Nello sfascio generale politico ed economico è scomparso dall'agenda
il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia del 2011. Nessuno ne parla
più, sembra un evento dello scorso anno, una rivista vecchia dimenticata
dal barbiere. La ricorrenza non è ancora stata celebrata, eppure sembra
già trapassata. Può essere che le Istituzioni si vergognino e sperino
che la nascita dello Stato unitario passi in silenzio, scivoli via dal
calendario. Gli italiani del resto se pensano alle Istituzioni hanno un
conato di vomito e una voglia irrefrenabile di emigrare. Vederle
identificate con l'Italia è una provocazione, un'istigazione alla
secessione.Il 2011 è invece un'opportunità, un'occasione unica per fare
la Storia d'Italia, non quella del trio Cavour-Garibaldi-Vittorio
Emanuele II con la ruota di scorta di Mazzini e dei plebisciti fasulli
che legittimavano i Savoia, ma la Storia degli eccidi nel Sud, delle
occupazioni nel Nord, dei cannoni dei regnanti contro i contadini inermi
che protestavano per la legge sul macinato, delle emigrazioni forzate
di milioni di veneti e di meridionali per le Americhe, unica possibilità
rimasta per non morire di fame. Il 2011 può essere dedicato alla Storia
dell'annessione dei popoli italici da parte dei Savoia, della
predazione delle casse degli Stati occupati, dal Regno dei Borboni allo
Stato Pontificio. Capitali necessari al Regno di Sardegna, notoriamente
con le pezze al culo, per non dichiarare bancarotta, alle centinaia di
migliaia di patrioti chiamati "briganti" fucilati da Cialdini
con le loro teste mozzate fotografate ed esibite sui giornali
dell'epoca. Persino l'Unione Sovietica ai tempi di Krusciov
è riuscita a mettere in discussione le menzogne dello stalinismo, in
Italia ci si culla ancora nell'idea del Risorgimento e del grido di
dolore accolto da Vittorio Emanuele II. Le mafie sono un frutto
dell'occupazione del Sud, prima erano un fenomeno fisiologico, con i
Savoia sono diventate uno strumento di gestione del potere. Garibaldi
disse "Qui si fa l'Italia o si muore", per fare veramente l'Italia bisogna ripartire dalle sue radici e quindi "Qui si disfa l'Italia o si muore".Le
piazze d'Italia sono piene di lapidi celebrative delle tre guerre
d'indipendenza, di quelle mondiali, alcune anche di quelle coloniali e
di quella civile del 1945/46. Da 150 anni siamo in guerra, anche con noi
stessi, per affermare un'identità che non abbiamo. Siamo come l'isola
che non c'è di Peter Pan: "E a pensarci, che pazzia/è una favola, è solo fantasia/e chi è saggio, chi è maturo lo sa/ non può esistere nella realtà!",
uno Stato che non c'è, visto come greppia o tenuto a distanza con
diffidenza. Un'espressione geografica che ospita le tre più potenti
organizzazioni criminali del pianeta, indifferente a quarant'anni di
stragi in cui lo Stato era complice o assente, con centinaia di morti
tra giudici, giornalisti, politici, amministratori pubblici. Un luogo
che sta cadendo a pezzi in cui molte Regioni non vedono l'ora di un
liberatorio "Sciogliete le fila" e ritornare ad essere
Repubblica di Venezia con i suoi mille anni di Storia, la Repubblica di
Genova, lo Stato delle Due Sicilie, Stato legittimo invaso con le armi, o
annessi alla Francia da parte della Valle d'Aosta o all'Austria del Sud
Tirolo. Non sono ipotesi, ma la cruda realtà. E' necessario rivedere il
nostro passato e dimenticare il "glorioso" Risorgimento per
rimanere insieme in una federazione di Stati, simili a quelli pre
unitari, ognuno con la sua Storia e la sua autonomia.
Beppe Grillo (http://www.beppegrillo.it/2010/12/stati_uniti_ditalia/index.html)
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