Si nota come sia ancora molto attuale e che si utilizzino gli stessi mezzi.
Nelle Due Sicilie, nel 1859, la tassazione complessiva era di 14 franchi o lire a testa, nel 1866, a soli sei anni dall’annessione, era arrivata a 28, il doppio di quanto pagava l'“oppresso“ popolo meridionale prima che i Savoia venissero a “liberarlo“ [1]. Furono introdotte molte nuove imposte, in precedenza inesistenti al Sud.
Tav.1 - Le imposizioni fiscali nel Sud subito dopo la conquista piemontese [2]
- Imposta personale
- Tassa sulle successioni
- Tassa sulle donazioni, mutui e doti; sull’emancipazione ed adozione
- Tassa sulle pensioni
- Tassa sanitaria
- Tassa sulle fabbriche
- Tassa sull’industria
- Tassa sulle società industriali
- Tassa per pesi e misure
- Diritto d’insinuazione
- Diritto di esportazione sulla paglia, fieno, ed avena
- Sul consumo delle carni, pelli, acquavite e birra
- Tassa sulle mani morte
- Tassa per la caccia
- Tassa sulle vetture
IIl governo unitario “estese il sistema fiscale piemontese a tutti i vecchi Stati che erano entrati a far parte del nuovo regno. Avvenne così, per effetto del nuovo ordinamento che il regno delle Due Sicilie si trovò, ad un tratto ...a passare dalla categoria dei paesi a imposte lievi in quella dei paesi a imposte gravissime” [3]. Accorpando i dati complessivi sulle imposte, dividendoli per categorie di entrate, notiamo che nel periodo 1861-1873 le imposte indirette erano quantitativamente il doppio di quelle dirette (663.599.000 milioni contro 326.481.000 [4]) le prime, com’è noto, colpiscono i consumi (macinato, tabacchi, dazi di confine e di consumo, gabelle varie, sale, lotto) e quindi gravano proporzionalmente di più sui redditi più bassi mentre le seconde incidono sui redditi più alti. Ma non è tutto: le imposte dirette seguivano la proporzionale secca, non erano progressive rispetto al reddito individuale per cui i cittadini con poche sostanze e le classi agiate pagavano la stessa percentuale fissa di tasse; è noto come, invece, sia molto più equa una imposta diretta che cresce percentualmente rispetto ai vari scaglioni di reddito.
La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu, poi, assolutamente ingiusta perchè non omogenea dal Nord al Sud; il primo venne avvantaggiato, il secondo penalizzato.
Per quanto riguarda l’agricoltura mentre nelle Due Sicilie si pagano 40 milioni d’imposta fondiaria, nel 1866 se ne pagheranno 70, contro i 52 del nord; la differenza è anche più evidente se si considerano le aliquote per ettaro: nelle province di Napoli e Caserta si pagano lire 9,6 per ettaro contro la media nazionale di l. 3,33 [5]. “È pubblica ed ufficiale la dichiarazione del tempo circa il fatto che, in attesa di completare la definitiva situazione dei valori catastali, “provvisoriamente” si sarebbe proceduto nella “presunzione” che il nord fosse fiscalmente più gravato del sud e quindi, provvisoriamente (una provvisorietà che durò 40 anni) si “aggiornarono” i ruoli della fondiaria, con automatico aggiornamento anche di quelli di sovrimposta comunale. L’aggiornamento produsse nuove equità che sono ben documentate da amenità del genere: Lombardia e Veneto pagavano un’aliquota dell’ 8.8% mentre la Calabria del 15%, la Sicilia del 20% … nel 1886 si decise di unificare in un unico catasto i 22 catasti degli ex stati indipendenti … si fece di tutto per far durare il più a lungo possibile il regime provvisorio (bastò un anno dal 1923 al 1924 per confezionare lo strumento)” [6].
Per quanto riguarda l’imposta sulla proprietà edilizia il Sud pagava molto più del Nord e “questa chicca venne realizzata senza dover neppure ricorrere ad una norma speciale (provvisoria o stabile) ma solo usufruendo della circostanza che la popolazione del nord risiedeva in campagna (e dunque la casa diveniva pertinenza dei fondi rustici e rientrava nell’imposta fondiaria) mentre al sud i contadini abitavano nei borghi rurali (e dunque pagavano l’imposta sui fabbricati come se si trattasse di città)…furono necessarie due leggi speciali - nel 1906 per il Mezzogiorno continentale e nel 1908 per la Sicilia- per prendere atto che un borgo rurale era un borgo rurale nè più nè meno di tre case di campagna, e che, dunque, a sud andava trattato come al nord: ma, ormai, nel primo decennio del ‘900 l’operazione di drenaggio fiscale durata mezzo secolo nel sud era praticamente conclusa, nulla c’era più da prelevare e si poteva fare ritorno alla logica elementare”[7]. Per quanto riguarda le tasse sugli affari che incidono per lire 7,04 pro capite in Campania, contro 6,70 in Piemonte e 6,87 in Lombardia [8].
Si calcola che l’ingiustizia fiscale sia costata al Sud 100 milioni/anno: nel “1901 il Mezzogiorno produceva un redito pari al 22/23 % di quello complessivo italiano, ma pagava imposte sul reddito pari al 35/37% di tutte le imposte sul reddito precette in Italia” [9]. Successivamente le cose non cambieranno, così, nel primo decennio del secolo ventesimo, una provincia depressa come quella di Potenza paga più tasse d’Udine e la provincia di Salerno, ormai lontana dalla floridezza dell'epoca borbonica essendo state chiuse cartiere e manifatture, paga più tasse della ricca Como [10]. L’iniquo sistema fiscale provocò ovviamente una grossa differenza tra nord e sud sulle espropriazioni per il mancato pagamento di tasse (da una per ogni 27mila abitanti nel Piemonte e Lombardia, si passa ad una a 900 per Puglia e Lucania e una a 114 in Calabria) [11].
Non è tutto: il 18 febbraio 1861 i decreti Mancini abrogano il Concordato in vigore tra le Due Sicilie e lo Stato della Chiesa, sono sequestrati e venduti i beni ecclesiastici che fruttano allo Stato unitario oltre 600 milioni.
Giuseppe Ressa
1] O' Clery, op. cit.; (in realtà l’unità monetaria meridionale era il ducato equivalente a 4,25 lire, N.d.A.)
[2] G. Savarese, " Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860", Cardamone, 1862, p.28.
[3] F.S.Nitti, Il Bilancio dello Stato dal 1862 al 1897, Napolo, 1900, pagg. 52-53
[4] Aldo Alessandro Mola, op. cit. pag. 63
[5] Nítti F. S., Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97, Napoli 1900., p. 107
[6] Aldo Servidio, L’imbroglio nazionale, Guida, 2002, pag. 120, modif.
[7] ibidem, pag. 121
[8] Nitti F.S., op. cit.
[9] Aldo Servidio, op.cit, pag.124
[10] Nitti F. S., op. cit., p. 141.
[11] Luzzatto G., L’economia italiana dal 1861 al 1894 (Torino 1968), p. 172.
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