giovedì 24 maggio 2012

Storie di razzismo antimeridionale. Una testimonianza di una meridionale trapiantata in Veneto



«Che importa che muoia: tanto è un terrone!»
AVEVO anagraficamente ventisette anni, ma scarsa esperienza della realtà: avevo sempre studiato.
Per questo, quando sono entrata, proveniente da Lecce, in una scuola superiore di San Donà di Piave ho impiegato un po’ di tempo a capire.
Io tenevo le mie lezioni di lettere, ero stimata dai miei alunni e dai loro genitori, ma quando mi recavo a supplire in classi diverse dalle mie, in cui non avevo “l’arma” del voto facevo fatica a farmi ascoltare.
Non era soltanto questo: le mie entrate e le mie uscite erano accompagnate da risatine.
Non mi pareva di essere ridicola: certo non ero alta, portavo gli occhiali, ma sapevo il fatto mio.
Ero aliena da ogni pregiudizio giacché, a causa dell’asma della mia sorellina, fin dagli anni cinquanta, la mia famiglia aveva sempre frequentato le Dolomiti: Faé di Longarone, Laggio, Auronzo.
Avevamo molto sofferto per la tragedia del Vajont in cui avevamo perduto amici e conoscenti.
Bambina ero venuta da turista nel Veneto e, conseguita la laurea, tornavo per lavorarci: mi sembrava logico e normale. Non ero forse italiana tra italiani?
Probabilmente a causa di questa buona fede impiegai un po’ di tempo a capire le risatine. Lo capii quando, passando per il corridoio, durante un intervallo, sentii un “Concettina, ah Concettina” pronunciato con un accento che voleva scimmiottare quello di un immaginario meridione.
Restai molto colpita dalla scoperta di essere una terrona e di essere oggetto di scherno.
Mi tornò in mente di quando un mio cuginetto, colpito a sei anni da un tumore al cervello- erano gli anni 50- era stato portato a Milano per essere curato; era stato poi ricondotto a casa dove morì implacabilmente per il brutto male.
Ricordo che i genitori, nonostante il dolore della perdita atroce, raccontavano a noi famigliari che un medico di quell’ospedale di Milano aveva detto ad un collega, riferendosi al loro piccolo e alla sua incurabile malattia: “Che importa che muoia: tanto è un terrone!”
Nel corso della mia permanenza nel Veneto, dove ho messo su famiglia, ci sono stati presidi che mi hanno elogiata dicendomi che ero di “sangue buono” nonostante le origini.
Altri che hanno affermato nei collegi dei docenti che da Roma in giù regna l’ignoranza più completa.
Ho appreso tanti luoghi comuni sul Meridione che hanno piano piano costruito questa leggenda nera di cui io ero parte: sono stata intimamente umiliata.
Il massimo della vicinanza umana l’ho percepita in frasi come: “Tu, però, sei diversa! E poi oramai sei Veneta!”
Poi è venuta la Lega e la situazione è peggiorata ulteriormente: il pregiudizio strisciante è diventato aperto insulto e razzismo.
Le trasmissioni delle radio o delle televisioni locali, i siti di queste organizzazioni sono spaventose per il nazileghismo di cui grondano.
Ora ho sessant’anni, sono andata in pensione, osservo con minore sofferenza questo fenomeno doloroso.
Da questo nasce il mio desiderio di dire agli italiani attenzione: là dove voi credete di votare per un dirigente liberista come Berlusconi o per un politico conservatore come Fini, in realtà date forza ad una formazione ed una mentalità- il leghismo- che vorrebbe epurare il sud e, per ora, lo riempie di insulti e di minacce di morte.
Pensate bene quando voterete: questa destra non è la destra di nazioni come la Francia o la Germania.
E’ una destra che vomita odio e per la quale il concetto di identità è sempre più circoscritto.
Non c’è verso di far comprendere che il sud non è rappresentato soltanto da Mastella e Cuffaro.

Concetta Centonze

San Donà di Piave (VE)


PUOI VEDERE LA FONTE DELLA TESTIMONIANZA QUI

 

 

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