicina.
Tale attività è ispirata alla vita, alle parole e alle opere di San Giovanni Bosco, ed al Suo fiducioso, smisurato e infinito amore per i giovani.
I RAGAZZI DI DON BOSCO a Castellammare oggi sono tanti, anzi troppi,ma sono bellissimi; e sono ovunque ma li incontra solo chi li vede; e sono maleducati ma per salutarti ti saltano addosso e ti danno un bacio; e non vanno a scuola ma non è mai stata una scuola fatta per loro; e se è vero come diceva Don Bosco che “… chi sa di essere amato ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Non basta amare i giovani; occorre che loro si accorgano di essere amati”.
In qualità di volontari della P.G.S. Stabia promuoviamo lo “Sport come vettore di regole da trasferire anche in altri contesti, come unico terreno fertile dove i ragazzi disagiati con modelli sbagliati possono trovare un confronto con ragazzi di diversa estrazione sociale”.
Perché in altri campi, come la scuola, ragazzi provenienti da famiglie indigenti o di stampo delinquenziale finiscono per subire ogni giorno confronti frustranti e vengono sempre più ghettizzati. Questa frustrazione sfocia spesso in un complesso di inferiorità che a sua volta si trasforma in rabbia e violenza, unico atteggiamento conosciuto perché sperimentato sulla propria pelle in strada e, ancor peggio, in casa.
Lo sport, invece, riporta ad un confronto sullo stesso livello ragazzi diversi per provenienza, ceto sociale e possibilità economiche, ridona fratellanza, condivisione e accettazione.
Questi ragazzi vivono quotidianamente il disagio della loro diversità sin da piccoli, subendola in modo particolare nel vedersi negata la possibilità di sentirsi alla pari degli altri anche nel gioco (diritto essenziale ed inalienabile di ogni bambino). Crescendo, la presa di coscienza di tale diversità assume dimensioni enormi ai loro occhi, perché filtrata anche attraverso tutto ciò che il mondo mediatico (pubblicità, cinema, televisione etc…) e le sue (nostre) false necessità sembra voglia regalare a tutti tranne che a loro.
Questa amara consapevolezza li fa sentire perdenti in tutto: scuola(a che vale studiare? L’unico modo che ho di avere quello che ha il mio compagno è di prendermelo con la forza!); sport (non sarò mai in grado di affrontare chi si può allenare tre volte la settimana su un campo vero e con un preparatore vero, se per tirare calci ad un pallone devo aspettare che il marciapiede si liberi dalle macchine), etc…
Il nostro scopo è quello di farli sentire alla pari con gli altri, e l’unico campo sul quale il confronto con gli altri non li penalizza è quello sportivo.
Il confronto e l’integrazione con ragazzi appartenenti a realtà sociali diverse sarebbe impossibile in campo culturale, scolastico, familiare o anche solo verbale.
Lo sport è l’unico territorio dove la competizione parte alla pari perché basata sul gioco e la voglia di divertirsi. In campo non bisogna dare spiegazioni sul perchè “…mamma non ti accompagna a scuola?, …. tuo padre dov’è? , …. perché piangi?, … perché bestemmi?”, etc.. ; in campo affronti il tuo avversario giocando come lui, come tutti gli altri bambini della tua età.
Solo allora ti sembra di respirare aria pulita; di avere degli amici; che il goal che hai fatto tu non lo avrebbe saputo fare nessun’altro; che forse vali quanto gli altri o ci potresti riuscire; che è vero che anche tu sei amato da qualcuno.
Solo allora cominci a credere che anche il tuo comportamento può aiutare a mantenere pulite le strade della tua città; che alcuni dei tuoi nuovi amici ti possono accettare per quello che sei perché tu vali più di quello che ti hanno fatto credere; che se a scuola impari a leggere, scrivere e parlare bene puoi cercarti un lavoro decente; che il goal che hai fatto non ti porterà a giocare da professionista , ma sarà un ricordo dolce, che durerà per sempre, incancellabile dalla memoria come lo è ogni momento di gioia vera; che è giusto amare perché tutti siamo amati.
Quest’anno non siamo riusciti a trovare nessun benefattore che volesse sponsorizzarci pagando i kit sportivi, quindi anche se “stamm’a disperate” , come tutti i poveri abbiamo la libertà. Infatti ci troviamo liberi di stampare sulle maglie ciò che vogliamo.
Per il gruppo di ragazzi che seguo io, ho scelto BRIGANTI e sono felice e orgoglioso che mi abbiano dato il consenso.
Purtroppo non potrò mai pretendere che i ragazzi capiscano l’importanza storica e il drammatico significato di ciò che portano scritto sul petto (anzi, paradossalmente, a molti di loro dovrò spiegare che non li sto autorizzando a delinquere), ma continuo a pensare che nessuno più di loro è figlio della nostra storia, e ne è inconsapevole ma vero portavoce.
Essere non è avere. Essere è fare. Viviamo in un’epoca, però, dove il verbo fare viene trasformato continuamente in farsi (farsi la macchina, farsi il telefonino, farsi il vestito, etc…).
Ma la verità è che siamo ciò che facciamo, non ciò che ci facciamo.
Chi vuole fare con noi, può aiutarci tramite i BRIGANTI.
“ Mi basta sapere che siete giovani, perché io vi ami assai!”
Don Bosco.
Un volontario dell’associazione P.G.S. Stabia di Castellammare di Stabia.
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